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 2012  dicembre 06 Giovedì calendario

OSPEDALI MILITARI, CHE SPRECO BELLI, COSTOSI MA RESTANO VUOTI

[Con la leva non più obbligatoria le strutture sono utilizzate poco o nulla: padiglioni chiusi, letti vuoti, medici inoperosi. L’esempio milanese di Baggio] –
Eccola qui, una faccenda che ben riassume la situazione in cui si dibatte questo nostro boccheggiante Paese: uno solleva un problema, tutti ad annuire con espressione seria - «e certo, va risolto immediatamente!...» - poi passano gli anni e cambia nulla. Per dire: giusto l’altro giorno mister Monti, sempre serissimo e pienissimo di seissimo, ha avvertito che «ocio, qui di soldi non ce n’è, e anche la sanità pubblica è meglio si dia una regolata». Umile suggerimento: ma se cominciassimo a sfruttare davvero le risorse che già abbiamo?
STANZE E POSTI LETTO
Prendiamo allora l’ospedale militare di Baggio, periferia di Milano. Un luogo mitologico, ai tempi della leva obbligatoria ci finiva chi non poteva fare il soldato per motivi fisici, oltre naturalmente agli aspiranti imboscati che s’inventavano depressioni e malanni i più incredibili per schivare un anno di alzabandiera. E però, guarda il caso, la leva obbligatoria non c’è più, e mica da ieri. Mentre l’ospedale sì, per di più ben tenuto dalle autorità militari e perfettamente funzionante. Un problema da noi sollevato addirittura tre anni fa, dopo essere riusciti a farci un giro interno. E dunque scrivevamo che «l’ospedale di Baggio è vuoto. O meglio, semi vuoto: ti aggiri per i vialetti del grande parco piantato ad abeti, c’è qualche macchina parcheggiata, su quelle panchine nessuno si siede da chissà quanto. Segui i cartelli che segnalano i diversi padiglioni, passi davanti agli edifici ben conservati, t’immagini decine di stanze e centinaia di posti letto. Peccato che la maggior parte di questi sia chiusa, le finestre giù, sbarrate, nessun segno di attività. Vai a bere un caffé nel baretto che fa angolo, poi un altro giro, c’è una piazzetta con un paio di ambulanze verdi, entri nel corpo centrale del grande complesso e hai l’impressione di trovarti in un ospedale nuovo, curato, pulito». E ancora: «Ecco un isolato degente, attualmente ci dicono essere una trentina. Poi un gruppetto di medici, a onor del vero sembra passeggino, qualche dottore lì a presidiare il suo settore, sarà anche giovedì ma l’impressione è che l’attività non sia davvero frenetica. Peraltro, sembra stiano allestendo quattro sale operatorie. E comunque, secondo i dati, qui a Baggio ci sono 45 ufficiali medici effettivi, 31 sottufficiali paramedici: in tutto oltre 70 unità di personale. Pochissime per un grande ospedale in funzione, ma certo troppe per una struttura che pare pressoché inoperosa».
E in questi tre anni che cosa è cambiato? Nulla, è cambiato nulla, se non magari qualche numero. Anzi, qualcosa di sostanzialmente diverso c’è: le sale operatorie. Sono state ultimate. E regolarmente pagate: quattro milioni, per l’appunto.
INTERROGAZIONE
La questione è riemersa dall’oblio in seguito a un’interrogazione del senatore leghista Fabio Rizzi. Il quale, per l’appunto, ha chiesto al governo che cosa intenda fare con la sanità militare, del cui riordino si parla da tempo immemorabile. Anche perché l’organizzazione attuale si basa fondamentalmente su una legge degli anni Trenta, quando ancora nemmeno esisteva una sanità pubblica, e dunque soldati e loro famiglie si curavano nelle strutture dedicate. Ma adesso - com’è ovvio - anche i militari di professione usufruiscono del Sistema Sanitario Nazionale. Cioè: per avere una medicina vanno dal medico di famiglia, mica da quello militare. Senza contare che, nonostante esista una comune Direzione generale della sanità militare, poi ogni corpo ha una sua struttura di fatto autonoma: una l’Esercito, un’altra la Marina, e poi una l’Aeronautica e una i Carabinieri.
Quindi: innanzitutto accorpare tutto l’ambaradan. E poi aprirle anche ai civili, così da poter sfruttare in tutte le sue potenzialità una risorsa di prim’ordine - così come fanno in altri Paesi europei. Nell’agosto scorso il ministero della Difesa ha già diffuso una circolare che invitava a stringere accordi con le Asl. E in settembre ancora il ministero ha invitato Difesa spa- la società che si è presa in carico molte attività comunque collegate con l’universo militare - a mettere a reddito le strutture in questione, dunque proprio aprendole agli utenti civili. Ma la cosa pare si sia persa nei meandri del labirinto burocratico.
APRIRE AI CIVILI
E allora torniamo al caso emblematico, quello dell’ospedale militare di Baggio. E però chiedendo lumi a un civile, il dottor Carlo Montaperto, direttore medico del presidio dei polimabulatori di Milano. Il quale ci conferma che «sì, la proposta di aprire quella grande struttura all’utenza civile l’abbiamo avanzata eccome. Inviando una lettera, circa un mese fa, ai vertici dell’ospedale stesso.E dunque chiedendo di impostare un rapporto di collaborazione, anche perché era venuto dagli stessi ambienti militari l’impulso a sfruttare degli spazi potenzialmente attivi ma di fatto inoperosi. Una cosa che servirebbe all’intera collettività: decongestionando le affollate strutture pubbliche civili, evitando alla sanità pubblica di pagare affitti onerosi, e comunque sfruttando appieno le risorse statali e di conseguenza facendo risparmiare lo Stato stesso». E com’è andata? «La cosa pareva ben avviata, abbiamo trovato un’ambiente molto ben disposto, ci sono stati anche dei sopralluoghi tecnici. Poi più nulla, il silenzio ».
Poteri della burocrazia.