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 2013  gennaio 18 Venerdì calendario

In pensione dal FISCO [Emigrare dopo il lavoro. Cercando non solo il caldo ma anche le tasse più convenienti

In pensione dal FISCO [Emigrare dopo il lavoro. Cercando non solo il caldo ma anche le tasse più convenienti. Che possono dare fino a 500 euro extra al mese. Ecco dove si può]– Delio Sansavini, pensionato di Punta Marina (Ravenna), con i suoi 1.500 euro di pensione ha messo in piedi il piccolo resort Home Paradise nella piana di Tak, nel Nord della Thailandia. Lui di chiedere la residenza fiscale nel tiepido paese del Sud-Est asiatico proprio non vuol saperne. Mentre sorseggia una birra Singha guardando in diretta il suo Bologna sulla tivù di Rupert Murdoch – di fianco all’apparecchio, il vessillo di Che Guevara e una sciarpa rossoblù - dice che non gli va di troncare il cordone ombelicale con la patria smettendo di pagare le tasse italiane. Eppure, grazie al diverso regime fiscale in vigore a Bangkok, il suo assegno sarebbe più corposo di oltre 300 euro. Non la pensano così migliaia di altri pensionati italiani che, nel pieno rispetto della legge, adesso le imposte sul reddito le versano allo Stato che hanno eletto a effettiva residenza, anche sotto il profilo tributario. E che, per non finire nei guai con l’Agenzia delle Entrate, nel loro paradisino fiscale ci devono vivere davvero (vedere box a pag. 115). Nel 2012 l’Inps ha pagato 380 mila pensioni all’estero (per sapere quali sono i paesi principali vedi grafico nella pagina a fianco). Con una curiosità: in Asia, dove i pensionati fiscalmente residenti non arrivano al migliaio, c’è una concentrazione di assegni robusti, superiori ai 1.400 euro al mese. Secondo alcune stime non ufficiali, circa 30 mila di quei 350 mila avrebbero abbandonato il Bel Paese senza ragioni familiari o affettive ma solo con l’obiettivo di vivere meglio e di rimpolpare in un amen il proprio portafoglio. Di solito, la molla che spinge a una scelta così impegnativa è in realtà un cocktail, composto per due terzi da motivazioni economiche e per un terzo dalla qualità della vita. Si fugge per trovare un clima migliore: tutti sanno che in Thailandia o in Tunisia, a Cipro o Malta, le temperature medie sono assai più alte rispetto ai rigidi inverni della pianura padana. Ma soprattutto incidono i quattrini. Innanzitutto sotto il profilo del potere d’acquisto, cioè di quanti beni si possono acquistare con la stessa cifra: gli anziani se la passano sempre peggio, come certifica uno studio dello Spi (il sindacato pensionati della Cgil), secondo il quale l’Italia è uno dei paesi in cui il costo della vita assorbe la fetta più grossa dei redditi da pensione (l’84 per cento, contro il 68 per cento della media dei paesi europei). In altri paesi il carrello della spesa si può riempire con costi ridotti anche del 50 per cento (vedere grafico a pag. 115), trasformando quindi una magra pensione in un buon reddito. La terza ragione per la fuga è proprio quella fiscale, giacché in diversi paesi l’erario è decisamente meno vorace che da noi: nella vicina Tunisia, a 70-80 minuti d’aereo da Roma, un pensionato che a casa sua intasca 1.700 euro netti al mese si ritroverebbe ben 507 euro in più a disposizione. Un repentino aumento delle disponibilità del 29 per cento. Ancora migliore è il trattamento riservato a chi si stabilisce in Marocco, dove una pensione gode, oltre all’esenzione del 40 per cento della base imponibile, di una riduzione dell’80 per cento dell’imposta dovuta. Sono molti i Paesi in cui il reddito da pensione aumenta, come si può vedere nel grafico di pagina 114. Non tutti, però, sono vantaggiosi anche quando si prende il treno o si va al supermarket. In Australia e in Svizzera, per citare due realtà agli antipodi, la vita costa nettamente di più che in Italia (vedi grafico a pagina 115) e quello che da noi costa 100, lì può arrivare al 30 o al 45 per cento in più, annullando quindi il vantaggio fiscale. Attenzione, però. Prima di decidersi al grande salto, è bene informarsi sui rapporti tra l’Italia e il paese prescelto. Non tutti gli Stati, infatti, hanno siglato un accordo con l’Italia che eviti la doppia imposizione. Con la Costa Rica e la Repubblica Dominicana, mete battute parecchio dal turismo tricolore, così come con il Kenya della frequentatissima Malindi, la convenzione per evitare la doppia imposizione non c’è. E la sorpresa potrebbe essere amara.