Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  dicembre 06 Giovedì calendario

SCAMPIA SENZA LEGGE LA CAMORRA UCCIDE NELLA SCUOLA MATERNA [I

killer sparano mentre i bimbi provano la recita di Natale] –
Luigi Lucenti aveva 50 anni, precedenti penali per droga e per estorsione. Il suo potere, a Scampia, lo aveva costruito sui “cavalli di ritorno”, ovvero sulla riconsegna ai legittimi proprietari di auto rubate, dietro pagamento di un riscatto. Ma ora pare si stesse occupando di affari molto più importanti per conto degli Abbinate, famiglia da sempre in relazione con i maranesi (i Nuvoletta storica famiglia napoletana legata a Cosa Nostra) e quindi per gli Scissionisti.
Si trattava di riaprire una delle piazze di spaccio tra le più lucrose, chiusa per la massiccia presenza delle forze dell’ordine sul territorio. Lucenti era sotto casa sua quando è stato inseguito da due sicari a bordo di uno scooter e volto coperto. È fuggito credendo di trovare riparo nel cortile di una scuola materna: forse pensava che chi lo voleva morto non si sarebbe spinto fin lì. Solo tre giorni fa un altro omicidio e anche in quel caso la dinamica è stata tutt’altro che consueta. Il corpo di Mirko Romano è stato trovato sulla superstrada perimetrale di Melito, tant’è che in un primo momento non si era pensato a un agguato di camorra, ma a un incidente stradale. Romano era esponente di punta degli «scissionisti », quindi due morti dalla stessa parte in pochissimo tempo. Aveva in tasca 3600 euro, al polso un Rolex e addosso un falso documento d’identità: è stato poi riconosciuto dalle impronte digitali. Motivo dell’omicidio, anche in questo caso spaccio, anche in questo caso riassetto delle piazze di spaccio. Sono omicidi di ristrutturazione aziendale. L’impresa del narcotraffico secondiglianese elimina dirigenti e concorrenti.
In questo momento di crisi è fondamentale capire quanto le piazze di spaccio siano tornate a essere centrali per i clan. Sono di nuovo la fonte primaria di ingresso di liquidità nelle casse; liquidità che può essere poi investita altrove. Ecco perché non mi stancherò mai di ripeterlo: parlare di legalizzazione in questo momento non è solo necessario, ma è anche una scelta obbligata per sottrarre alle organizzazioni le fonti primarie di approvvigionamento di denaro.
Viene da chiedersi: ma le operazioni militari fatte in questi mesi, le rassicurazioni istituzionali, la militarizzazione del territorio a cosa hanno portato? È evidente ormai che la presenza di forze dell’ordine non è sufficiente. Nonostante gli ottimi risultati che hanno bloccato moltissime piazze di spaccio, demolito cancellate a difesa del traffico di stupefacenti. Nonostante tutto, quel che è stato fatto non è sufficiente. Credo sia evidente che il controllo da parte dei clan non consiste solo nel disseminare il territorio di sentinelle e pusher. Il loro potere i clan non lo dimostrano solo ammazzando ovunque, chiunque e quando vogliono. Il controllo del territorio i clan se lo assicurano comprando negozi, supermercati, centri scommesse legali, sale bingo, supermercati. Aprendo ovunque «Compro oro», finanziarie, solarium, ristoranti. Avendo i loro camion che distribuiscono merci a prezzi competitivi. Potrei andare avanti all’infinito… Così si occupa un territorio, soprattutto quando lo Stato è debole, quando lo Stato è in crisi. Quando non ci sono soldi per le pattuglie, quando carabinieri, polizia e Guardia di finanza devono risparmiare su tutto. Le forze dell’ordine, con quel poco che hanno, sono riuscite a fare miracoli, ma la lotta è impari: di giorno si sgombera e di notte i clan si riappropriano di tutto.
