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 2013  gennaio 20 Domenica calendario

IL PREFETTO DELLE FINTE LACRIME “LA MIA ERA UNA RISATA NERVOSA A L’AQUILA VIVEVO NELLA PAURA”


«MA quale finzione… Io davanti alle macerie della Casa dello studente ho pianto veramente e chi c’era quel giorno lo sa, lo ha visto. La risata? Sono stata fraintesa. La mia era una reazione emotiva al telefono, nient’altro. Quella dell’Aquila per me era una situazione nuova, un’esperienza del tutto diversa. Chi non ci ha vissuto non può capire. Avevo paura, e al telefono con un amico ho avuto una reazione emotiva. Ma so bene che ciò che posso dire io adesso, in questo momento vale poco, sono le persone dell’Aquila che mi hanno conosciuto in questi anni che devono parlare e raccontare chi sono veramente».
Nel pieno della bufera che l’ha investita — con giornali, televisioni e siti internet che ripetono di continuo la notizia della sua falsa commozione davanti alle macerie dell’Aquila, delle sue risate nel raccontare al telefono la scena del suo insediamento nella città terremotata con tanto di corona di fiori davanti alla Casa dello studente in memoria delle vittime del terremoto — l’ex prefetto dell’Aquila Giovanna Iurato al telefono ha un tono di voce dimesso. Quasi sussurra, tra il silenzio e il pianto. Non inveisce, non si inalbera, non grida al complotto. Non nega. Ma, dopo i primi minuti di esitazione («Guardi non sono in grado, non me la sento, non insista...») prova a spiegare e a rispondere.
Prefetto, i pm sostengono che il 26 maggio del 2010, nel giorno del suo insediamento all’Aquila, lei davanti alle macerie della Casa dello studente abbia finto di commuoversi.
«No, non è andata così, ma lei per questo deve parlare con il mio avvocato».
Perché, il suo avvocato sa se lei ha finto o meno?
«Certo che lo sa, abbiamo parlato anche di questo. Le spiegherà».
Ma lei si è commossa veramente oppure no davanti a quelle macerie?
«Certo che mi sono commossa, me lo ricordo benissimo ».
Le intercettazioni dicono il contrario. Si sente lei che ride parlando di quella giornata.
«Ma quale finzione... Io davanti alle macerie della Casa dello studente ho pianto veramente e chi c’era quel giorno lo sa, lo ha visto».
E allora, perché al telefono con il prefetto Francesco Gratteri, due giorni dopo, lei ride schernendo i giornali che avevano titolato “Le lacrime del prefetto”?
«Non si può giudicare una persona dalla trascrizione di una risata... Io sono una persona emotiva, lo sanno tutti. Certe volte uno può fare una risata nervosa perché oppressa dalla paura...».
Paura, quale paura?
«Guardi che la mia fase iniziale all’Aquila è stata terribile, anche perché in quel ruolo si ha il dovere di manifestare un contegno diverso. Io lì non avevo niente, stavo in una città piena di macerie. Mi avevano assegnato un alloggio nella caserma della Guardia di finanza. Una vicenda particolarissima che non può essere sintetizzata in due parole. Quando si scopre una realtà di questa portata l’essere umano reagisce in tanti modi, anche con la paura».
Quale immagine pensa che abbiano adesso le persone, in particolare i cittadini dell’Aquila, del ruolo che lei ricopre e delle istituzioni in generale?
«Quello che ho fatto l’ho dimostrato negli anni a venire, nell’impegno che ho messo per L’Aquila. Sono i risultati quelli che contano, i fatti non le parole. Poi ci sono tanti testimoni, tante persone, di quelli che sono rimasti vivi, che mi hanno conosciuto. Basta contattare Ana Paola Pulcheri (una delle ragazze sopravvissute al crollo della casa dello studente, ndr). tutti quelli che mi hanno conosciuto e che io ho seguito dopo, per aiutarli a superare questa tragedia. Chieda al sindaco Massimo Cialente: con lui e con tanti altri abbiamo lavorato fianco a fianco per il bene
della città. Ora, basta però. Chiami il mio legale».
Non sente di dover dire null’altro in merito a questa vicenda? A l’Aquila pretendono che ora lei chieda perdono.
Il tono di voce della Iurato si fa sempre più flebile. «Non voglio dire altro. Devono parlare le persone che mi hanno conosciuto veramente, che hanno lavorato con me in questi anni. Devono parlare solo loro. Non io. In questo momento tutto ciò che dico può risultare alterato e ancora frainteso. Ci sono tante persone che possono parlare a posto mio. Ma adesso basta, abbia pazienza, in questo momento ho uno stato d’animo troppo dispiaciuto. Non me la sento. Arrivederci».