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 2012  novembre 11 Domenica calendario

BRAVO CHI LEGGE

Quando Roland Barthes decretò la «morte dell’autore», intendeva dire che quando un "testo" (che può essere un dipinto o un brano musicale) diventa di dominio pubblico, l’autore non controlla più il suo prodotto. È il pubblico che lo fa, decifrandolo in una varietà di modi. Non vi è un significato originale. Per questo due amici, che si conoscono bene, di età e di cultura simile, hanno spesso esperienze diverse leggendo lo stesso libro o dopo avere visto lo stesso film.
Ma per diventare lettori occorre imparare a leggere.
Spesso si pensa che la prosperità, l’industrializzazione e l’urbanizzazione porti a una moltiplicazione dei lettori potenziali. Tuttavia, la corrispondenza tra la ricchezza di una Nazione e i suoi tassi di alfabetizzazione è lungi dall’essere perfetta – né vi è un legame stabile tra alfabetizzazione (la capacità di decifrare le lettere o di porre la propria firma) e la lettura (la lettura effettiva).
L’alfabetizzazione non crea né un mercato per i libri, né un pubblico universale. È vero che gli analfabeti non leggono, ma per leggere un libro non è sufficiente saper leggere. Occorrono i mezzi per comperare un libro, occorre il tempo libero per leggerlo, occorrono, spesso, incentivi sociali per leggere, e, soprattutto, occorre una certa istruzione per capire e gioire di cosa si legge. Poche di queste condizioni esistevano prima dell’Ottocento. E quando queste emersero decisamente, negli ultimi cent’anni, furono subito sottoposte alla concorrenza di nuovi mezzi per la diffusione della cultura: il cinema, la radio e poi la televisione – tutti mezzi per i quali le competenze necessarie al consumo sono inferiori a quelle richieste per la lettura.
La strada verso il consumo dei libri è sempre piena di ostacoli, eppure il numero dei lettori ha continuato a salire.
Oggi non sapere essere analfabeta è un grosso handicap. Non fu sempre così. All’imperatore Carlo Magno non fu insegnato né a leggere né a scrivere. Lo storico franco Eginardo nella sua famosa Vita di Carlo Magno (830 dopo Cristo ) ci dice che l’imperatore era in grado di parlare latino, masticava un po’ di greco, prendeva lezioni di grammatica, retorica, astronomia e matematica, e anche che si sforzava di scrivere e di «abituare la mano a formare le lettere», ma avendo lui cominciato in tarda età, tali sforzi non ebbero successo. Insomma, diciamolo pure: Carlo Magno era analfabeta.
Si è tentati di pensare che l’incremento dell’alfabetizzazione sia stata una costante fino all’arrivo dell’istruzione pubblica obbligatoria, ma le cose non sono così semplici. In percentuale più bambini andavano a scuola nella Firenze nel 1338 che in quella del 1911. Nel Medioevo l’alfabetizzazione nel Nord Italia era tra le più elevate d’Europa, poi l’Italia perse terreno. In Spagna intorno al 1625, il tasso di alfabetizzazione era simile a quello della Francia e dell’Inghilterra, ma nel 1860 la Spagna aveva uno dei più bassi tassi di alfabetizzazione in Europa.
Determinante nell’espansione del numero dei lettori fu lo Stato. Il sistema di istruzione nazionale non solo insegnava ai bambini a scrivere, ma creava un ampio mercato per i libri di testo, diffondeva una lingua nazionale (allargando il mercato per tutti i libri), rimuoveva i bambini dalla loro cultura locale e familiare e li costringeva ad affrontare quelle degli altri. Per entrare nel mondo dei libri occorre uscire dal mondo ristretto della famiglia e del villaggio.
