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 2013  gennaio 18 Venerdì calendario

120 MILIONI DI CARTUCCE CHE “SPARANO” CONTRO IL DIABETE

[Iniettano il farmaco indispensabile ai malati.
Sono prodotte, con volumi da record, in un’azienda d’eccellenza. Siamo andati a visitarla] –
Novant’anni fa, nel 1923, l’austriaco Leo Pollack a Vienna e l’italiano Silvestro Silvestri a Roma recuperarono dal coma due giovani diabetici. Forse, racconta la storia della medicina, prima di loro ci aveva provato con successo sul finire del 1922 il tedesco Leon Blum. Miracoli legati a un farmaco salvavita, l’insulina, un secolo fa allo stato primordiale, al quale l’umanità non potrà mai rinunciare (anzi, ne avrà sempre più bisogno visto l’aumento dell’obesità) a meno che in futuro non si arrivi al successo del trapianto di pancreas, prospettiva molto lontana.
L’insulina è il veicolo che permette alle cellule di utilizzare il glucosio contenuto nel sangue e di trasformarlo in energia. Avere il diabete significa che le cellule del pancreas non ne producono affatto o in quantità insufficiente.
I primi salvataggi di ragazzi in fin di vita perché annientati da diete distruttive prive di zucchero vennero effettuati con ormoni estratti dal pancreas bovino o suino, che però scatenavano pesanti reazioni immunitarie. Oggi si è arrivati a fiale che sono il risultato di tecniche di ricombinazione genetica ottenute a partire dal Dna umano. In Italia la capitale dell’insulina è Sesto Fiorentino, una delle sedi di Ely Lilly, l’azienda americana leader del settore assieme a Novonordisk e Sanofi. La bella favola dell’impianto toscano, sviluppato tra 2009 e 2011, merita di essere raccontata come esempio virtuoso di fare industria.
Sesto è l’unico impianto italiano dedito alla produzione del farmaco biotec indispensabile per i pazienti con diabete di tipo 1, quello giovanile, di origine genetica. E per gran parte di quelli con diabete di tipo 2 che, arrivati a un certo grado di malattia, non possono più fare a meno delle iniezioni per il controllo della glicemia.

Richiesta in aumento. Il 40% delle cartucce di marchio Lilly viene lavorato in provincia di Firenze. Il 90% è esportato, anche nel Terzo mondo dove la richiesta è in aumento perché la diabesità, come è stata ribattezzata, è un’epidemia senza confini complici la sedentarietà e l’alimentazione troppo carica di grassi.
Concetto Vasta, presidente della Fondazione Lilly, racconta l’inizio della sfida. Cominciò con un’analisi realistica: «A Sesto si produceva ciclosporina, l’antibiotico meglio conosciuto col nome di Panacef del quale però presto sarebbe scaduto il brevetto. Comprendemmo di dover attuare una scelta radicale. Rassegnarci a una lenta agonia continuando con quel farmaco. O scommettere sul futuro con la costruzione di un impianto dedicato all’insulina. fu fatta questa seconda scelta, vincente, dato che l’impianto è poi stato raddoppiato».
Enrico Rossi, presidente della Regione Toscana, intuì l’opportunità che il nuovo sito avrebbe rappresentato anche alla luce della crisi del settore tessile pratese e collaborò per velocizzare i tempi delle autorizzazioni. Oggi a Sesto sono in funzione due linee produttive che sfornano 120 milioni di cartucce l’anno. Un investimento complessivo di 332 milioni di euro compresi quelli necessari per una nuova linea di assemblaggio di penne monouso ad alta precisione per la somministrazione. Circa 550 nuovi posti di lavoro. L’indotto è stato di 56 milioni di euro nel 2011, il 28% generato da industrie toscane.E ora si pensa a una terza linea di produzione.

La ricerca non si ferma. Secondo Luigi Sciangula, presidente di Amd Lombardia (Associazione medici diabetologi), il 30% almeno dei pazienti seguiti nei centri italiani prende insulina: «La migliore terapia in assoluto anche per il tipo 2. Spesso non c’è alternativa. Se si potrà migliorare la qualità delle cartucce? Non credo, perché la tecnologia ha già permesso di raggiungere livelli altissimi di sicurezza ed efficacia. Altri passi avanti si potranno compiere nel settore dei dispositivi per la somministrazione e il controllo della glicemia». Le aziende, a cominciare da Novonordisk, stanno lavorando su insuline basali (quelle che servono a coprire la fase notturna, più durature rispetto a quelle diurne da prendere in corrispondenza dei pasti) capaci di restare in circolo oltre 24 ore. Tempi ravvicinati. L’approvazione europea e degli Stati Uniti è attesa quest’anno. In Italia, Paese lento dal punto di vista delle autorizzazioni, probabilmente si dovrà aspettare di più.
«La svolta arrivò 10 anni fa con la prima insulina a lunga durata di Sanofi. Un evento epocale. Ora si va oltre, cercando di migliorare la cosiddetta insulinizzazione cioè la riproduzione dello stato fisiologico dell’insulina», spiega Stefano Genovese, responsabile della diabetologia del gruppo Multimedica, quattro ospedali tra Milano e Varese. L’obiettivo dei ricercatori è la stabilità: «Si è visto che per ridurre i rischi di ipoglicemia, da cui possono derivare problemi cardiovascolari, è fondamentale ripristinare una situazione simile alla normalità», aggiunge Genovese. Un campo in rapida evoluzione è quello degli strumenti di somministrazione, vale a dire microinfusori e pompe: «La speranza è di arrivare presto a sistemi integrati per il controllo della glicemia e l’infusione automatica di insulina. Ecco che allora avremmo realizzato il nostro sogno di un pancreas artificiale».
Le società scientifiche mondiali stanno facendo il resto. Si va verso terapie sempre più personalizzate, cucite addosso al paziente, risultato di algoritmi da poco presentati ai congressi. Oltre alla maggiore efficacia si punta anche sulla migliore collaborazione della persona con diabete.