Dove è finito il sogno? Dove è finita la speranza di «Napoli comincia a Scampia»? Di una città che iniziava a Scampia e che non finiva nei confini della città, ingorgandosi nei quartieri di periferia. Possibile che non si abbia il coraggio e l’onestà di ammettere che se a Napoli non si affronta davvero la questione Scampia non ci sarà mai reale rinascita? Possibile che ci si accontenti sempre e solo di dare di Napoli l’immagine-cartolina che ormai puzza di falso e alla quale nessuno riesce più a credere? Prese di posizione morali, manifestazioni e fiaccolate sono gesti simbolici importanti, la presenza delle associazioni e dei maestri di strada sono elementi determinanti, ma accanto a tutto questo quale politica di riforma è stata attuata? Quale creatività politica è stata spesa per questo territorio che ponesse centralità laddove invece c’è solo marginalità? Spostando magari gli uffici comunali dal centro alle periferie, cercando di occupare i territori di camorra con forze legittime. Facile a dirsi, mi si dirà. Io invece so che è difficilissimo, ma è fin troppo evidente che non si è nemmeno tentato.
Ieri mi è venuta in mente quella scena di Johnny Stecchino in cui si sente dire: «Il problema di Palermo è il traffico». Mi è venuta in mente perché, oltre alle emergenze rifiuti, alle promesse fatte e non mantenute, ai volti di giovani amministratori sbandierati in campagna elettorale e poi subito allontanati, ciò che accomuna le ultime amministrazioni di Napoli, da «piazza Plebiscito liberata » al «Lungomare liberato» è una costante, sbandierata, senza tregua lotta alle automobili. Ecco, questo è stato il miglior modo per mostrare un rinnovamento di pulizia. Ma la bellezza del lungomare, la luce partenopea e Castel dell’Ovo non sono generate dalla gestione politica. Di bellezza bisogna ancora crearne.
Persino gli ultimi pochissimi spazi concessi ai bambini di Scampia sono stati sottratti, sono stati occupati, sono diventati territorio di guerra. Se con la morte di Lino Romano la democrazia è stata uccisa, occupando con proiettili e sangue una scuola materna, è come se si fosse uccisa anche l’ultima speranza di togliere scampoli di terra, di cemento, di ossigeno al potere dei clan. E a questo non si può solo rispondere con il meraviglioso carnevale secondiglianese o delegato tutto solo e sempre alle associazioni e ai volontari, uniche vere risorse continue su un territorio che finisce al centro dell’attenzione mediatica solo quando si uccide spesso e in maniera eclatante.
L’agguato di ieri ci dice anche altro. Ci dice non solo che Scampia, che la periferia a nord di Napoli è ancora in guerra, che la faida è tutt’altro che finita, domata, repressa dalla presenza di militari sul territorio. L’omicidio di ieri ci dice soprattutto che questa guerra sta sconfinando, che sta invadendo ogni spazio e che anche quei luoghi, che ciascuno di noi aveva finora pensato al riparo, sono invece pericolosamente esposti.
I bambini della scuola materna di Scampia, dove Luigi Lucenti è stato ucciso, stavano cantando canzoni di Natale e fortunatamente non si sono accorti degli spari, gli insegnanti poi sono riusciti a farli uscire da un ingresso secondario. Cosa analoga accadde in Messico nel maggio 2011 quando, sentendo i colpi fuori dalla finestra, una maestra fece sdraiare come in un gioco i bambini sul pavimento della classe. Peppe Lanzetta questo territorio l’aveva definito un Messico napoletano e Scampia rimane un territorio dove ai bambini il cemento, e quindi la criminalità, ha sottratto ogni spazio, ogni speranza di bellezza. Ai bambini erano rimaste solo le loro scuole come baluardo, come fortino. Ma ora nemmeno lì sono più al sicuro, nemmeno quello è più il loro territorio.
Il dolore più grande è che queste parole, identiche, vengono spese sempre più spesso, ogni anno, ogni mese, diffondendo la peggiore delle sensazioni: che nulla possa cambiare e che anche questo nuovo corso politico si sia dimenticato di porre priorità vere, non arginando il problema criminalità, non affrontandolo
con risposte e con proposte. Napoli può essere un laboratorio e un progetto, ma il lavoro deve essere assiduo e duraturo, lento e incessante come tutte le vere riforme pretendono. Napoli non deve più essere un trampolino di bellezze storiche e forse morali da cui lanciarsi. Tutto questo sa di ennesima occasione sprecata. Occasione che la città, la sua periferia e tutto il Paese pagheranno per molto tempo.