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 2012  agosto 29 Mercoledì calendario

EROI FERITI CHE NON SI ARRENDONO. COSI’ SONO RIUSCITI A CONQUISTARCI

Oggi cominciano le Paralimpiadi. E ci si può scommettere: sarà un successo. Una settimana fa gli organizzatori hanno comunicato di aver già venduto circa 2 milioni e 200 mila biglietti. Sold out. Attorno a questo evento si respira un’atmosfera elettrizzante. Basta guardare lo spot realizzato per l’occasione, un tre atti veloce, brutale ma toccante. Gli allenatori massacrano a forza di cronometro e flessioni e grida alcuni atleti con handicap. Non vedi? Non hai le gambe? Bene, a me non importa, perché, stai sicuro, non ti risparmierò nessuna fatica, dovrai dare il meglio. Dunque, prima il sudore, poi la delusione (non posso farcela) poi di nuovo impegno e sudore e alla fine, almeno nello spot, gli atleti effettivamente danno il meglio. Lo slogan è: allo sport non importa chi sei.
Ma è bastato anche osservare Kirani James dopo la semifinale olimpica dei 400 metri. Per prima cosa, a corsa finita, ancora affannato, ha chiesto il numero di pettorale a Oscar Pistorius: sembrava quasi un passaggio di testimone al contrario, dalla normalità all’handicap, dal campione attuale a quello futuro. Allora, cosa è cambiato nei confronti nell’handicap? Noi che guardiamo le gare a cosa siamo interessati? Si tratta di morbosità sopita che lì, nell’arena sportiva, trova legittimità per poi spegnersi o la sensibilità nostra si è davvero estesa? Si sa, i sentimenti tutto sono tranne che puri, non giurerei, per lo meno in prima battuta, sull’altruismo e la bontà. C’è chi non ha avuto l’occasione di vedere gli impianti durante le gare olimpiche e si rifà con quelle paralimpiche. E chi è restato affascinato dal battage pubblicitario, e vuole far parte dell’evento mediatico. Ci sono stati notevoli investimenti economici sull’evento, nel tentativo di normalizzare le gare. Tuttavia, nemmeno questi sentimenti, così, di seconda mano, sono da sottovalutare e da classificare come egoistici e impuri. Forse stiamo riscoprendo una figura centrale, in alcune narrazioni: l’eroe inabile. È un tema vecchio ma che ancora non abbiamo metabolizzato. Il Filottete di Sofocle è per l’appunto un esempio struggente in tal senso. Filottete è dotato di mira infallibile e anche proprietario di un arco magico (dono di Apollo), ma purtroppo è disturbato da un increscioso problema: una ferita al calcagno che non si cicatrizza, quindi soffre, puzza e si lamenta. Ulisse è il primo che si stanca a sentire i lamenti di Filottete, tanto che in direzione di Troia l’abbandona sull’isola di Lemmo. Poi, dieci anni dopo, cambia idea e decide di andare a prenderlo e si porta con se Neottolemo, ultimo figlio di Achille, un ragazzo ingenuo e di buon cuore. Ma Ulisse, si sa, ha le sue strategie, e così svela a Neottolemo il piano: vai tu a prenderlo, ma al momento giusto rubagli l’arco e lascialo lì. È bello lo stupore di Neottolemo: ma è un inganno! Certo, risponde Ulisse. Adesso dobbiamo vincere, domani potrai essere un uomo onesto, ma ora ci serve l’arco. Però Neottolemo si innamora di questo arciere ferito, puzzolente che cade e si rialza sempre, e ogni volta trattiene il dolore con superba dignità. E capisce quello che Ulisse nella sua strategia fredda non arriva a comprendere: non si può portare solo l’arco, è necessario portare l’arciere, dunque anche la ferita. Arco e ferita, sono indissolubilmente, eticamente legati.
Forse l’eco di questa anomala tragedia di Sofocle risuona in noi che, vedendo dagli spalti giovani atleti così feriti che si rialzano e combattono pensiamo alle nostre ferite. E credo che sì, potremmo sviluppare un sentimento di empatia, più vasto e più nobile. Ma c’è anche un altro aspetto legato al futuro: le protesi. Sono lontani i tempi dei moncherini sgradevoli alla vista, che suscitavano ribrezzo e compassione generica. Queste protesi sembrano proprio degli archi magici, design e tecnologia d’avanguardia e credo, pur in questo caso, ci addolciscono lo sguardo verso l’handicap. Ah, naturalmente quando decideremo di non parcheggiare la macchina nei parcheggi riservati agli handicappati, quando abbatteremo tutte le barriere architettoniche, allora si potrà dire con certezza che il tutto esaurito delle Paralimpiadi è stato un buon affare per tutti.
Antonio Pascale