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 2012  agosto 30 Giovedì calendario

E SE UN GIORNO FOSSERO SQUALIFICATI PER DOPING ANCHE GLI STUDENTI?

Si era preparato ai meglio per quella che sarebbe stata la competizione decisiva, ma ancora non si sentiva sicuro. Così scelse di usare un farmaco che, pensato per curare dei malati, preso da una persona sana come lui, gli avrebbe garantito prestazioni migliori. Usò internet per informarsi e sulla rete si procurò la sostanza. La assunse per qualche giorno, vedendo crescere concentrazione e resistenza. Arrivato il giorno della prova, però, venne preso da parte e gli fu fatto un esame a sorpresa delle urine: la sostanza fu individuata e lui venne cacciato dall’esame orale del concorso. Il posto di lavoro a cui tanto teneva, sfamava per doping... Già, non parlavamo dei marciatore Schwazer, o di un altro sportivo sorpreso a usare Epo, ma di un futuro in cui forse occorrerà controllare per l’uso di sostanze illecite anche chi partecipa a esami e colloqui di lavoro.
Per ora il problema non riguarda molto l’Italia, dove le indicazioni che si trovano in rete per migliorare le prestazioni nei periodi di studio intenso sono ancora ragionevoli e abbastanza innocui: una dieta sana, leggera e ricca di vitamine (soprattutto del gruppo B), integratori a base di fosforo (versioni commerciali dei consigli della nonna sul fosforo del pesce per l’intelligenza..), eccitanti «normali» come la caffeina del caffè, o la teobromina della cioccolata, con il massimo della trasgressione rappresentata da piante esotiche, come il guaranà, il ginseng o il gingko biloba, che sposso si trovano, con alte dosi di caffeina, negli «Energy drink». Nei Paesi, come Usa e Giappone, dove la scuola è molto più competitiva, il gioco invece si è fatto duro e un numero crescente di giovani usa medicinali come aiuto allo studio, rischiandoci la salute. I farmaci utilizzati per questo «doping mentale», vengono chiamati smart drugs e sono sostanze nootropiche (dalle parole greche noos, mente, e tropein, sorvegliare): per lo più funzionano alterando la comunicazione fra i neuroni cerebrali, aumentando la quantità di neurotrasmettitori o eccitando i recettori dei neuroni, obbligando così varie aree del cervello, spesso non solo quella «bersaglio», a una sorta di iperattività. Secondo uno studio, nell’Università del Kentucky - che può essere considerata | rappresentativa della situazione americana in genere - ha usato smart drugs il 34 per cento degli studenti, e il 60 per cento di quelli dell’ultimo anno.
«Chiariamo subito» dice Silvio Garattini, direttore dell’Istituto Mario Negri di Milano, «che i farmaci per l’intelligenza non esistono. Forse un giorno la ricerca li produrrà, ma per ora ci sono solo sostanze che incrementano - non si sa di quanto, temporaneamente e con effetti collaterali e rischi - alcuni limitati aspetti cognitivi, come memoria, concentrazione o resistenza a sonno e fatica». Fra queste, le più in uso sono Modafinil e Ritalin. «Si tratta di versioni rifinite delle anfetamine, oggi illegali» spiega Fulvio Moroni, tussicologo dell’Università di Firenze. «Sono molecole che stimolano la produzione di dopamina: i neuroni restano cosi in uno stato eccitato e si sentono meno stanchezza e distrazione».
Il Modafìnil è un farmaco che combatte la narcolessia, disturbo caratterizzato da un’eccessiva sonnolenza diurna, ma buona parte della sua produzione viene usata da persone sane per studiare o lavorare senza dormire, anche novanta ore di fila. La sua azione è concentrata nell’ipotalamo, dov’è regolato il sonno: quindi mantiene svegli, ma in genere senza provocare l’ipereccitazione tipica delle anfetamine. Nel 2003 uno studio della psichiatra Danielle Tumer, dell’Università di Cambridge, ha mostrato come 200 mg di Modafinil crescano non solo la resistenza al sonno ma anche la memoria a breve termine e la capacità di pianificare e decidere. Al prezzo, però, di una lunga serie di effetti collaterali: emicranie, ansia, confusione mentale e nervosismo.
Il Ritalin, invece, negli Usa (e molto di rado da noi) viene prescritto per contrastare l’agitazione eccessiva nei bambini. «Preso in dosi più alte» spiega Moroni «ha l’effetto opposto: il solito aumento di attività, resistenza e concentrazione tipico dei dopaminergici». I possibili effetti collaterali sono gravi: allucinazioni, ansia, disturbi cardiaci, perdita di appetito e psicosi Inoltre, ha un’azione poco selettiva, quindi genera euforia e può indurre dipendenza. In più, né Modafinil né Ritalin sono stati testati per i danni che un loro uso prolungato può provocare nel cervello in formazione dei giovani.
Oltre a questi due bestseller, ultimamente, vengono proposte come nootropici anche medicine usate per curare il morbo di Alzheimer. «Si tratta di molecole chiamate ampachine» dice Moroni, «che stimolano i recettori del glutammato nel cervello. Nei topi sembravano aiutare memoria e apprendimento, ma nell’uomo non si erano rivelate altrettanto efficaci, anzi si era scoperto che possono provocare la morte dei neuroni, per eccesso di eccitazione». Una nuova ampachina, sintetizzata nel 2008 negli Stati Uniti, sembra invece abbastanza efficace nell’aiutare persone anziane e con demenza senile a ricordare meglio. E le molecole molto semplici da cui le ampachine derivano, ; per quanto poco efficaci e potenzialmente pericolose, sono già in uso come aiuto alla memoria fra gli studenti. Lo stesso Gary Lynch, il ricercatore californiano che ha inventato le ampachine, avverte però che con la memoria è meglio non scherzare. «Queste molecole cambiano il modo, ottimizzato dall’evoluzione, in cui i ricordi sono immagazzinati e la forza della loro traccia. Quello che sembra un miglioramento potrebbe rivelarsi in seguito uno svantaggio, per esempio per la difficoltà di dimenticare cose sgradevoli».
«Il nostro cervello è composto da cento miliardi di neuroni, collegati ognuno a mille altri neuroni» dice Garattini. «Vi pare possibile che un sistema così complesso possa essere “migliorato”, nella direzione che vorremmo e senza effetti indesiderati, da una semplice molecola? I risultati che ottengono queste cosiddette smart drugs sono spesso frutto di suggestione. Altre volte, come nel caso di chi non riesce più a concentrarsi senza caffè o sigarette, sono presenti solo perché ormai il cervello di chi le usa non funziona bene senza un aiuto chimico».
Poi c’è l’aspetto etico. Secondo Matt Lamkin, esperto di bioetica all’Università del Minnesota, anche se si trovasse un «doping cerebrale» efficace, questo sarebbe riprovevole come quello sportivo, sia perché darebbe un vantaggio ingiusto a chi lo usa sia perché renderebbe inutili la tenacia e la disciplina richieste dallo studio, che hanno invece grande valore educativo.
Non possiamo dunque fare nulla per migliorare il nostro cervello? «Come no?» replica Garattini. «Lo si può allenare come si è sempre fatto: leggendo, ragionando e studiando». Moroni lascia invece un barlume di speranza a chi punta su soluzioni meno tradizionali: «Colleghi svizzeri mi hanno detto che giocare un’ora al giorno a certi videogame migliora le capacità di attenzione e la plasticità cerebrale». Sempre meglio di una pillola...