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 2012  novembre 25 Domenica calendario

LE AVANGUARDIE DELLA CIA

Nell’ultimo romanzo di Ian McEwan, tradotto e pubblicato da Einaudi con il titolo Miele, Serena Frome viene arruolata dall’agenzia di intelligence britannica. Ma la sua non è una storia di spie come tutte le altre. La missione cui è chiamata agli inizi degli anni Settanta, un’epoca di grande turbolenza sociale e culturale, è una missione ideologica: deve conquistare alla causa dell’Occidente, in funzione anticomunista, scrittori e intellettuali capaci di diffondere il verbo delle «società libere». «Libertà di parola, libertà di riunione, diritti legali, sviluppo democratico: non sono cose molto apprezzate oggigiorno da molti intellettuali», le dice il capo dei servizi segreti. Per questo il compito della neo-spia è di assoldare, a loro insaputa, esponenti della minoranza culturale attestata su posizioni filo-occidentali.
Fantapolitica, fantastoria, deformazione letteraria della realtà? No, e infatti nel romanzo di McEwan viene esplicitamente menzionata la rivista «Encounter», molto elegante e molto cool, già diretta da Stephen Spender, che nel 1966 venne travolta da una clamorosa rivelazione: finanziatrice della rivista era la Cia, attraverso le sue fondazioni. E pagate dalla Cia, si rivelò allora, erano state tutte le riviste legate al «Congresso per la libertà della cultura». Compresa una rivista bellissima e controcorrente in Italia, «Tempo presente», diretta da Nicola Chiaromonte, da Ignazio Silone e da Gustaw Herling, il grande intellettuale polacco che aveva raccontato il Gulag e che, a Napoli, sposò una figlia di Benedetto Croce. Dopo quella rivelazione «Tempo presente» entrò in uno stato di agonia. Lo stesso Chiaromonte, combattente antifascista nella guerra di Spagna, amico degli intellettuali anticonformisti negli Stati Uniti, a cominciare da Hannah Arendt e Mary McCarty, critico teatrale, polemista, nemico di ogni totalitarismo, di quello fascista e di quello comunista, morirà qualche anno dopo, stroncato da un infarto in un ascensore della Rai, dove si era recato per trattare per qualche collaborazione, oramai isolato nella comunità culturale orientata a sinistra.
McEwan, cioè, fa esplicito riferimento a uno degli episodi controversi di una grande «guerra fredda culturale» che ha diviso il mondo intellettuale lungo tutto l’arco temporale del mondo spaccato in due blocchi, quello occidentale e quello comunista. Una storia ricostruita, da due punti di vista opposti, da Massimo Teodori, filo-americano, nel suo libro Benedetti americani, e da Frances Stonor Saunders, che con il suo La guerra fredda culturale (tradotto e pubblicato in Italia dall’editore Fazi) ha rivisitato l’intera vicenda sottolineando l’aspetto scandaloso di intellettuali che hanno prestato la loro opera generosamente finanziati nientemeno che dalla Cia, considerata la quintessenza di ogni nefandezza illegale dell’Occidente, un centro di provocazione permanente, una rete perennemente impegnata nella destabilizzazione delle democrazie.
E infatti, quando vennero rivelati i finanziamenti della Cia, lo scandalo fu generale (se ne adontò persino Isaiah Berlin, dichiarando che, ad averlo saputo, non avrebbe mai collaborato con «Encounter»). Ma non tutti conoscono l’ampiezza degli interventi della Cia sulla cultura. E non è esagerato constatare, come si evince dai libri appena citati, che vennero foraggiati dal servizio segreto americano non soltanto un Koestler, veementemente impegnato nella battaglia culturale anticomunista, ma una buona parte dell’avanguardia artistica e musicale, americana ed europea. «Se si leggono i nomi dei membri dei vari comitati del Museum of Modern Art di New York (Moma)», scrive Saunders, «si scopre una proliferazione di collegamenti con l’Agenzia» e già dal 1948 le opere di molti «maestri del modernismo», da Matisse a Chagall a Kandinsky, «furono scelte dalle collezioni americane e inviate in Europa». Allo stesso Andy Warhol non furono lesinati aiuti e sostegni. Vennero promosse mostre ed esibizioni in tutto il mondo occidentale di Jackson Pollock, di De Kooning, di Mark Rothko. Un forte sostegno, ovviamente segreto, venne anche garantito sia a musicisti d’avanguardia che a storiche orchestre sinfoniche, come quella di Boston, di cui furono messe a punto lunghe e fruttuose tournée in Europa. L’aiuto non mancò nemmeno a molti maestri del cinema come John Ford, e molte opere americane destinate a importanti Festival del cinema, a cominciare da quello di Cannes, avevano ricevuto fiumi di denaro di provenienza Cia.

In Italia, la rivista «Tempo presente» era molto snobbata dalla cultura di sinistra. Gravava su Silone l’eterno sospetto riservato agli ex comunisti che, rompendo con il partito, avevano scelto una presenza militante nel campo opposto. L’onestà intellettuale di Chiaromonte era cristallina. Ma le rivelazioni pesarono moltissimo, e negativamente, sui destini di quel gruppo intellettuale sospettato di essersi messo al servizio dell’«imperialismo americano». Ma bisogna capire che le ragioni per le quali la Cia finanziava tante iniziative culturali non coincidevano con una forma di disinteressato mecenatismo. Gli Stati Uniti, intelligentemente e con grande lungimiranza, volevano dimostrare che la cultura libera dell’Occidente non aveva paura delle innovazioni formali e dell’anticonformismo delle avanguardie. E che nell’Occidente si respirava tutt’altra aria rispetto a quella, soffocata dall’oppressione e dalle regole ferree del «realismo socialista», che dominava le società comuniste obbedienti a Mosca. Di qui la libertà, di là la repressione e l’asservimento degli intellettuali al regime: questo era il motivo per cui le amministrazioni americane ritenevano indispensabili le armi della «guerra fredda culturale». Lo stesso motivo che è alla base dell’arruolamento di una giovane dinamica e vivace nell’intelligence britannica in funzione anticomunista. Una guerra militare. Una guerra psicologica. Una guerra culturale. Il mondo finito con il crollo del muro di Berlino e con la fine dell’Unione Sovietica si divideva anche nelle arti, nei suoni e nelle lettere. E tutto aveva un prezzo.
Pierluigi Battista