Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  agosto 29 Mercoledì calendario

LA MEMORIA SELETTIVA DI BERLINO SULLE REGOLE

Non capita di rado di sentire dalla Germania appelli al rispetto delle regole e non è un argomento insincero: molti tedeschi, non solo fra gli euroscettici, si sentono traditi da ciascun Paese che chiede un aiuto. Era stato detto loro che potevano rinunciare al marco perché la moneta unica non avrebbe implicato trasferimenti: i patti escludevano qualunque salvataggio. La memoria per le regole però a volte può essere selettiva anche con le migliori intenzioni. Per esempio in Europa, a Bruxelles, a Parigi o a Roma — non solo in Germania — non si sente quasi mai parlare della «procedura per gli squilibri macroeconomici». Dietro la definizione impronunciabile, si trova un ingranaggio che spiega molto degli sconvolgimenti di questi anni e (in teoria) potrebbe portare a dei richiami e a una sanzione sulla Germania. In sintesi, la procedura mira a evitare che certi Paesi abbiano rapporti di scambio con l’estero eccessivamente in deficit, mentre altri hanno surplus troppo grande. Nell’area-euro l’80% del commercio «estero» avviene fra Paesi con la stessa moneta, dunque il surplus di uno di loro (specie se grande) finisce inevitabilmente per essere il deficit di altri. Quando questo squilibrio dura per anni, produce un accumulo di debito da un lato e di risparmio dall’altro. La tappa successiva è la deflagrazione che ha già costretto l’Irlanda, la Grecia, il Portogallo e la Spagna a chiedere aiuto. Questi quattro Paesi hanno deficit negli scambi esteri più alti di quello americano, mentre la Germania ha un surplus doppio rispetto alla Cina (in proporzione al Pil). Da circa un anno la legislazione europea dice che se l’attivo commerciale di un Paese resta a lungo sopra al 6% del suo Pil, il suo governo può subire richiami e poi essere sanzionato se non pone rimedio. La Germania è sul limite, a distanza di uno zero virgola, benché nessuno ne parli. L’economista Silvia Merler, collaboratrice del centro studi Bruegel, nota un paradosso: se queste regole fossero esistite da prima, quando si sono accumulati squilibri oggi esplosi, Berlino sarebbe stata in violazione dal 2007. Ma forse le regole sono scritte nel marmo solo quando non sono i governi europei a farle vivere.
Federico Fubini