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 2012  agosto 29 Mercoledì calendario

UNO SFRATTO, QUINDICI TRASLOCHI

Che cosa succede quando su una giovane famiglia cade la mannaia di una sentenza di sfratto? Marco Di Porto lo racconta nel suo primo romanzo «Nessuna notte è infinita», edito da Lantana. Romanzo che trae spunto da una vicenda vissuta dall’ autore sulla propria pelle. «Sono nato a Trastevere. I miei si sono separati quasi subito e io sono rimasto a vivere con mia madre. Abitavamo nell’ appartamento di un ente pubblico. La sentenza di sfratto arrivò quando avevo dieci anni. L’ ente vendeva e noi non avevamo i soldi per acquistare. Abbiamo resistito fino all’ ultimo, fino al giorno che è arrivato l’ ufficiale giudiziario e abbiamo dovuto raccogliere le nostre cose e andarcene. Fu un’ ecatombe, una caduta libera senza reti di protezione. Vagammo qua e là per case di amici, di parenti. Per anni. Fino a quando un altro ente non ci concesse un appartamento a La Rustica, sul raccordo anulare». Adesso Di Porto vive a Testaccio, in una abitazione che divide con tre amici, per sostenerne le spese. «Ma il periodo trascorso senza casa è stato devastante. Mi è rimasta come un’ ossessione, la paura di non avere un tetto sopra la testa, un rifugio dove sentirmi al sicuro». Ha trentaquattro anni e racconta di avere già affrontato quindici traslochi. Per mestiere si occupa di cultura ebraica e lavora alla rubrica di Rai Due «Sorgente di vita». Sul frontespizio del libro riporta una citazione da «Il re della pioggia» di Saul Bellow, tra i suoi autori più amati insieme a Natalia Ginzburg e Charles Bukowski, Beppe Fenoglio e Ivan Turgenev: «Tu non mi ucciderai, sono un osso duro!, le gridai. Poi mi misi a piangere, per tutte quelle insopportabili contraddizioni che avevo nel cuore». Ma il suo eroe letterario resta «Il giovane Holden» di Salinger. «Il libro della vita», assicura. Il protagonista di «Nessuna notte è infinita» si chiama Glauco, ha una bambina di nove anni e una moglie che tradisce «con regolarità» con le prostitute di via Palmiro Togliatti. Glauco è tenero e cattivo al tempo stesso, debole e aggressivo. Soprattutto è molto fragile. Vivono nei casermoni sulla Tiburtina. «Vivevano male. Di motivi per stare male ne avevano diversi, ma uno su tutti dominava le loro vite da due anni, come un’ incudine sospesa sul loro destino privo di reti di protezione, e questo motivo era lo sfratto esecutivo che gravava sulle loro teste, che l’ ufficiale giudiziario aveva acconsentito a rimandare più volte, ma che adesso sembrava dovesse essere eseguito una volta per tutte; anche, se fosse stato necessario, con l’ intervento dei carabinieri. E loro attendevano increduli e angosciati la prova che li aspettava il lunedì successivo». Incapace di affrontare la prova, Glauco scappa già la domenica mattina. Fugge verso il groviglio di autostrade tra la tangenziale e il raccordo, vagando per due giorni in preda alla follia, in una sequenza che riecheggia le cadute nell’ abisso di certi eroi dostoevskjiani. Mentre sarà Karen, più matura e forte, ad affrontare con la sua bambina la cacciata da casa. «Non per fare della psicologia da strapazzo - dice Di Porto - ma ho l’ impressione che i maschi della mia generazione non riescano a prendersi le loro responsabilità. Fosse per me darei tutto il potere alle donne. Hanno un’ intelligenza emotiva che si sviluppa più facilmente. Credo che dipenda dal fatto che non sono obbligate ad apparire forti a qualsiasi costo. Le donne sono comunque più serie anche nel lavoro». C’ è, nel libro, un elemento inatteso, che la generazione di Di Porto sembra avere perduto: la speranza. E questo sentimento porta al lieto fine. «Dopo tutta quella sofferenza di Glauco e della sua famiglia non ho avuto il coraggio di far finire male la loro storia. Perché è vero che sono disperati, ma anche pieni di umanità e amore per la vita. In fondo basta poco, quattro pareti in periferia, per ricominciare a creder nel futuro». C’ è anche un particolare commovente: la dedica «per le mie nonne, Rosina e Franca». «Erano due figure molto belle, nonostante le loro famiglie dalle storie travagliate, le vite difficili, le deportazioni nei campi di sterminio, le migrazioni in Argentina. Ma questa è un’ altra storia. Penso che la racconterò nel prossimo libro».
Lauretta Colonnelli