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 2012  agosto 29 Mercoledì calendario

AUTARCHIA E ZOLFO, COSI’ NACQUE LA CITTA’ DEL CARBONE - È

il 18 dicembre 1938. In una data che vuole ricordare le «inique sanzioni» inflitte all’Italia per l’aggressione all’Abissinia, Mussolini inaugura Carbonia, la più nuova delle «città nuove» del regime. Al centro del Sulcis, nella Sardegna sud-occidentale, Carbonia è stata costruita in dieci mesi, sulla spinta della politica «autarchica» che promuove la ricerca sul territorio nazionale delle materie prime più importanti.
In verità il «carbone Sulcis», come lo si chiama, è un carbone ricco di zolfo e povero di potere energetico: finito il secondo conflitto mondiale perderà il confronto con tutti gli altri carboni fossili del mondo. La crisi della città e della sua imponente massa di minatori comincerà già prima della fine degli anni Quaranta. Non la salveranno scioperi di straordinaria durata né la presenza di una delle più combattive classi operaie d’Italia. La Regione autonoma dedicherà molte delle sue iniziative e anche innovativi piani industriali a salvare il salvabile: gli operai di Nuraxi Figus sono i superstiti di un piccolo esercito che ha combattuto ogni giorno, negli ultimi cinquant’anni, per cercare nuovi modi di utilizzazione del carbone (il progetto più importante fu una supercentrale termoelettrica a Portovesme, destinata — ma con poca fortuna — a bruciare il carbone sardo per produrre energia).
Di carbone nel bacino del Sulcis si era cominciato a parlare sin dalla metà dell’Ottocento, ma era stata la Prima Guerra mondiale a dare l’impulso decisivo a un’industria estrattiva di guerra, soprattutto nell’area di Bacu Abis: sponsor Ferruccio Sorcinelli, uno dei grandi finanziatori del fascismo del primo dopoguerra.
I geologi avevano presto indicato l’importanza di quei giacimenti: e così, quasi ai piedi del Monte Sirai, un imponente villaggio-fortezza fra la pianura e il mare, abitato dai Fenici e poi dai Romani, a metà degli anni Trenta del Novecento il governo fascista aveva «inventato» questa città del carbone. Il piano urbanistico diceva tutto sull’ideologia che l’avrebbe governata: intorno al centro, con la piazza, la Casa del Fascio e la Torre del Littorio, a grandi cerchi concentrici prima le case dei dirigenti, poi quelle dei funzionari, infine i capi-tecnici e, sparpagliati in una periferia presto degradata, gli operai, accorsi da ogni parte d’Italia: e anche dalla Sardegna, dove pastori senza gregge e contadini senza terra trovavano nelle viscere della terra, come cantava il poeta dialettale, il loro Eldorado.
Diventata in pochi anni la terza città dell’isola, Carbonia era il fiore all’occhiello del fascismo. Ma nel giro di dieci anni e di una tragica guerra, la «città del carbone» avrebbe iniziato una Via Crucis che non è ancora finita.
Manlio Brigaglia