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 2013  gennaio 19 Sabato calendario

“CARO BENIGNI, TI PREGO FAI UNA SERATA FELLINI”

[Per la nipote lo zio Federico è stato dimenticato “Ed è ignorato dai giovani. Così lancio il mio appello”] –
Mi avevano avvertito: non ti avvilire Francesca, vedrai che durante il film i ragazzi si mettono a giocare col telefonino, ad andare su Twitter. Ma neanche per idea. Tutti concentrati, e alla fine piangevano. Sa che cosa mi ha detto uno di loro? Una storia d’amore platonica così bella adesso non capita più. Mi spiego? Altro che Twilight ». Il film era La strada e chi lo mostrava ai liceali di Rimini era Francesca Fabbri Fellini, 47 anni, nipote di in quanto figlia della sorella di Federico, Maddalena. Quella che zio Chicco chiamava con affetto «la bamboccia» si è trasformata nella vestale del genio di famiglia. E adesso lavora per far conoscere quei capolavori ai ragazzi, «visto che chi ha i capelli bianchi non ne ha bisogno». Stamattina alle otto e trenta per esempio, al Settebello di Rimini, va in scena per gli studenti della terza, quarta e quinta superiore Amarcord che compie 40 anni.«E speriamo che, dopo, i ragazzi vadano dai nonni e chiedano: ma tu la conoscevi questa Gradisca?». Però Francesca ha un rovello che la tormenta: non le piace che l’Italia si stia dimenticando di uno dei pochi nomi che, con Ferrari e Verdi, all’estero fanno risuonare una campana. Ma come ha ribadito proprio in questi giorni Massimo Gramellini su La Stampa, pare che ci si diverta a trascurare i miti nazionali, facendoseli scippare dagli stranieri.

Signora Fellini, il prossimo 31 ottobre saranno vent’anni dalla morte di Federico. Come mai ha paura che lo celebrino in pochi?

«Non dico questo. Per esempio, Felice Laudadio ha già annunciato un omaggio al Bif&st di Bari, e altre cose di sicuro arriveranno. Però, però. Penso a certe belle serate in tivù, il film alle nove con l’introduzione di un gran signore come Claudio G. Fava. Sono stufa di vedere i film buoni alle tre della mattina».

Leggo però che la presidente della Rai Tarantola ha risposto all’appello della Provincia di Rimini, prendendo l’impegno di ritrasmettere le opere di Fellini. In orari potabili, si spera.

«Meglio così, staremo a vedere. Basta che ci si mettano subito, ho lavorato tanti anni in Rai, so che i tempi burocratici possono essere eterni».

Come le piacerebbe veder ricordare “zio Chicco”?

«Insomma, Roberto Benigni gli deve molto: e sapesse quanto era affezionato, lui, al suo pinocchietto. Ecco, se Benigni riservasse a Fellini una serata magica come quella per la Costituzione ne sarei proprio felice. Ancora meglio se dessero il loro contributo tutti quei nomi importanti che Federico ha lanciato, per esempio Dante Ferretti, e Sergio Rubini».

Ci sarebbe anche Paolo Villaggio.

«E Fellini gli voleva un bene che guai. Lo apprezzava proprio come scrittore, per la qualità letteraria di Fantozzi. Insomma: mobilitiamoci. Vogliamo farci precedere dagli stranieri? Lo sa che cosa dice Rob Marshall, il regista di Nine ? Che quel film, in fondo, l’ha girato per le giovani generazioni, perché s’incuriosissero e, dopo il suo, noleggiassero pure i dvd di quel signore italiano».

Ma com’era quel signore in famiglia?

«Dolcissimo. Lui e zia Giulietta mi hanno tenuto a battesimo, avevano perso neonato il loro unico bambino, Federichino, e quello era stato il grande dolore della loro vita. Lo sa che cosa disse quando mi vide la prima volta, nella nursery della clinica Villa Toniolo a Bologna? Che bellezza la bamboccia, ha aspettato 12 anni e ha preso la ruggine. Ero nata con i capelli rossi, nonostante i miei genitori li avessero neri neri, e dopo una lunga attesa».

Il suo ricordo d’infanzia più vivo?

«Quando entravamo da Scacci, un gran negozio di giocattoli di Rimini: eravamo uno spettacolo, io piccola così tenuta per mano da quell’omone col cappottone e con lo sciarpone. Era come stare nel mondo delle favole, si faceva tirar fuori dal proprietario tutta la mercanzia, i burattini, cominciava a giocare con le macchinine. Un giorno mi ha regalato un oggetto fantastico, un piccolo clown su ruote, da trascinare in giro per casa, che se gli mettevi i dischi in un buco sulla schiena cantava le canzoncine».

E zia Masina?

«La forza della famiglia, quella che ha dato allo zio l’energia per lavorare, fin da quando, a Roma, aveva cominciato a riempirgli lo stomaco con i suoi piattini, lui che per trattorie, con Alberto Sordi, non aveva i soldi per le bistecche e se le faceva nascondere dalle cameriere gentili sotto gli spaghetti. Ah sì, zia Giulietta era una gran cuoca, il polletto alla diavola, le tagliatelle al ragù, il minestrone “dai mille sapori” che a suo marito piaceva tanto. Si sentivano lungo tutta la giornata, avevano un filo diretto continuo».

Fellini ha avuto una fine amara di carriera: non trovava produttori, l’incomprensione nazionale è cominciata ben prima che morisse.

«Lui diceva che aveva gli aerei pronti per il decollo ma che gli mancavano gli aeroporti, gli servivano budget smisurati e non gli davano credito».

Alla fine non pensava più al cinema?

«Nella clinica di Ferrara dove era ricoverato stava molto male, ma ripeteva a tutti: ci vediamo a Cinecittà, presto, prestissimo. Credo che l’ultima idea gli sia venuta vedendo i ragazzi vittime delle stragi del sabato sera, voleva pensare a qualcosa per scoraggiare quel massacro. Gliel’ho detto, ai giovani teneva tanto. Anche per questo bisogna che i giovani lo conoscano».