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 2012  agosto 29 Mercoledì calendario

Se a sinistra la stampa è più violenta - Ma davvero la stampa di destra ha un linguaggio sguaiato e manesco, co­me afferma la Repubblica ? Davve­ro è tipico del giornalismo di de­stra l’attacco ad personam, l’insul­to e il dileggio, persino del nome e del fisico? E davvero ogni attacco violento e triviale sul web può pas­sare per linguaggio fascista? Sarebbe facile compiere un’analisi inversa e ricordare di quanti giudizi sprezzanti, di quanto odio ad personam sia intrisa la satira in tv e la stampa di sinistra, i suoi vi­gnettisti e le sue campagne

Se a sinistra la stampa è più violenta - Ma davvero la stampa di destra ha un linguaggio sguaiato e manesco, co­me afferma la Repubblica ? Davve­ro è tipico del giornalismo di de­stra l’attacco ad personam, l’insul­to e il dileggio, persino del nome e del fisico? E davvero ogni attacco violento e triviale sul web può pas­sare per linguaggio fascista? Sarebbe facile compiere un’analisi inversa e ricordare di quanti giudizi sprezzanti, di quanto odio ad personam sia intrisa la satira in tv e la stampa di sinistra, i suoi vi­gnettisti e le sue campagne. Sen­za andare lontano non sarebbe difficile ricordare la volgarità sbattuta in prima pagina da la stessa Repubblica con i perso­naggi di Altan che infilano om­brelli nel deretano; gli insulti an­che fisici, rivolti a Berlusconi e Bossi, lo strisciante razzismo an­tropologico verso chi è di de­stra... Se si dovesse cercare un precedente alle campagne stam­pa della Repubblica e del Fatto su Berlusconi,Dell’Utri o Formi­goni, lo si potrebbe a rigore ritro­vare nelle campagne del Candi­do di Giorgio Pisanò contro i mo­rotei per l’affare petroli o contro i socialisti: «Mancini sei un la­dro » o «si scrive leader e si legge lader» hanno preceduto i titoli contro Craxi e poi Berlusconi. Non è un tratto esclusivo della stampa di destra l’attacco violen­to ad personam, la caccia all’uo­mo, la manipolazione dei fatti, la fabbrica del fango e del di­sprezzo verso il nemico di tur­no... Ma rispedendo l’accusa ai mit­tenti si eluderebbe la questione. Esiste un linguaggio volgare di destra, tipicamente di destra? Sì esiste,è inutile nasconderlo. C’è un ramo storico di volgarità nel­la stampa di destra e una triviali­tà che è invece più figlia del pre­sente, tra brutali semplificazio­ni e facili sghignazzi. La volgari­tà storica della stampa di destra oscillava tra le rozze battute da caserma e il ghigno squadrista, l’antica cafoneria del corso e il qualunquismo bieco della do­menica. La volgarità più recente si è nutrita di un pasticcio fra roz­zismo padano e populismo tele­visivo, un incrocio tra cazzeggio da schermo e celodurismo gior­nalistico. Altri soggetti hanno poi contribuito a involgarire il linguaggio: penso per esempio che Bossi abbia avuto il dubbio merito di unificare l’Italia offren­do una versione padana della ca­foneria e burineria tipica del Centro-Sud. Non va poi dimenti­cato che il turpiloquio, l’involga­rimento odierno non hanno una matrice politica; passano dalla tv e dal web dove è emersa l’arro­ganza degli ignoranti che final­mente possono insultare il famo­so che «sta antipatico». E sareb­be da studiare l’effetto Funari, l’effetto Dagospia (pur brillante per altri versi), l’effetto processo sportivo in tv,l’effetto satira d’as­salto e d’insulto. La tv unita alla demagogia di abbassarsi al livel­lo più basso per raggiungere tutti, ha contribuito al­l’imbarbarimen­to del linguaggio. Il riferimento specifico di Ezio Mauro era al Bor­ghese nella sua