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 2013  gennaio 18 Venerdì calendario

Sandra Petrignani raccoglie in questo suo struggente Addio a Roma (edito da Neri Pozza, pp. 336, 16,50) i frammenti di un mondo scomparso, la «capitale degli artisti e degli scrittori» che non c’è più

Sandra Petrignani raccoglie in questo suo struggente Addio a Roma (edito da Neri Pozza, pp. 336, 16,50) i frammenti di un mondo scomparso, la «capitale degli artisti e degli scrittori» che non c’è più. O è oramai dispersa. Ossificata. Delusa. Frantumata. «Coraggio, il meglio è passato», è il motto di Ennio Flaiano che campeggia sulla quarta di copertina del libro. Purtroppo, non è (solo) una battuta, una delle trovate geniali che rendono prezioso il repertorio flaianesco. È un’amara constatazione. La percezione che la repubblica romana delle arti e delle lettere si è estinta. E che oggi il compito, realizzato con grande piglio narrativo dalla Petrignani, è evocarne i fantasmi, dare nuova vita a qualcosa che non si muove più. Una società letteraria carica di passioni, furori, nevrosi. Certo, c’è la politica a dividere gli animi, a spaccare i cenacoli, a mettere fine ad amicizie e sodalizi. Ma c’è qualcosa che eccede la politica e che aleggia nelle redazioni delle case editrici e dei giornali, nelle stanze della Rai, nelle tante gallerie d’arte, in un’istituzione pubblica come la Galleria Nazionale d’Arte Moderna (la Gnam) condotta per tanti anni e tra furibonde polemiche da Palma Bucarelli, una regina dei salotti culturali romani, molto amata e molto odiata, che in questo libro rivive nel suo fitto reticolo di amicizie, collaborazioni, contrasti, amori, tradimenti. E ci sono i caffè, le librerie, i luoghi del ritrovo intellettuale, il mondo del cinema, le pattuglie di geniali sceneggiatori, i teatri. L’arco temporale preso in considerazione da Sandra Petrignani copre circa un trentennio, ma sono gli anni Cinquanta i veri protagonisti. Trattati con la nostalgia di chi non li ha vissuti direttamente ma che si alimenta di testimonianze, di battute, di rievocazioni. È la Roma che attira scrittori, artisti, registi, sceneggiatori che non sono nati nella Capitale ma che hanno trovato in Roma la loro patria elettiva. È in questa atmosfera che matura il progetto di un film come La dolce vita di Fellini (con l’apporto fondamentale di Flaiano), che pullulano le gallerie d’arte, i movimenti, i gruppi dove si inscena la grande battaglia tra «astrattisti» e «figurativi». È in questa atmosfera che nasce il nuovo romanzo, le avanguardie, le grandi mostre con il richiamo di artisti sommi che dividono l’opinione pubblica, creano polemiche, disintegrano appartenenze ideologiche. Sandra Petrignani ha il merito di non dimenticare nomi, vie, piazze, caffè, librerie. Accanto a quello che accade dalle parti di via Veneto o di piazza del Popolo ci sono gruppi più appartati, o addirittura intellettuali isolati che non aderiscono al mainstream dominante, che coltivano una vena di eccentricità a tratti politicamente sospetta se non sulfurea, come Elémire Zolla e Cristina Campo, solitamente esclusi dalle storie letterarie e dalle antologie del pensiero intellettuale italiano. Viene citata una figura cruciale e oggi scioccamente dimenticata come quella di Nicola Chiaromonte, che con Ignazio Silone e Gustaw Herling ha dato vita a una delle più belle riviste del dopoguerra, «Tempo Presente». Ci sono Pasolini, la Morante e ovviamente Moravia. E naturalmente il premio Strega, con la Petrignani che racconta un memorabile scontro tra Carlo Cassola e Italo Calvino. Ci sono gli amori che si intrecciano in un ambiente che non teme contaminazioni e connubi. Le donne che si innamorano perdutamente di giovani leoni della vita artistica come Mario Schifano, Franco Angeli e Tano Festa. C’è l’evocazione continua di Paola Pitagora, il cui memoir Fiato d’artista viene in questo libro citato e adottato come canovaccio di una narrazione che combina in alcuni punti rigorosa ricostruzione storiografica e fiction, attraverso l’elaborazione di un personaggio femminile, Nina, attratta dall’effervescenza intellettuale di un mondo pieno di curiosità, di ricerche, di velleità, anche di sconsideratezze, ma sinceramente vitale e sempre in discussione. Ecco, un mondo scomparso, sepolto. Cosa abbia contribuito a radere al suolo la varietà di questo universo intellettuale che ha vivacizzato lo spirito e la cultura di Roma non è ancora così chiaro. La televisione? Troppo semplice e semplicistica come risposta. Forse l’inevitabile appiattimento che la modernità ha indotto nel mondo degli intellettuali, sempre più ricercati nei salotti eppure sempre meno ascoltati, sempre meno leader d’opinione. Forse Alberto Arbasino, uno dei protagonisti di queste pagine di Sandra Petrignani, potrebbe regalarci una spiegazione convincente. Nel frattempo il libro ci restituisce la pienezza e la ricchezza di una rete di rapporti di cui l’Italia e Roma in particolare si sono colpevolmente sbarazzate. Un patrimonio che non deve essere perduto, ma ricostruito in ogni suo volto, in ogni sua piazza.