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 2012  agosto 29 Mercoledì calendario

ASTE, SUMMIT E SCELTE DELLA BCE L’ITALIA AFFRONTA IL MESE DECISIVO PER ROMPERE LA MORSA DELLO SPREAD


Da ora a metà ottobre, l’Europa si appresta a vivere sette settimane, capaci di definirne il futuro. L’apnea si concluderà con il summit dei leader europei che dovrebbe definire i progetti di integrazione fiscale, bancaria e politica che consolidino definitivamente l’euro. Intanto, con l’ultimo weekend di agosto alle spalle, il vagone della moneta unica è tornato sull’ottovolante dei mercati finanziari. E i primi segnali dicono già che il tasso di nervosismo dei mercati è alto.
Alla prima asta post vacanze, ieri, il Tesoro italiano ha messo a segno risultati incoraggianti. Tre miliardi di euro di Ctz (titoli biennali a coupon zero) assegnati, contro una richiesta quasi doppia e, soprattutto, ad un tasso del 3,06 per cento, quasi due punti in meno del 4,86 per cento che il Tesoro aveva dovuto accettare di pagare, per titoli equivalenti, un mese fa. Ma, accanto alle aste dei nuovi titoli, sui mercati secondari, dove vengono trattati i titoli emessi già in circolazione, gli umori appaiono meno sereni. Ieri, i Btp a due anni davano un rendimento in discesa, appena superiore al 3 per cento, il livello più basso dall’aprile scorso. I titoli a 10 anni, invece, pagavano tassi in salita, oltre il 5,80 per cento, lontani dalle quotazioni della scorsa primavera. Questa divergenza non stupisce affatto gli operatori.
I titoli italiani a scadenza più breve godono, infatti di quella sorta di ombrello
aperto da Mario Draghi, quando, un mese fa, ha specificato che la campagna di rastrellamento di titoli pubblici, cui sta pensando la Bce, si concentrerà sui titoli a minor durata. Al contrario, i decennali sono privi dell’ombrello e la tensione cresce, perché stanno per essere ripresentati
alle aste.
Oggi, infatti, il Tesoro offrirà agli investitori 9 miliardi di euro di titoli a sei mesi, ma la prova generale delle prossime settimane ci sarà solo domani, con l’asta di 7,5 miliardi di euro di titoli a 5 e 10 anni. I tecnici di Via XX Settembre avevano
preferito saltare, per i titoli a più lunga scadenza, gli appuntamenti con le aste di agosto, preoccupati dalla volatilità delle quotazioni estive, ma tornano a sottoporsi al giudizio dei mercati. Nell’attesa, i decennali sono scivolati per il quarto giorno consecutivo su cinque e gli operatori si aspettano che non vada meglio oggi, alla vigilia dell’asta, dove tutti cercheranno soprattutto di capire se gli investitori esteri sono pronti a tornare sui titoli italiani. La posta in gioco, peraltro, non è alta, come qualche mese fa. L’Italia, nonostante la recessione in corso, non rischia oggi, secondo il giudizio dei più, né la bancarotta, né il collasso. A dirlo, sono soprattutto i numeri. Nel corso del 2012,
il Tesoro ha già soddisfatto circa due terzi delle sue necessità di finanziamento. Da qui a fine anno, deve trovare sui mercati circa 60 miliardi di euro, una cifra che può essere raggiunta, se vendere decennali si rivelasse troppo costoso, mettendo all’asta più titoli a scadenza breve. In ogni caso, come da tempo sostiene la Banca d’Italia e confermano ricerche indipendenti,
il Tesoro sarebbe in grado di reggere anche tassi assai più pesanti, fino ad un 7,5 per cento, quasi due punti più di oggi, un livello, finora, mai sfiorato. Il motivo sono, ancora una volta, i numeri. La durata media dei titoli italiani in circolazione (poco più di sei anni) significa che anche nuove emissioni con costi stratosferici resterebbero una quota ridotta del debito complessivo: il grosso degli interessi che l’Italia deve pagare sarebbe quello, più contenuto, dei vecchi titoli. Naturalmente, avvertono gli economisti, tutto questo regge a due condizioni. La prima è che l’emergenza dei superinteressi non si prolunghi troppo. La seconda è che il bilancio pubblico italiano si mantenga, come oggi, più o meno
in pareggio, non costringendo il governo ad aumentare la sua richiesta di finanziamento ai mercati.
Perché, allora, i nervi tesi per l’asta di domani? Perché la posta è cominciare a capire se, e in quale misura, l’Italia ha bisogno di chiedere l’intervento della Bce per tenere sotto controllo il costo del suo debito. Un successo all’asta farebbe intendere che, come sostiene il presidente del Consiglio, Monti, l’Italia può farcela da sola, senza il soccorso di Francoforte. Una delusione proietterebbe Roma a candidata alla tenda ad ossigeno della Bce. E imporrebbe un nuovo senso di urgenza al lavoro dei tecnici che, a Francoforte, stanno disegnando gli strumenti della campagna di intervento sui mercati,
sotto la supervisione degli stessi componenti del board, che hanno tutti, da Draghi in giù, deciso di disertare il tradizionale appuntamento annuale dei banchieri centrali, a Jackson Hole. Qualcosa di più, su questi strumenti, si dovrebbe sapere la prossima settimana, il 6 settembre, quando ci sarà la riunione ufficiale del direttivo Bce. Dalle indiscrezioni
che circolano, sembra ormai esclusa l’ipotesi che Francoforte, in caso di intervento, indichi pubblicamente un preciso livello, o una banda di oscillazione, dei rendimenti dei titoli del paese per cui interviene o del loro spread. Il motivo non è evitare di offrire un bersaglio agli speculatori, come è stato detto, quanto la difficoltà (più politica che tecnica) di indicare quale dovrebbe essere il livello che Francoforte ritiene giustificato. L’idea, invece, sarebbe di fornire indizi al mercato su dove la Bce vuole che si indirizzino i rendimenti, rendendo pubblici il tipo di titoli comprati e, soprattutto, le loro quantità. Ad esempio, se la Bce compra un miliardo di Btp a 2 anni e, la settimana dopo, nessuno, significa
che è soddisfatta del rendimento raggiunto. Se ne compra, vuol dire che deve scendere ancora. Questo tipo di messaggi impliciti è abbastanza comune e, assicurano gli operatori, abbastanza facilmente leggibile. Il problema è la natura degli interventi: perché il messaggio di Francoforte venga raccolto, sottolineano gli analisti di Daiwa, una delle più grandi finanziarie giapponesi, occorre che la presenza della banca centrale sul mercato sia “forte”, cioè gli acquisti siano massicci, e “continua”. Il contrario, aggiungono, degli interventi, deliberatamente e dichiaratamente “limitati”, compiuti, senza risultati, un anno
fa.