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 2012  dicembre 04 Martedì calendario

STALIN SUGLI ALTARI DELLA GRANDE MADRE RUSSIA

Ho letto che Sergej Malinkovich, il presidente della sezione interregionale dei comunisti di Pietroburgo e della regione di Leningrado, uno dei membri più influenti del partito, ha chiesto che la Chiesa russa ortodossa canonizzi Stalin. Sappiamo che per gli ortodossi, a differenza dei cattolici, non è necessario avere fatto dei miracoli, ma sulle prime si avrebbe l’impressione di una frase scherzosa. Invece a Stalin, che da ragazzo aveva studiato in seminario, viene da Malinkovich ascritto il merito di aver riunito le terre russe, aver sconfitto i nemici della patria, aver creato una società giusta, essere stato l’eroe e il padre dei popoli: pertanto la richiesta di canonizzazione sarebbe giustificata. È noto che durante la guerra e anche successivamente Stalin tenne buoni rapporti con la Chiesa ortodossa ma si attribuisce il suo comportamento a opportunismo strategico. Potrebbe esprimere un giudizio?
Alberto Cotechini
alberticotechini@tiscali.it
Caro Cotechini, dopo la rivoluzione d’ottobre e la vittoria dei Rossi nella guerra civile, il regime sovietico fece del suo meglio per estirpare le radici della Chiesa ortodossa dal corpo della società russa. Perseguitò il suo clero, confiscò i suoi beni, trasformò le sue chiese in magazzini e officine, installò un museo dell’ateismo nella venerabile cattedrale di Kazan, costruita a Pietroburgo nei primi anni dell’Ottocento sul modello di San Pietro in Vaticano. E dopo la morte del Patriarca Tichon, nel 1925, vietò la elezione del suo successore. Ma dovette accorgersi che, a dispetto della politica ufficiale, il sentimento religioso era ancora largamente diffuso e profondamente radicato. Secondo Nicholas V. Riasanvosky, autore di una Storia della Russia edita da Bompiani, il censimento del 1936, mai pubblicato, avrebbe constatato che più della metà dei russi (55%) continuavano a proclamarsi «religiosi».
È certamente questa la ragione per cui Stalin, nel 1941, decise di allentare i lacci che paralizzavano la Chiesa. Per combattere una guerra «patriottica» in difesa del territorio nazionale, lo Stato voleva avere la Chiesa al suo fianco. Furono riaperti alcuni luoghi di culto, fu tollerata l’esistenza di seminari per la formazione del clero, fu permessa nel 1943 l’elezione di un patriarca. E la collaborazione della Chiesa fu ricompensata, dopo la fine del conflitto, con un dono generoso: il trasferimento all’Ortodossia dei beni ecclesiastici posseduti dagli uniati (i cattolici di rito greco) nei territori dell’Ucraina occidentale. Ma si trattò di un calcolato compromesso che non modificava l’ostilità del regime verso l’«oppio dei popoli», come il marxismo aveva definito la religione. La santificazione di Stalin avrebbe quindi il gusto amaro di una provocazione e di una bestemmia. Per la Chiesa ortodossa sono santi e martiri, dal 2000, lo zar Nicola II, la zarina Alessandra e i loro cinque figli, uccisi dai bolscevichi nella casa del mercante Ipatev, nei pressi di Ekaterinburg, il 16 luglio 1918. Come conferire la stessa dignità al loro persecutore?
È comunque interessante osservare che i discendenti di Lenin, per valorizzare se stessi e il loro idolo, abbiano oggi bisogno di una istituzione così lungamente disprezzata e combattuta. La proposta di Malinkovic dimostra che il partito comunista russo è ormai soprattutto nazionalista e che il suo maggiore capitale elettorale è in quelle fasce sociali dove gli anni della grandezza sovietica sulla scena mondiale vengono ricordati con nostalgia e rimpianto. Ma il nazionalismo, in Russia, non può prescindere dall’Ortodossia e dal suo ruolo nella formazione dell’identità nazionale. Vladimir Putin lo ha capito da tempo e non manca di ostentare, in ogni occasione pubblica, i suoi eccellenti rapporti con il patriarcato di Mosca.
Sergio Romano