stagione «più tor­va ». Nella storia del Borghese biso­gna distinguere varie ere: quella originaria, dal 1950 al ’57 di Leo Longanesi, con le sue splendide fir­me, foto e vignet­te; quella più mar­cata a destra di Mario Tedeschi e Gianna Preda, a volte un po’ gre­ve, che però ebbe più successo di vendita, per qua­si un ventennio, poi declinando, legandosi prima al Msi e poi a De­mocrazia nazionale fino a ridur­si al lumicino. Poi due parentesi negli anni ’90, una destro-leghi­sta con Daniele Vimercati (e vi collaborava anche Travaglio) ed una con Feltri (con me direttore editoriale), poi confluita in Libe­ro . Infine ora, come mensile di­retto dal figlio di Tedeschi, Clau­dio, tornato all’ortodossia pater­na. Da una costola del Borghese prese corpo anche il cabaret di destra. Anche il Candido era na­to da Guareschi ma poi fu diretto da Pisanò, diventò più aggressi­vo, a volte un po’ truce, ma an­che segnato da inchieste vera­mente coraggiose. C’era poi una destra «perbene» che leggeva Lo Specchio di Nelson Page, e tra i quotidiani Il Tempo di Renato Angiolillo, Il giornale d’Italia ea Sud il Roma , in cui spiccava Al­berto Giovannini. La destra pop era al nord, con La Notte di Nino Nutrizio. Più di recente vi fu l’esperienza dell’ Italia settima­nale (e Lo Stato ) ed ebbe buon successo di critica, anche a sini­stra. Tante erano poi le riviste culturali a destra. Qual è lo specifico del linguag­gio usato dalla stampa di destra? Escluso l’attacco ad personam e le campagne di stampa e di fan­go, comuni anche a molta stam­pa di sinistra, e la cui asprezza o volgarità dipende dal garbo e l’educazione di ciascuno,piutto­sto che dall’appartenenza alla destra o alla sinistra, la vera diffe­renza riguarda lo stile. È vero, a destra il linguaggio è più diretto; e questo a volte è una colpa, perché più brutale e gros­solano; a volte un merito, per­ch­é non è ipocritamente asservi­to al politicamente corretto. È ve­ro poi che a destra si usa di più la presa in giro attraverso l’aspetto fisico, il nome, il gesto, il calem­bour, il gioco di parole: è volgare se si vuol denigrare una persona per il suo aspetto o il suo nome, non lo è se il nome o l’aspetto è usato come metafora, allegoria o allusione del suo modo effetti­vo di pensare e comportarsi. A destra, si può far satira e invetti­va nel segno di Papini, Longane­si o Montanelli o in quello di grossolani epigoni illetterati. Se dico che Bersani è un incrocio tra Lenin e Gargamella non in­tendo offendere il suo aspetto fi­sico o fare della sciocca fisiogno­mica; intendo, tramite una somi­glianza doppia, sottolineare la sua ascendenza veterocomuni­sta che a volte riaffiora, unita a un tono burbero da fumetto, da mondo dei Puffi. Se dico che Di Pietro è un rustico «aglio, olio e ghigliottina», non intendo affat­to denigrare le sue origini conta­dine, ma sottolineare il curioso incrocio politico giacobino-van­deano, e i suoi modi ruspan­ti, da Crusca (senza Accade­mia). La satira, a volte, è l’ulti­mo rifugio dei pessimisti, as­sai frequenti a destra, che ri­tenendo im­possibile cam­biare le cose, le affrontano dal lato grotte­sco. Magari la satira è la ma­schera di Zor­ro e poi in di­sparte si colti­vano studi, pensieri e lin­guaggi molto diversi. Come Messer Nicco­lò che prima s’ingaglioffiva nella vita quoti­diana e poi tornava nella solitu­dine del suo studio, si liberava della veste sporca per indossare abiti di cerimonia, dialogava con i grandi e tornava a ragiona­re di pensieri più alti con intellet­to d’amore. A volte l’unico modo per stare al mondo è coltivare una consa­pevole schizofrenia.