Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  agosto 30 Giovedì calendario

INTERVISTA BERNARD-HENRI LÉVI

Bernard-Henri Lévy non ha mai affermato: «Dio è morto, ma i miei capelli stanno benissimo». Però ammira chi, per deriderlo, gli ha messo in bocca quelle parole. «È una trovata intelligente, se ci pensa» afferma con un sorrisetto. «È pura invenzione, però dal momento in cui è stata pronunciata la gente continua a ripetere la frase». Il filosofo francese, con la sua chioma bellissima dalle incontenibili onde leonine e con la sua tipica mise (un completo nero firmato Charvet e una camicia bianca aperta), pare scrollare le spalle come per dire: «Sì, e allora?».
Quest’estate è stato proiettato a Cannes il suo documentario sulla rivoluzione libica intitolato Le serment de Tobrouk (Il giuramento di Tobruk): un film i cui diritti sono stati già acquistati da Harvey Weinstein e per cui Lévy ha quasi perso il sonno. «Non ho mai avuto bisogno di dormire molto» informa. «Preferisco lavorare di notte». Forse perché il sessantatreenne scrittore, intellettuale e paladino degli oppressi del mondo nelle ore diurne si dedica a passatempi meno alti. Dopotutto è stato proprio lui, e non chi ne ha fatto la satira, a dichiarare: «Non si può fare l’amore tutto il giorno». Si spiega: «Occuparsi di letteratura e fare l’amore richiedono la stessa energia. E poiché non è possibile fare l’amore a ogni ora del giorno, alcune devono essere dedicate alla scrittura».
Nel 2011 Lévy si è preso una pausa dagli impegni amorosi per perseguire la causa libica. Per il suo documentario Lévy si è recato in veste di giornalista in Libia, dove ha incontrato i ribelli che combattevano il regime di Muammar Gheddafi e ha convinto Nicolas Sarkozy all’intervento militare. Il film è toccante, intenso (contiene interviste con Sarkozy, David Cameron e il segretario di Stato americano Hillary Clinton), a tratti comico (all’ombra dei fiammanti aerei libici il filosofo sembra sempre essere sul punto di spruzzarsi in volto un po’ di dopobarba Fahrenheit di Christian Dior), ma il coraggio mostrato da Lévy è innegabile.
I francesi potrebbero accusare il multimilionario di essere un radicale viziato (o, come un amico afferma con sarcasmo, «la star degli intellettuali»), ma Lévy è tutt’altro che un filosofo da poltrona. Da giovane ha seguito come cronista la guerra di liberazione del Bangladesh contro il Pakistan, si è fatto promotore dell’intervento nella guerra in Bosnia e si è subito pronunciato contro i campi di concentramento serbi. Nel 2002 ha passato un anno in Pakistan cercando di scoprire la verità circa l’esecuzione di Daniel Pearl. E fino alla morte di Gheddafi, in ottobre, su di lui pesava una taglia di 5,8 milioni di dollari, circa 5 milioni di euro. «Mi chiedo il motivo di quel virgola otto» sorride. «Ancora non l’ho capito».
Ridiamo, ma anche a Cannes c’erano uomini delle forze speciali. Il filosofo ha infatti invitato due dissidenti siriani ad assistere alla prima e a causa di questa decisione si è nuovamente esposto al pericolo. Ha paura? «Certamente» risponde alzando le spalle. «Lo scrittore Louis-Ferdinand Céline una volta disse che a non avere paura è solo chi non ha immaginazione. Ho vissuto momenti terrificanti quando eravamo nella piazza Verde di Tripoli e c’erano cecchini ovunque. Se avessi mostrato ai miei compagni anche un minimo segno di paura, qualcuno l’avrebbe filmato e pubblicato in rete. Questo pensiero mi ha aiutato a mantenere i nervi saldi». Forse in quell’occasione la sua vanità gli è stata utile, ma in passato i suoi detrattori l’hanno utilizzata come spunto per le loro critiche. In Public Enemies (Nemici pubblici, ndr), libro contenente la corrispondenza tra Lévy e il romanziere francese Michel Houellebecq, il filosofo afferma: «Pochi scrittori vengono maltrattati tanto quanto me». Per quale ragione, secondo lei? «Non lo so e non m’interessa» risponde bevendo un sorso di tè. «Veramente... vedere tutte queste persone che si agitano per niente mi fa ridere. Di solito sono più gli uomini che le donne…».
Sarà forse per gelosia? Se la straordinaria intelligenza di Lévy è innegabile, certo il filosofo non si aiuta quando traccia una semiparodia del suo aspetto fisico. «Un proverbio cinese recita: quando il saggio punta la luna, lo stolto guarda il dito. Ora, non voglio dire che io sono il saggio, ma quando mostro i miei servizi sul Pakistan, o sulla guerra in Libia, lo stolto osserva la mia camicia».
Devo essere imbecille, allora, perché mi accorgo che sto guardando proprio la camicia. «È sbottonata» faccio notare, inutilmente. Entrambi osserviamo la scollatura che lascia intravedere il petto fantastico di Bhl, soprannome del filosofo. «Sì, è sbottonata». Non si tratta di pura provocazione? Non è l’equivalente di una donna in minigonna che chiede di essere premiata per la sua intelligenza? «No, non è un atto provocatorio. Quando mi vesto agisco d’istinto». Capisco: è il suo stile... «No!».
