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 2013  gennaio 18 Venerdì calendario

Prima è stata la fabbrica del mondo, e in parte ancora lo è, anche se grandi aziende americane stanno riportando la produzione in patria

Prima è stata la fabbrica del mondo, e in parte ancora lo è, anche se grandi aziende americane stanno riportando la produzione in patria. Poi la Cina è diventata, oltre che gigantesco opificio dickensiano, anche laboratorio, centro di ricerca, sede di progettazione planetaria. E da «leader di costo» si è trasformata in un temibile «leader di qualità», che alla «forza-lavoro» tradizionale aggiunge una quota imponente di «cervello-lavoro» per diventare sempre più competitiva. Si può leggere in questa luce l’inchiesta del New York Times secondo cui il prossimo boom made in China sarà quello dei laureati: e in una misura mai vista prima. I numeri sono impressionanti. Pechino investe 250 miliardi di dollari l’anno in capitale umano, con un piano nazionale di istruzione che va dalle campagne alle città. Nell’ultimo decennio il Paese ha visto raddoppiare le università, che oggi sono circa 2.500, mentre il numero dei laureati è quadruplicato, raggiungendo quota 8 milioni l’anno. Nel 1996, solo un diciassettenne su sei si diplomava, più o meno la stessa percentuale degli Stati Uniti nel 1919. Oggi si diplomano tre su cinque, come nell’America degli anni Cinquanta. Di questo passo, entro il decennio, la Cina conterà 195 milioni di laureati contro 120 milioni di laureati americani. Il boom porrà in primo luogo una sfida al potere di Pechino, perché la diffusione della cultura porterà come un’onda la richiesta di più democrazia. Ma riguarda anche noi. Perché, è vero, quantità non significa qualità. Ma la considerazione non consola. Le università cinesi miglioreranno e la motivazione del potere e della gente è fortissima. Basta andare in una qualsiasi università americana o al Politecnico di Torino per vedere con i propri occhi l’impegno con cui si applicano gli studenti cinesi; e per capire che l’Occidente deve affrontare una sfida che si gioca sui luoghi di lavoro ma anche, e soprattutto, sui banchi di scuola. Certe posizioni ottocentesche, di chi in Europa e in Italia si oppone al rinnovamento della scuola, come se il confronto globale non esistesse, sono ormai quasi patetiche. Edoardo Segantini