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 2013  gennaio 19 Sabato calendario

QUEI (TIMIDI) SEGNALI DI RIPRESA

Negli ultimi giorni siamo stati bersagliati da un vero e proprio diluvio di previsioni congiunturali negative. La Banca Mondiale ha tagliato del 20 per cento la sua stima della crescita economica mondiale, di oltre il 30 per cento quella delle economie avanzate.

E ha previsto per la zona euro una, sia pur limitata, decrescita che sostituisce una precedente previsione positiva. La decrescita produttiva italiana, con le sue incerte prospettive, si conferma così come un episodio particolarmente acuto di un male che investe tutto il pianeta e in particolare i Paesi ricchi. Forse gli italiani dovrebbero ricordarlo, e rammentarlo a molti critici stranieri, nei momenti di maggior pessimismo.

Le previsioni della Banca Centrale Europea sono risultate un po’ meno nere, in quanto l’istituto di Francoforte prevede comunque, per l’insieme della zona euro, il ritorno a una debole crescita nella seconda parte dell’anno ma da questa fonte sono venute poche speranze per l’occupazione. Ieri, infine, la Banca d’Italia ha preso atto del peggioramento internazionale e corretto sensibilmente al ribasso, da –0,2 per cento a –1 per cento, le proprie stime sull’andamento del prodotto interno lordo italiano.

Se non vengono interpretate correttamente, queste stime, specie in periodo pre-elettorale, rischiano di dipingere di un nero cupo un quadro che di per sé non è certo entusiasmante ma non presenta una totale chiusura al miglioramento. Per rendersene conto, è sufficiente considerare che, se la produzione italiana restasse ferma sui livelli del terzo trimestre (i dati del quarto non sono ancora disponibili), la caduta nel 2013 sarebbe dell’1,3 per cento. La previsione del –1 per cento nell’anno in corso sconta quindi implicitamente un modestissimo rimbalzo dai livelli attuali. Del resto, quasi tutti gli enti che elaborano previsioni stimano che nel 2013 ci sarà la tanto sospirata – e purtroppo molto piccola - svolta verso l’alto della produzione; differiscono tra loro sul trimestre in cui dovrebbe verificarsi questa svolta, e non sulla sua esistenza.

Che per l’Italia la svolta possa non essere troppo lontana lo si può dedurre dall’esame della produzione industriale: nel mese di novembre tre settori (tessile e abbigliamento, prodotti elettronici e ottici, legno e carta) hanno mostrato qualche piccolissimo segno positivo, il che non si riscontrava più da molto tempo. Tre piccolissimi fili d’erba non fanno certo primavera ma le anticipazioni del Centro Studi Confindustria per il mese di dicembre mostrano un arresto del calo complessivo della produzione industriale con una crescita dello 0,4 per cento su novembre. Potrebbe trattarsi di nulla più di un sussulto statistico, potrebbe invece essere l’inizio di un lungo – e lento – sentiero di crescita.

Sempre a novembre, secondo la rilevazione dell’Istat, il tasso di occupazione risultava invariato rispetto a dodici mesi prima e in diminuzione di 0,1 punti percentuali rispetto al mese precedente. Questi dati sono di difficile interpretazione (i cassintegrati sono compresi tra gli occupati) ma in ogni caso l’aggravamento della disoccupazione sembra derivare più da quanti, non lavorando, si sono messi a cercare lavoro che da una brutale perdita di posti di lavoro: una situazione di estrema gravità, comunque preferibile – come punto da cui ripartire – a una rovinosa distruzione di occupazione.

A dare un minimo di forza all’ipotesi di una ripartenza non troppo lontana c’è la constatazione che le famiglie italiane hanno a lungo rinviato molti acquisti importanti ma, nel loro complesso, hanno le risorse finanziarie per effettuarli. Potrebbero quindi, nei prossimi mesi, decidere in numero crescente di sostituire il vecchio frigorifero, il vecchio computer, la vecchia auto; e dare così una spintarella alla domanda interna che è assolutamente mancata nel 2012. L’esperienza del Giappone, che da circa vent’anni si trova a fare i conti con un’economia stagnante, ha messo in luce che nelle crisi delle economie avanzate non ci si trova di fronte a una caduta continua ma piuttosto a un susseguirsi di cadute e di brevi impulsi positivi della domanda che purtroppo, se non appropriatamente stimolati, si esauriscono nel giro di 2-3 trimestri.

In questa situazione, il dibattito elettorale dovrebbe riguardare il modo in cui mettere a frutto il prossimo, lieve impulso positivo naturale (che, in assenza di sempre possibili stimoli negativi dall’estero, potrebbe incominciare attorno ad aprile, ossia quando il nuovo governo si sarà insediato), di rafforzarlo, prolungarlo e farne qualcosa di più di un fenomeno passeggero.

Occorrerebbe assicurare, nei modesti limiti del possibile, un aumento, sia pure lieve, di reddito alle categorie che, avendo maggiori necessità, sono in grado di trasformare subito questo reddito aggiuntivo in acquisti e di dare così un po’ di fiato all’apparato produttivo e distributivo; e contemporaneamente incoraggiare, anche con misure temporanee, le imprese ad effettuare – magari con sgravi fiscali – la sostituzione di impianti e macchinari obsoleti. Purtroppo, di tutto questo nella campagna elettorale si parla assai poco; i discorsi dei leader che si contendono i voti degli italiani spaziano dalle reciproche recriminazioni all’affermazione di principi; le cose minute e sperabilmente efficaci ricevono, al massimo, un’attenzione passeggera.