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 2012  dicembre 06 Giovedì calendario

INTERVISTA ALBERTO BOMBASSEI


Lo chiamano «il Bomba». Quando era presidente della Federmeccanica, tra il 2001 e il 2004, i metalmeccanici che andavano nella capitale a manifestare, cantavano Antonello Venditti: «E, Bomba o non Bomba, noi siamo arrivati a Roma… malgrado lui». Da lì è nato il mito di Alberto Bombassei falco, di duro della Confindustria. Un mito che lo ha penalizzato durante la corsa per la presidenza dell’associazione degli imprenditori vinta dallo schieramento moderato che ha sostenuto Giorgio Squinzi. «Non ricominciamo con questa storia del falco, che non è vero» dice sorridendo sotto i baffi.
L’azienda della quale è presidente è la Brembo, leader mondiale degli impianti frenanti con 1,3 miliardi di fatturato e una presenza in 35 paesi del mondo, in forte sviluppo anche di questi tempi: nel 2011 il giro d’affari ha fatto un balzo del 16,7 per cento e si prevede un aumento a due cifre anche per il 2012; gli utili 2011 sono saliti del 33 per cento. «L’azienda va bene, io invece in questi giorni ho mal di schiena. Dovrei fare del movimento, lo so, ma uso la cyclette come attaccapanni. Un po’ come l’Italia: non è vero che tutto va male, non è affatto vero, la situazione non è così fortemente negativa come viene percepito normalmente. Molte realtà vanno bene, alcune benissimo. Poi naturalmente ci sono quelle che vanno male, ma sono quelle, diciamolo, che si rivolgono prevalentemente al mercato nazionale, dove i consumi sono al minimo storico. Basterebbe fare un po’ di movimento».
Il fine è chiaro, è il come che non si capisce.
L’obiettivo non so se sia poi così chiaro. Per me l’obiettivo è crescere, perché solo crescendo si mettono più soldi nelle tasche della gente.
Matteo Renzi propone di dare 100 euro in più a chi guadagna meno di 2 mila euro al mese.
Mi pare di averlo già letto nel Manuale delle giovani marmotte.
La piattaforma per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici prevede un aumento di 150 euro al mese in tre anni. Le sembrano abbastanza?
Credo potranno essere di più, perché questo aumento si può calibrare nei tre anni di durata del contratto spostandone una parte dal contratto nazionale agli accordi aziendali, così da approfittare della nuova legge sulla produttività che defiscalizza gli aumenti salariali aziendali. Questo significa che saranno più di 150 euro lordi.
Ma la Fiom non è al tavolo, e sarebbe il terzo contratto dei metalmeccanici senza la firma dei metalmeccanici della Cgil.
Sì, e due li ho fatti io da presidente della Federmeccanica.
La Fiom dice che voi non la volete.
Non è vero, non posso dire le giornate intere spese per cercare di convincerli a sedersi al tavolo e discutere dei contratti, ma non c’è mai stato modo... e poi non li si può legare alla sedia. D’altra parte la loro posizione è più politica che economica.
Come mai gli imprenditori ora sono così remissivi? Solo in Italia esiste una tassazione sulle imprese del 68 per cento, eppure la vostra voce si è affievolita. Come mai?
È vero che le tasse sono alte, però solo noi abbiamo un’evasione del 18 per cento sul pil.
C’è molta evasione perché le tasse sono alte o le tasse sono molto alte perché c’è molta evasione?
Vorrei tanto rispondere la seconda che ha detto, ma credo che sia la prima.
Resta il fatto che le tasse...
Non è questo il problema. La joint-venture che abbiamo in Germania non paga molto meno della Brembo in Italia, la differenza è che là funziona tutto: l’amministrazione pubblica, i trasporti... E poi come possiamo competere con un costo dell’energia che è il più alto d’Europa? Il problema è di efficienza globale del sistema. L’Italia non è efficiente ed è questo il principale motivo per il quale le imprese delocalizzano.
E lei? Ha delocalizzato?
Sì.
Ma come sì, perfino lei...
Da italiano mi dispiace, è una cosa che mi fa male, proprio qui, nello stomaco.
Come è andata?
C’era la possibilità di ottenere una importante commessa in Germania, ci siamo messi al tavolo e abbiamo fatto e rifatto tutti i conti mille volte e ci siamo resi conto che, se quella commessa l’avessimo fatta qui in Italia, l’avremmo persa perché i costi sarebbero stati troppo alti rispetto agli altri concorrenti. Quindi, per vincerla, abbiamo deciso di produrre all’estero. Questo succede quando un Paese non è più competitivo.
E quanti posti di lavoro ha perso in Italia?
Nemmeno uno ma, sa, la delocalizzazione comincia così: prima si trasferisce la produzione, poi i posti di lavoro... Io non lo farò, tuttavia, se vogliamo che non lo facciano altre centinaia, migliaia di imprese, occorre svegliarsi. Dico: almeno diventare un Paese normale.
E come si diventa un paese normale?
Puntando dritto agli Stati Uniti d’Europa. Quella che c’è adesso è un’incompiuta.
Da imprenditore le sembra normale che un magistrato chiuda una fabbrica come l’Ilva e sequestri i prodotti finiti perché «corpo del reato»?
