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 2013  gennaio 20 Domenica calendario

ILVA, IL GOVERNO ORA TEME CHE ESPLODA LA POLVERIERA

E adesso che i lavoratori capiranno che lo scampato pericolo non si è dissolto affatto, che quel messaggio dell’altra notte da palazzo Chigi in realtà era solo un responsabilissimo appello a tutte le parti coinvolte perché deponessero l’ascia di guerra? Che, per dirla tutta, l’azienda se non otterrà subito quel miliardo di euro di acciaio lavorato e semilavorato bloccato da novembre, non potrà pagare i prossimi stipendi e procedere con i lavori prescritti nell’Autorizzazione integrata ambientale, Aia? E, dunque, che succederà adesso a Taranto?

Sperava, il governo, che la conferenza stampa notturna raggiungesse l’obiettivo, che insomma ieri mattina la procura annunciasse che la «merce» sequestrata - «il corpo del reato» sarebbe stata restituita all’Ilva, così come prevede la legge. E invece la reazione delle toghe tarantine è stata di un assordante silenzio. C’è di più, purtroppo: la sensazione che si è avvertita al terzo piano del Palazzo di Giustizia, nei corridoi della Procura, è che ove mai il governo dovesse decidere per il decreto, anche la sua efficacia verrebbe sospesa, in attesa della pronuncia della Consulta.

Uscendo da Palazzo Chigi l’altra notte, un autorevole esponente di governo spiegava molto chiaramente che «la vicenda di Taranto può condizionare l’esito delle stesse elezioni». E che la preoccupazione massima è che l’Ilva e la città diventino ingovernabili, insomma fuori controllo. Spiegava il governatore della Puglia, Nichi Vendola, il cui intervento è stato molto apprezzato dagli inquilini di Palazzo Chigi, che «dentro la fabbrica, la cui estensione è una volta e mezzo quella della città, lo sciopero a oltranza della Fim-Cisl con i relativi blocchi agli ingressi, aveva determinato che non tutti i lavoratori “comandati” fossero riusciti a entrare, mettendo a rischio la sicurezza degli impianti, mentre hanno varcato i cancelli quei lavoratori tuttora fan dell’ex sindaco Giancarlo Cito (che sta scontando una pena definitiva per una storia di corruzione, ndr), i componenti del “Comitato dei lavoratori liberi e pensanti”, militanti dei Comitati di base».

Di fronte a questo scenario, il governo ha deciso di intervenire per evitare che il risultato del voto venga condizionato da Taranto. Intanto è stato chiesto al Viminale di inviare uomini e mezzi per fronteggiare qualsiasi evenienza di ordine pubblico. E squadre di investigatori di rinforzo sono arrivate per «bonificare» il territorio immenso dell’acciaieria. Insomma, per verificare che i presenti nello stabilimento siano tutti dipendenti Ilva.

È una partita, quella avviata l’altra sera, il cui esito è incerto. A ben vedere nel comunicato di Palazzo Chigi non c’è scritto che si procederà con un decreto legge né è spiegato i termini dell’intervento legislativo, se non nella parte del suo obiettivo: far rispettare la legge e cioé anche la commercializzazione del prodotto: «All’esito della riunione tutte le parti hanno dichiarato il convincimento che, nell’assoluto rispetto della Magistratura ed in attesa del giudizio di costituzionalità in corso, debba essere applicata integralmente e immediatamente la legge da parte di tutti i soggetti interessati, così da innescare il circolo virtuoso risanamento ambientale/tutela della salute/tutela dell’occupazione». Ma proprio a rimarcare il clima di incertezza, ieri pomeriggio il ministro per lo Sviluppo economico, Corrado Passera, twittava: «Ilva, sul blocco dei prodotti finiti i magistrati stanno proprio sbagliando. Non si difende così lavoro e ambiente». Sarà il tempo cupo, il vento gelido che non riesce a spazzare quelle nuvole nere gonfie d’acqua, ma il clima in città non è sereno. Lo «stallo» che si percepiva l’altra sera a Palazzo Chigi, qui si trasforma in due eserciti pronti a darsela di santa ragione. Anzi, avete presente il dottor Stranamore? Bene, la saggezza che sarebbe necessaria non alberga a Taranto. La guerra, purtroppo, non è finita. E c’è anche la campagna elettorale in corso. Il fronte del no alla fabbrica si ritrova nelle liste di «Rivoluzione civile». E in «Cinque Stelle». Ieri sera in piazza c’era Beppe Grillo: ma a seguire il leader non c’era quasi nessuno. Clima teso. Anche l’azienda alza il tiro: «Ilva conferma che solo con l’applicazione della legge anche da parte della magistratura e il conseguente sblocco dei lavorati e semilavorati ancora sotto sequestro, sarà in grado di rispettare i propri impegni a cominciare dal pagamento degli stipendi». Qualcuno legge l’appello come un «ricatto». A palazzo di Giustizia si fa notare che «il gruppo dirigente e la proprietà dell’Ilva è in carcere, agli arresti domiciliari, qualcuno è latitante (uno dei figli Riva, ndr). Lo stesso presidente Bruno Ferrante è indagato perché ha autorizzato la produzione nonostante che il sequestro non lo consentisse».