La mia affermazione non gli piace. «Non è il mio stile» risponde «è il mio modo di essere. Ci sono stati problemi, incidenti, per così dire. Quando mi sono recato in visita dal Papa, il protocollo prevedeva l’obbligo della cravatta. Anche negli anni Settanta, quando Giscard d’Estaing era presidente, vigeva il diktat, ma nessuno lo rispettava. Per me è fisicamente impossibile: soffocherei».
Tuttavia, penso che non vi siano dubbi sul fatto che Lévy ami il suo fisico. «No» afferma buttando indietro la testa, esasperato. «Mi sento a mio agio nel mio corpo, però non lo amo». Quante volte al giorno si guarda allo specchio? «Mai» sostiene, con una risata. E la chioma? «Mi passo le mani tra i capelli o mi do una spazzolata, tutto qui». Ormai esausta, mi chiedo ad alta voce perché mai i capelli rappresentino un problema così importante per gli uomini. «Forse perché ha qualcosa a che fare con la loro virilità?» afferma sospirando il filosofo. «Ma io non sono assolutamente preoccupato per la mia virilità».
Pochi potrebbero contraddire questa affermazione. Pare che Bhl, due matrimoni alle spalle, ora sposato con l’attrice e cantante francese Arielle Dombasle, nonché padre di due figli (Justine, nata dal primo matrimonio, e Antonin-Balthazar, dal secondo), abbia una donna in ogni porto. Eppure solo recentemente, a causa della sua relazione con l’ereditiera britannica Daphne Guinness (che non si sa bene se sia ancora in corso o meno), ha violato le regole matrimoniali trasformandosi in bersaglio di volgari pettegolezzi. «Non parlo della mia vita privata, mai» afferma risoluto quando lo interrogo sull’argomento. Rinuncio. Comunque ho una curiosità: i filosofi sono più pragmatici della gente comune quando si tratta di questioni di cuore? «No» afferma Bhl. «Rispetto alla sofferenza, all’amore e alla morte tutti gli uomini sono uguali».
Altra domanda teorica: «Può un uomo essere innamorato di più donne contemporaneamente? ». «Un uomo o il qui presente?» chiede, stringendo gli occhi. Un uomo, visto che non sono autorizzata a chiedere direttamente a lui. «Allora assolutamente sì. C’è una frase nel mio primo libro («La barbarie dal volto umano», ndr) in cui descrivo gli esseri umani come “specie fallita” e questo potrebbe rappresentare uno dei nostri fallimenti».
Lévy è nato nell’Algeria francese. Il padre era un ricco ebreo attivo nell’industria del legno, che si era trasferito a Parigi con la famiglia alcuni mesi dopo la nascita del figlio. Da ragazzino Bernard-Henri accompagnava spesso la giovane madre, donna estremamente elegante, ad assistere alle sfilate di moda. Di quel periodo ricorda che provava «un’emozione fortissima quando guardava le modelle, l’equivalente di un’emozione erotica. Ero sbalordito dalla grazia delle donne». Queste ultime sarebbero poi diventate una delle sue due passioni principali.
Col passare degli anni si è lasciato sempre più coinvolgere nelle questioni politiche e filosofiche del suo tempo, fino a fondare con un gruppo di giovani scrittori il movimento Nouveaux philosophes (Nuovi filosofi), che si contrapponeva alla posizione marxista. Da quel momento, e nel corso della sua carriera da scrittore di best-seller, Bhl è stato spesso consigliere del governo, ma è sempre rimasto indipendente. Pur essendo amico di Sarkozy, Lévy non votò per lui alle elezioni del 2007, sostenendo invece la socialista Ségolène Royal. «Si è arrabbiato molto» dice alzando le spalle. «Io riesco a separare l’amicizia dall’ideologia, ma lui no. Per tre anni non ci siamo rivolti la parola». Poi, lo scorso aprile, ha votato per François Hollande, «anche se con passione inferiore rispetto a quella provata per Ségolène».
Questo è sorprendente. Il plurimilionario (alla morte del padre, Lévy ha venduto la sua azienda di legname, la Becob, per circa 105 milioni di euro all’imprenditore François Pinault) sicuramente non farà i salti di gioia quando gli arriverà la cartella delle tasse. «Non è un problema» risponde. Davvero? Il fisco preleverà il 75 per cento dei suoi redditi. «Sono contento di pagare le tasse» giura «e pagherò il 75 per cento. Sono un privilegiato e ho un dovere di solidarietà verso i miei compatrioti». È più difficile immaginare Lévy con indosso una camicia dal colletto logoro piuttosto che tutto abbottonato e in cravatta, e pare un peccato che lo spessore intellettuale del filosofo venga offuscato da considerazioni così frivole. Nel documentario sulla Libia, in un raro afflato di modestia, afferma di «non essere un uomo d’azione».
Visto che il ruolo del filosofo è molto spesso quello di stare seduto in una soffitta a meditare, Lévy forse dovrebbe ridefinire il suo titolo professionale, inventando un termine. «Sì» annuisce solenne Bhl. «Filosofo coinvolto o filosofo con i piedi per terra potrebbero suonare meglio. Ma verrà il giorno in cui non riuscirò più a fare certe cose. Forse allora mi prenderò del tempo per meditare».