«In questo genere di situazioni ogni vantaggio fiscale viene annullato, perché il diritto internazionale prevede che l’interessato debba essere tassato esattamente come se continuasse a risiedere in Italia. Così, se per le norme del nuovo paese un pensionato rientra nell’aliquota del 15 per cento ma in Italia gli tocca l’aliquota del 32 per cento, oltre a versare le imposte del 15 per cento allo Stato in cui vive dovrà pagare un altro 17 per cento all’erario italiano», spiega Alessandro Dragonetti, responsabile del settore fiscale dello Studio Bernoni Grant Thornton di Milano. Il pensionato motivato da ragioni fiscali, dunque, per evitare illusioni come prima mossa deve dare un’occhiata, sul sito Internet dell’Inps, all’elenco degli Stati con cui l’Italia ha una convenzione contro la doppia imposizione. Il primo della lista, in ordine alfabetico, è l’Albania. Chiude il gruppo lo Zambia. Nel valutare l’espatrio definitivo molti pensionati di enti previdenziali italiani, soprattutto quelli che possono contare su un reddito contenuto, mettono ovviamente sul piatto della bilancia l’argomento salute. Se decidono di risiedere in un paese dell’Unione europea, grazie al modello S1 rilasciato dall’Azienda sanitaria locale possono comunque contare sulla sanità pubblica della nazione che li ospita a spese dell’Italia e, qualora dovessero venire in patria per ragioni di salute, hanno diritto alle cosiddette "cure di necessità" utilizzando la Team (Tessera europea di assistenza malattia), pur non avendo più a disposizione il medico di base. Per cui, per esempio, se hanno bisogno di una visita specialistica devono pagare il dottore che gliela prescrive. Se finiscono invece in nazioni che non fanno parte dell’Unione europea si devono assoggettare alle eventuali convenzioni in materia di salute tra l’Italia e la nuova nazione di residenza. Se esistono. Se tra il paese prescelto e l’Italia non c’è alcun accordo sull’argomento cure, infatti, il pensionato dovrà far fronte da solo alle spese sanitarie. «Anche se in Italia il sistema sanitario è spesso criticato, funziona meglio di molti altri e spesso gli anziani non sono entusiasti di immaginarsi curati in strutture di paesi lontani, dove temono di affrontare anche problemi di lingua con i medici locali», sottolinea Francesco Tundo, che insegna Diritto tributario all’Università di Bologna. Ma come fa lo Stato italiano a essere certo che i connazionali con pensione all’estero siano ancora in vita? Ogni anno, la banca incaricata di effettuare il servizio di pagamento (per il triennio 2012-2014 è l’americana Citi, che ha vinto l’ultima gara internazionale indetta dall’Inps) spedisce agli interessati una lettera. Il pensionato ha 120 giorni di tempo per rispondere, allegando una lista di testimoni "accettabili" (che possono essere funzionari dell’ambasciata o del consolato italiani, o di un’autorità locale autorizzata) e la fotocopia di un documento d’identità con la foto oppure di un estratto conto o di una bolletta. Ogni anno, si scopre che tra le 8 mila e le 9 mila pensioni sono state versate a persone scomparse: il denaro è finito a parenti o a conoscenti che avevano la delega all’incasso e non hanno avvertito né la banca né le autorità italiane. L’Inps sta intensificando gli accordi con i suoi "colleghi" all’estero e aumentando numero e qualità delle banche dati utilizzate. Perché più tempo passa dal decesso del pensionato e meno è semplice farsi restituire i soldi indebitamente incamerati. L’Inps versa ogni anno oltre 1,1 miliardi di euro di pensioni oltre confine e limare quel 2-3 per cento di sprechi significherebbe risparmiare 20-30 milioni di euro all’anno. A proposito di risparmi, saranno davvero esaltanti, in Grecia, quelli dei pensionati di tutto il mondo, se diventerà legge la proposta allo studio del governo. Un’idea semplice: non far pagare neppure un euro di tasse ai pensionati che si trasferiscono sul territorio ellenico. Ma chi pagherà l’assistenza sanitaria in una Grecia da cui i medici scappano a gambe levate e negli ospedali manca di tutto? E l’Unione europea permetterà questo clamoroso dumping fiscale? Si vedrà. Intanto, nei circoli degli anziani, nel bresciano come nel frusinate, fioccano le discussioni sulle temperature medie a Creta o su quanti giorni all’anno piove a Corfù.