Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  novembre 26 Lunedì calendario

«Caro amore, non stare in pena per me. Sono arrivata bene. Al momento c’è disordine, ma il cibo è molto buono

«Caro amore, non stare in pena per me. Sono arrivata bene. Al momento c’è disordine, ma il cibo è molto buono. Mi raccomando, non prendertela. Le cose si sistemeranno. Un bacio a te e alle bambine con tutta l’anima, con tutto il mio affetto». È il pomeriggio del 15 luglio 1942 e Irène Némirovsky, trasferita al campo di Pithiviers, scrive al marito Michel Epstein, non ancora coinvolto negli arresti di ebrei da parte dei nazisti e dei gendarmi collaborazionisti di Vichy. Era stata arrestata il 13 luglio nella sua casa di Issy-l’Évêque dove si era rifugiata con le due figlie: Elisabeth e Denise, nel maggio del 1940, per sfuggire agli orrori della guerra. La sua prigionia nella Francia che tanto amava, e che aveva eletto a sua patria, dura pochi giorni. La mattina del 17 luglio è già sul convoglio ferroviario diretta ad Auschwitz, dove arriverà due giorni dopo. Le resterà un mese di vita. Il 19 agosto, alle ore 15.20, come attesta un documento del campo, Irène Némirovsky muore a causa di una un’epidemia di tifo. Poco prima di lasciare la Francia, aveva scritto ancora una volta ai suoi cari: «Mio amato, mie piccole adorate, credo che partiremo oggi. Coraggio e speranza. Siete nel mio cuore miei diletti. Che Dio ci aiuti tutti». Come nella precedente lettera da Pithiviers, parole di fiducia e di angoscia. Nei lunghi mesi del suo soggiorno/esilio in campagna (tra la noia mortale e l’isolamento, scriverà), aveva vissuto ore di totale disperazione, senza mai abbandonare l’idea che il successo letterario le consentisse di avere un trattamento privilegiato, nonostante le leggi sempre più restrittive contro gli ebrei stranieri. E, contro ogni misura repressiva, non aveva smesso di scrivere e di chiedere ai suoi amici editori (spesso appartenenti alla destra antisemita francese), spazio per continuare a pubblicare racconti e romanzi, oltre a un’opera cui lavorò intensamente, come la Vita di Cechov. Il progetto che la preoccupava di più, tuttavia, era la scrittura di una narrazione di grande respiro, che doveva comporsi di cinque volumi e superare le milleseicento pagine con titolo di Suite française. «Ciò che mi interessa a tal proposito — scrive Irène Némirovsky — è la storia di un mondo posto di fronte al pericolo», per raccontare, nel profondo, la reazione alla disfatta e all’occupazione dei diversi strati della società francese; gli avvenimenti storici di cui anche lei era vittima le sarebbero serviti da scenario, per disvelare il «cuore dell’uomo», lo scorrere della vita nel succedersi dei giorni e degli eventi. Di questo grande progetto, realizzerà solo due parti: Temporale di giugno e Dolce. Al centro dei due romanzi, un rispetto assoluto della vita umana, lontano da ogni presa di posizione politica. A tal proposito, scrive che sarebbe necessario mostrare «parallelamente» alla morte del soldato francese, «quella del soldato tedesco, ambedue colmi di dolorosa nobiltà». Sarà con il terzo romanzo di Suite francese che Irène Némirovsky si porrà l’obiettivo di rendere più esplicita la sua posizione politica nei confronti dell’occupazione tedesca e del collaborazionismo. L’eroe del romanzo, dal titolo Captivité, doveva essere Jean-Marie Michaud, sempre più deluso dal regime di Vichy. Eppure, nonostante questo deciso j’accuse, la Némirovsky non si avvicinerà mai con sentimento positivo alla Resistenza; nemmeno a quella non comunista del generale De Gaulle. Irène arriva in terra francese con la sua famiglia nel 1919, in fuga dalla Russia comunista, dopo aver soggiornato per un breve peridio in Finlandia e in Svezia. Come altri russi bianchi, il padre, Leon Némirovsky, non fuggiva a causa della miseria ma per allontanarsi da un regime che non era compatibile con la sua professione di ricco banchiere. Tuttavia, la famiglia non legherà né con gli immigrati russi ebrei, né con gli altri russi bianchi. Nel 1926, quando Irene ha 23 anni (era nata a Kiev il 24 febbraio 1903), l’incontro e il matrimonio con Michel Epstein, ebreo russo la cui famiglia è legata al mondo degli affari. A quel tempo la sua passione per la scrittura è già un dato di fatto e il romanzo Le Maletendu (pubblicato dall’editore Fayard) è considerato una rivelazione. L’anno successivo [1927], lo stesso editore pubblica L’Enfant génial, una novella in ambiente ebraico e nel 1928 il romanzo breve L’Ennemi, che traccia il quadro al vetriolo di una madre le cui azioni hanno un effetto devastante sui figli. Ma è con il manoscritto dal titolo David Golder che la Némirovsky raggiungerà a soli 26 anni l’apice del successo letterario. Respinto in prima battuta da Fayard, perché troppo lungo, fu l’editore Grasset a pubblicarlo nel 1929. La storia dell’ebreo arricchito, che si muove con ambizione nel mondo degli affari e della speculazione, in quegli anni in cui la cultura antisemita di origine religiosa è assai diffusa, trova udienza nel pubblico conservatore che frequenta gli ambienti della destra e della grande e media borghesia e ne legge i giornali o i settimanali di punta: tra gli altri, «Candide», «Je suis partout», «Gringoire» (su alcuni dei quali la Némirovski pubblicherà molti racconti e romanzi prima di ristamparli in libro). Da questo momento, e fino al 1941, scrive un romanzo all’anno (a esclusione del 1932 che segna la morte del padre e del 1937, anno di nascita della seconda figlia Elisabeth). «Continuo a dipingere la società che conosco meglio, e che si compone di gente squilibrata, fuoriuscita da un ambiente in cui avrebbe vissuto normalmente e che si adatta alla nuova vita con sofferenza e traumi», dichiarò nel corso di un’intervista radiofonica. Ebrei affamati di denaro, donne e uomini che vivono nel matrimonio come ancora di salvezza della famiglia, ma tradendo per amore, per interesse o debolezza il loro consorte, sono alcuni dei personaggi dei romanzi che incanteranno il pubblico numeroso dei lettori: Il Ballo (1930), Jezabel (1936), Due (1939), I cani e i lupi (1940). Conversione al cristianesimo, successo di lettori e salotti della borghesia finanziaria e politica francese non le serviranno a salvare la sua vita e quella del marito deportato ad Auschwitz nel novembre del 1942. Il suo «penso e sogno in francese», non le servirà a rovesciare le sorti del suo tragico destino.