La separazione dall’ambiente familiare, sia per poche ore al giorno o per intere parti l’anno, è infatti un fattore che contribuisce al dinamismo culturale, in particolare se il contrasto tra i valori della famiglia e quelli del sistema di istruzione è elevato. Tale separazione fu sfruttata da repubblicani anticlericali, per i quali l’ignoranza veniva identificata con il potere della Chiesa. In Francia sottolineavano l’alto tasso di analfabetismo nella Vandea reazionaria, dimenticandosi che il tasso era basso in Alsazia, regione profondamente cattolica. Un divario c’era ma rifletteva, almeno dall’Ottocento in poi, un divario Nord-Sud che non era sempre connesso a divisioni religiose, infatti tale divario geografico esisteva anche in Paesi come l’Olanda, l’Italia e l’Inghilterra.
Gli anticlericali non avevano tutti i torti. Almeno fino alla fine del Settecento la Chiesa cattolica riteneva che l’alfabetizzazione avrebbe facilitato la diffusione di idee luterane nelle campagne, ed è per questo il Vescovo di Graz voleva abolire le scuole rurali «per prosciugare alla fonte il veleno dell’ eresia». Il vescovo perse la sua battaglia e le autorità politiche (e cioè l’impero asburgico) impose il diritto, ma non ancora l’obbligo, di frequentare la scuola.
Il risultato fu che i territori italiani dell’Austria di Italia ebbero una qualche forma di scolarizzazione elementare all’inizio del XIX secolo, mentre nello Stato Pontificio la Chiesa rimase fermamente contraria alla diffusione dell’istruzione. In Spagna fino alla metà del Settecento la Santa Inquisizione vietò la pubblicazione di storie popolari come Historia de Carlo Magno e La Historia de la Pasión de Jesu Cristo, ma in Russia modernizzatori come Pietro il Grande e Caterina la Grande lanciarono campagne di alfabetizzazione, anche se con scarso successo.
Grazie al servizio militare abbiamo buoni dati per l’alfabetizzazione in Francia, grazie al servizio militare. Dei sei milioni di soldati arruolati nel 1881-1900, l’87 per cento sapevano leggere e scrivere, ma avendo frequentato solo le elementari ben pochi di questi erano propensi a leggere un semplice libro o un giornale. Si calcola che il pool dei lettori in Francia non era molto superiore al tre per cento.
I tedeschi alla fine dell’Ottocento leggevano più libri degli italiani (come adesso). Probabilmente leggevano più libri di qualsiasi altro Paese in Europa, e certamente pubblicavano di più. Ma era questo dovuto dalla maggiore prosperità dei lavoratori tedeschi, o alla dimensione più grande della sua classe media? Quello che determina la dimensione del mercato del libro non è tanto la prosperità o l’alfabetizzazione della classe operaia, ma quella della classe media e la sua espansione.
Qui l’Italia non era particolarmente ritardataria. Nel 1901 aveva – in proporzione alla popolazione – più medici e più avvocati della Germania. Eppure meno libri venivano venduti in Italia che in Germania (o in Francia o Gran Bretagna) perché, in quei Paesi non solo i professionisti delle classi medie leggevano ma anche il crescente esercito di commercianti, operai specializzati, impiegati e piccoli imprenditori. E in Germania e in questi gruppi leggevano un quotidiano, cosa che non avveniva in Francia e in Italia.
Cosa leggevano questi ceti medi? Di certo non i grandi classici della letteratura. Leggevano i romanzi cosiddetti popolari, mentre il popolo nulla o poco. I colti, ieri come oggi, se la prendevano contro i feuilletonistes di grande successo come Eugène Sue – un po’ come oggi imprecano contro i successi di Dan Brown per non dire del Cinquanta sfumature di Grigio della E. L. James che nel mondo ha venduto 20 milioni di copie in 10 settimane. Il critico Sainte-Beuve, pure avendo simpatia per Sue, scriveva a un amico che se Sue saltava una puntata perché malato, il giornale era costretto a scusarsi con i lettori, e aggiungeva: «Se Chateaubriand ha la gotta non importa nulla a nessuno, ma se Sue ha il raffreddore, è un disastro nazionale.» Plus ça change...