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 2012  agosto 29 Mercoledì calendario

NEL GIRONE DEI DANNATI DELL’AZZARDO


Ride. Con i denti marci e un paio di Ray Ban piantato sul cranio. «Sono un malato, poche storie. Un malato senza speranze. Avevo dieci bar e un’officina, non ho più niente. Il mio record è 100 mila euro in un mese. Sono trent’anni che gioco. Quattordicimila euro solo nell’ultima settimana, li avevo recuperati in un casinò in Portogallo. Il gioco mi eccita. È una dannazione. Come le belle donne per certa gente. Non mi salverò mai. E di sicuro - altro ghigno sdentato - non mi salverà dover fare qualche passo in più per arrivare ai videopoker».

Ci sono pochi posti al mondo più tristi di una sala bingo alle tre di pomeriggio. Questa, davanti all’ingresso principale dell’ospedale San Giovanni Bosco, zona Nord popolosa e multietnica, potrebbe dover traslocare. «Ma io non credo che il ministro si riferisse alle sale già avviate», dice il gestore, un signore alto, gentile, emigrato dall’Argentina 20 anni fa. Controlla la situazione da una stanzetta piena di telecamere. Ci sono 30 dipendenti, vestiti di un nero funebre. Più di 1.500 clienti al giorno. Un successo che il cartello all’ingresso vuole premiare: «Apertura anticipata alle 11 di mattina».

Il jackpot di Stato lampeggia alto sulle teste: 193.480 euro. Entrano signore anziane con vestiti fuori stagione. Cinesi magri e stralunati. Donne che masticano gomme come per annientarle. Vecchi signori pallidi e tesi, venuti a cercare l’ennesimo colpo della vita. E il nostro uomo, sulla panca riservata ai fumatori, si gode la scena: «Qui viene pochissima gente normale. Quelli che guadagnano 1.200 euro al mese fanno una giocata e scappano, se ci riescono. Vengono pensionate depresse a bruciarsi i risparmi. Entrano prostitute, ladri e spacciatori. I soldi fatti in fretta li spendi in fretta. E lo Stato ci guadagna, eccome. Il 25% su ogni giocata. Questa storia di spostare le macchinette lontane da ospedali e scuole è veramente ridicola. Pura ipocrisia. Comunque, io andrei a giocare anche all’inferno». E quindi? «Le possibilità sono due. O chiudono davvero questi posti, ma sul serio. Definitivamente. Oppure credo che morirò infilando un gettone dentro un videopoker».

La scorsa settimana, un signore di 48 anni che si chiamava Maurizio Pepe, di mestiere meccanico di mezzi pesanti, si è cosparso di benzina e si è dato fuoco su un piazzola di periferia. Ha lasciato un biglietto: «Ho perso tutto ai videopoker. Perdonatemi». Abitava in via Randaccio 40, quartiere Madonna di Campagna, due chilometri in linea d’aria dall’ospedale San Giovanni Bosco. Le prime macchinette sono a venti passi dal suo portone. Le seconde, giusto l’isolato dopo: «Qui le vere slot di Las Vegas». Nell’isolato successivo c’è un terzo bar abilitato alle scommesse, con sala biliardi e videopoker. Ebbene, in nessuno di questi posti si ricordano di lui. «Si vede che andava a giocare da un’altra parte. Mica devi per forza scommettere sotto casa tua». Qui tutti si sentono al riparo da sorprese: «In zona abbiamo solo una scuola elementare. Ma i bambini vanno accompagnati dai genitori, sono al sicuro da ogni tentazione».

Una geografia complessa, quella del nuovo azzardo. Trecento scuole pubbliche nella provincia di Torino, venti ospedali, chiese in ogni quartiere. «Se spostano i videopoker nelle zone dei centri commerciali o in tangenziale, andremo a giocare là. Lo volete capire che siamo malati?». Molte sono sale nuove di zecca. Appena inaugurate. Organizzano aperitivi per attirare clientela.

Ovunque, vige la regola di non fare domande. Mai disturbare il giocatore, tintinnio di monete e solitudine. Il peggio è che non sei neppure sicuro di giocare con regole trasparenti. Sei giorni fa la Guardia di Finanza ha sequestrato 233 videopoker in tutta Italia. Avevano schede programmate per farti perdere, scientificamente.