È una decisione assolutamente inaccettabile. Nessuno pensa di fare uno scambio tra la salute e il lavoro, su questo non si discute nemmeno, ma gli obblighi posti dal governo erano proprio quelli di lavorare e contemporaneamente risanare. La strada era quella. Perciò fermare tutta la filiera è una decisione che trovo assurda, c’è qualcosa che non funziona nel sistema. È una decisione che mi preoccupa anche da cittadino perché rivela quasi una mania di protagonismo, rischia di sollevare problemi sociali di cui non abbiamo bisogno e dà dell’Italia un’immagine drammatica all’estero. Se lo immagina un americano che legge quello che accade a Taranto? Col tubo che viene qui a investire!
D’altra parte è vero che ciò che sta emergendo dall’inchiesta è un sistema di pagamento delle stecche che ha dell’impressionante.
Se dovessero emergere delle irregolarità di questo tipo, io sono per la tolleranza zero. Però lei sa che queste cose… bisogna vedere se è corruzione oppure se è il sistema che chiede di essere pagato. Non conosco il caso specifico, so solo che la corruzione si fa in due.
Sta giustificando i Riva?
Ho detto e ripeto tolleranza zero, anzi, meno uno. La Confindustria già ora espelle chi ha comprovati rapporti con la mafia. Io sono dell’idea di espellere chi viene scoperto, con delle prove, a pagare tangenti. Se vogliamo moralizzare il Paese dobbiamo essere rigorosissimi con noi stessi, solo dopo possiamo fare i predicozzi agli altri.
Lei è consigliere d’amministrazione della Fiat Industrial, ma della decisione dei magistrati di fare riassumere alla Fiat di Pomigliano 19 persone che pensa? Non le sembra che la politica industriale italiana la stiano facendo i giudici?
Io non ho mai visto un’azienda vincere un ricorso di un dipendente per motivi di lavoro, ma vabbè… A questo punto non posso non dire che è stata applicata la legge, ma la cosa che mi ha colpito di più è stata l’informazione. Nessuno ha ricordato che cosa ha fatto la Fiat: Pomigliano esiste solo perché Sergio Marchionne ha ridotto il lavoro nella fabbrica polacca, una delle più produttive del gruppo, dove il costo della manodopera è un terzo rispetto al nostro, per portare la produzione a Pomigliano, dove ha investito centinaia di milioni per una nuova fabbrica che tecnologicamente è all’avanguardia nel mondo e che i suoi competitori chiedono di poter visitare. È un esempio al quale i grandi produttori mondiali si ispirano. Questo non lo ha ricordato nessuno. E sulla Fiat non dico nient’altro.
Lei dice che il problema non sono le tasse. Molti suoi colleghi non la pensano come lei, e va bene. Allora dica: la Brembo è nata 52 anni fa, sarebbe possibile fondarla oggi?
Se ai miei tempi le banche locali avessero dovuto seguire i parametri che devono seguire oggi, la risposta è no: la Brembo non sarebbe nata allora e non nascerebbe oggi.
Pomigliano, Ilva, le banche, le tasse… non le sembra che in Italia ci sia un sentimento antiimprenditoriale?
C’era. Era una cultura che veniva da altri ambiti. Non sono passati tanti anni da quando guru dell’economia, soloni, professoroni delle grandi università americane dicevano che il manifatturiero era old economy e che si sarebbe tutto trasferito in Cina, in India, e che noi in Europa avremmo dovuto concentrarci su servizi e finanza. Ecco, l’aria antimanifatturiera veniva da quegli ambienti e poi si è diffusa in molti ambiti, compreso, purtroppo, quello politico. Fu uno dei tanti, clamorosi errori degli economisti cervelloni. Fare sempre attenzione ai guru che spiegano il futuro come lo immaginano loro.
Lei dice che non è impegnato in politica, però sostiene Luca Cordero di Montezemolo, di cui è socio in Ntv, e il suo movimento Verso la Terza repubblica. Contraddittorio, non le sembra? Soprattutto se Montezemolo si candidasse.
Lei dice che si candiderà? Io non credo. La verità è che all’ultima convention alla quale ha parlato io ero in platea e non avevo la minima idea di quello che Montezemolo avrebbe detto. Ha dichiarato il suo appoggio all’agenda Monti e io sono d’accordo. Poi, che sia Monti o qualcun altro a portarla avanti, questo non lo so, anche se nel nostro mondo ci possono essere persone che potrebbero fare molto bene.
Per esempio lei?
Chi, io? Lo escludo per un problema di età. In altri paesi i politici hanno meno di 50 anni. Io sono più vecchio di Monti, per dire.
Che ne pensa dei candidati alla premiership che si affacciano alla ribalta?
Alcuni mi fanno un po’ paura.
Come giudica il risultato delle primarie del Pd?
Di Matteo Renzi apprezzo la spinta che ha impresso verso il rinnovamento che spero vada oltre il Pd e investa anche tutti gli altri partiti. D’altra parte conosco Pier Luigi Bersani e bisogna riconoscere che ovunque è stato ha fatto bene. In questo momento ci serve la sua esperienza, spero solo che non ricada nel vecchio modo di fare politica.
Cioè?
Il problema del Pd non è il Papa, sono i cardinali.