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 2012  agosto 29 Mercoledì calendario

SOTTO TERRA TRA LE DONNE CON IL CASCO: «QUI AL BUIO C’E’ LA NOSTRA VITA» —

Donne di miniera. A Nuraxi Figus sono una quarantina, ma soltanto 6 quelle scendono nelle gallerie: Patrizia, Giuliana, Valentina, Valeria, Alessandra e ancora Valeria. Qualcuna ogni giorno, altre meno spesso. «Sono davvero esausta, sono entrata alle 8 e ho rivisto la luce del sole alle 15. Siamo in occupazione, ma per me è stato un giorno come un altro». Patrizia Saias, perito minerario, fa la grisouista: controlla i valori d’aria nei cunicoli. Il grisou è una miscela di gas temutissima dai minatori; in un attimo può scatenare micidiali esplosioni. Ha 51 anni: «Sono risalita dopo aver ispezionato dal pozzo al cantiere di coltivazione, 4 chilometri. Tutto a posto».
A quota -373 metri e nei trenta chilometri di gallerie funziona tutto, ma la miniera e in stand by: silente la macchina-robot lunga 16 metri, poche squadre s’incrociano. Giuliana Porcu, 45 anni, responsabile del servizio protezione e prevenzione: «C’ero anche nel 1995, tre mesi di occupazione. L’azienda ha avuto sempre problemi, ma ora siamo al dunque: se non resistiamo e teniamo duro, sarà la fine». Assunta nel 1987 come operaia, poi grisometrista, quindi sorvegliante, infine capo di un settore delicato, Giuliana ha fatto la gavetta.
Un futuro diverso? «La miniera è la mia vita. Se dovesse chiudere — riflette Valentina Zurru, che dei suoi 45 anni ne ha trascorsi più di 20 a imbullonare armature nei pozzi — non mi rimane che dedicarmi a un piccolo terreno che possiede la mia famiglia. Ma non ci voglio pensare: sono convinta che riusciremo a salvare il nostro lavoro».
Alcoa, la fabbrica d’alluminio che gli americani vogliono smantellare. Carbosulcis, che a Nuraxi Figus dovrebbe produrre carbone «pulito». Valentina Santacroce, 42 anni, è ingegnere elettrico. «Lavoravo ad Alcoa, c’era già aria di crisi. Non mi hanno confermato. E dal 2007 sono a Nuraxi Figus. Dalla padella alla brace? Spero proprio di no. Certo, se le Alcoa, Eurallumina, Glencore (tutte industrie energivore) chiudono… Per chi produrremo? Quando ci penso, ho più paura di quando scendo giù in galleria».
Le altre donne di miniera sono entrambe ingegneri e in questi giorni sono assenti: Valentina Boi è in ferie, Alessandra Putzolu in maternità. Nelle gallerie occupate non sono scese neanche Rita Ibba e Antonella Sassa, le prime donne che hanno lavorato in miniera ma da tempo sono in superficie: Rita in amministrazione, Antonella si occupa di gestione di ceneri e gessi.
«Chi ama il lavoro in miniera è difficile che si adatti dietro una scrivania». Patrizia Saias ricorda: «Anni fa ho avuto una polmonite, dopo 4 mesi d’ospedale mi hanno spostata negli uffici. Ho resistito due giorni, poi ho chiesto: "Rimandatemi giù". E spero di rimanerci fino al mio ultimo giorno di lavoro, anche se altri 5 anni sottoterra non sono uno scherzo».
Patrizia e Valentina hanno vissuto da sempre la miniera. Padri minatori, entrambi ammalati di silicosi: «Il mio ne ha fatto 37 anni, quando si scavava sdraiati per terra — è il ricordo di Patrizia —, ha anche cercato di scoraggiarmi. Diceva "attenta a quello che fai", ma senza troppo insistere. Ed eccomi qui. Non recrimino e non ho rimpianti». E Valentina Santacroce: «Mio nonno è venuto a Carbonia nel 1942 per lavorare, anche lui il carbone nei cunicoli di Serbariu (che ora è un museo) allora in Sardegna non c’erano alternative: o la fame nelle campagne o un salario, scarso ma sicuro, in miniera. Che emozione, la prima volta che sono entrata nella gabbia per scendere in galleria. Ho pensato proprio a lui: chissà, se mi avesse visto nonno Bruno...».
Ci sono anche i figli. Giuliana ha un ragazzo di 13 anni: «L’ho portato il miniera per la festa di Santa Barbara, ma ancora è troppo presto per spiegargli». Patrizia ne ha due, Eleonora e Francesca, 21 e 16 anni, studiano pedagogia e turismo. «Faranno la loro strada. La più grande comincia a preoccuparsi per me, ma quando esco di casa alle 6 del mattino dormono ancora serene».
Alberto Pinna