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 2012  agosto 30 Giovedì calendario

TRA SCHEMINI, CAVILLI E SCORPORI LA POLITICA CERCA L’ETERNA PANACEA


DICEVA l’altro giorno con qualche ottimismo iniziatico il senatore del Pdl Malan che l’accordo sulle riforme elettorali è «come la gravidanza, per cui una donna non può essere un po’ incinta: o lo è o non lo è».
Ecco, per i non addetti ai lavori, ma anche per chi li osserva con doveroso scetticismo, l’assunto del relatore del Comitato ad hoc è da leggersi esattamente alla rovescia. Nel senso che è sempre un po’ incinta la madre delle perdite di tempo, cioè la riforma elettorale: autentica malìa della Seconda Repubblica, monumento preclaro all’inconcludenza della classe politica, carnevale pseudo matematico per contorsionisti del cavillo, illusoria panacea, araba fenice, vaso di Pandora…
I richiami mitologici si fanno strada ormai da un ventennio tra referendum, garbugli e pastrocchi a base di inversioni, ibridazioni, circoscrizioni, e accertamenti, sbarramenti, collegamenti, e premi di maggioranza, tetti proporzionali, vincoli di genere, e quote, scorpori, preferenze e desistenze tra liste e listini ed altre enigmatiche entità che certo hanno propiziato l’oscuramento non solo della partecipazione, ma specialmente del buonsenso e in un’ultima analisi della politica; ridotta quest’ultima, in cento affollati tavoli e mille
inutili schemini, a una specie di disciplina misteriosofica tra Sudoku e Cabala, con esiti per lo più truffaldini.
Un’intera generazione di giornalisti e studiosi ci ha fatto i capelli bianchi. Ma la vendetta sottile dell’informazione da sempre
si esplica nell’implicito dileggio onomastico dei vari modelli via via proposti e assai di rado approvati: il Mattarellum, il Fisichellum, il Tatarellum e a un certo punto, considerato che il proponente era l’onorevole Spini, addirittura lo Spinellum.
Da qualche tempo va molto il Provincellum. La cui missione sarebbe quella di sostituire in qualche modo la vigende legge, rivendicata dall’odontoiatra padano Calderoli come “una porcata” e perciò legittimamente ribattezzata Porcellum — e a questo proposito vale ricordare che
durante una discussione al Senato, nel febbraio del 2008, una troupe di Striscia la notizia recò a Palazzo Madama un vero maialino, fra le carezze della Santanché e le proteste degli animalisti.
D’altra parte non c’è oltraggio né vilipendio che riscattino la quantità di tempo e il tesoro di energie che partiti, parlamenti, giornali e televisioni hanno dedicato, per non dire sprecato dietro a queste riforme elettorali che molto spesso traggono vano sussiego e ispirato fraintendimento all’estero. Qualche anno fa alcuni strateghi del Pd s’erano incapricciati
niente meno che di un sistema misto australiano-belga. Ma anche qui i riferimenti offrono il destro a striscianti malizie, per cui ad esempio Pannella sparava sul doppio turno definendolo il “mal francese”, che sarebbe la sifilide; così come, oltre a una
legge sul modello americano, o inglese, o “alla tedesca”, altri ingegneri elettorali si concentrarono su una clausola di sbarramento modulata su quella del parlamento di Ankara, con il che auspicando una soluzione subito sconciamente designata “alla turca”.
Ciò detto, nessuno può negare che esista un rapporto tra processi politici e sistemi elettorali. Ma in Italia, più modestamente, sarebbe già più utile capire perché è proprio su questo terreno che la politica finisce regolarmente per girare a voto e impelagarsi. E for-
se il mistero ha a che fare con una concezione sempre più privatistica delle istituzioni; forse perché l’argomento distrae dallo stato pietoso in cui versano i partiti; o forse è perché questa benedetta riforma elettorale solletica la vanità di tanti leader e sottoleader che in tal modo si sentono demiurghi senza smettere di esercitarsi in quelle astrazioni furbesche che pure segnano in modo indelebile l’odierno ceto politico. In ogni caso l’importante è non concludere l’eterna gravidanza. Ma guai a riconoscerlo.