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 2013  gennaio 18 Venerdì calendario

MINACCIATO IL GAS AFRICANO TARGATO ENI

[Dalla Libia all’Algeria: gli interessi della compagnia e di altre imprese tricolori valutati 57 miliardi di euro] –
Non c’è ancora certezza sul come, ma l’Italia ha deciso di schierarsi al fianco della Francia nella guerra in Mali. «Forniremo solo supporto logistico: collegamenti aerei e rifornimenti in volo», ha detto inizialmente il ministro degli Esteri Giulio Terzi. Ma già si parla di ampliare a droni e basi, con la prospettiva – il ministro francese Laurent Fabius ne ha parlato chiaramente - di inviare 250 uomini formatori per contribuire all’addestra - mento di un esercito. E una dozzina potrebbero essere italiani.
Oggi, con gli occhi ancora incollati sugli schermi di quanto è accaduto all’impianto petrolifero di In Amenas (vicino alla Libia) gestito dalla BP e sulle minacce rivolte direttamente alla Francia, a preoccupare è il terrorismo. Al momento per quanto risulta a «Libero» l’intelligence non avrebbe diramato alcuna direttiva specifica in tema di sicurezza nazionale. Chiaramente le orecchie sono tese ma non ci sarebbero allarmi o obiettivi sensibili in pericolo entro i confini della penisola. Diversa invece è la situazione in Algeria, Libia, Tunisia, Chad e Nigeria. Non solo per i nostri connazionali impegnati sul campo.
Il pericolo si riflette anche (e direttamente) sugli interessi economici dell’Italia. Tutt’altro che trascurabili. Gli avamposti degli affari tricolore si trovano infatti tutti attorno a quella che oggi è l’area politicamente più instabile del mondo: il Sahel. Basti pensare che per la prima volta gruppi di terroristi (il principale è Aqim) ha conquistato un’area grande quanto la Francia, per capire il potenziale deflagrante della guerra tra l’Europa (con Algeria e Libia) e i terroristi. Quali siano gli interessi italiani nel Sahel lo ha spiegato recentemente il leader libico Magarief. «L’Italia ha un interesse diretto all’intervento francese perché l’instabilità dell’interno del Maghreb rappresenta per la Libia una grossa falla che Tripoli da sola non è in grado di arginare», ha riportato il «Sole24Ore».
Il Sud della Libia è fuori dal controllo delle labili autorità libiche, a Est la Cirenaica, dove c’è l’80% delle riserve petrolifere, invia segnali di costante disgregazione. Ecco dunque che la guerra in Mali ci riguarda oltre che per i link con la Libia anche per quelli con l’Algeria, il nostro secondo fornitore di gas. In Mali gli affari economici italiani sono molto marginali, tanto più che da dicembre l’Eni non ha più le concessioni di Taoudeni (gestite in precedenza in joint venture con Sonatrach) passate ai francesi di Total. Se lì in Mali l’Eni e Sonatrach lavoravano assieme è per gli ottimi rapporti che noi abbiamo con Algeri, ma anche perché se si vuole operare in quell’area bisogna accettarne tutti i vasi comunicanti. Da Nord a Sud. E viceversa. Che è quello che vale in questo momento.
Se salta il controllo di questo poverissimo Paese rischiano di frantumarsi anche gli altri equilibri. Che nel complesso valgono per il nostro Paese all’incirca 57 miliardi di euro. L’ammontare dell’interscambio con tutta la sponda sud del Mediterraneo e le nazioni appena più meridionali. In Algeria i legami con l’Italia in taluni casi hanno soppiantato quelli francesi. Basti pensare che nel 2010 l’intera cablatura del Paese con la posa dell’ultimo miglio è stata affidata a una ditta veneta. Impregilo e Finmeccanica da anni sono forti in tutto il Maghreb. Il Cane a sei Zampe ha numerosi impianti in Algeria, Nigeria, Chad, Tunisia e Libia. Tra Tripoli e Benghazi gli affari, soprattutto energetici, vanno avanti ma sui prossimi investimenti dell’Eni e i rapporti con le imprese italiane, desiderose di recuperare i crediti storici e di aggiudicarsi nuovi appalti, pesano i dubbi del futuro e l’instabilità della regione del Fezzan, la più meridionale. Infine secondo alcuni analisti il recente attentato al console De Sanctis potrebbe essere un segnale che gli estremisti vogliono sradicare ciò che funziona nella collaborazione bilaterale.