Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  agosto 12 Domenica calendario

IL PAPA’

di BAMBI –
Gli occhioni spalancati dallo stupore, le lunghe gambe ancora fragili e maldestre, Bambi è il nuovo nato, settant’anni fa, della grande famiglia Disney, quarto, tenerissimo arrivo nell’universo di cartoon che contava già Biancaneve, Pinocchio, Dumbo. Le altre creature del bosco sono in festa, in particolare gli altri cuccioli che gli diventeranno subito amici, il coniglietto Tamburino e la puzzola Fiore. Un’oasi d’armonia nel pieno della Seconda guerra mondale, dove la voce tranquilla e dolce del timido cerbiatto esprime una totale innocenza davanti al mondo che lo circonda. Nessuno sospetta che il primo Bambi, quello del libro da cui Walt Disney ha tratto nel 1942 il film, sia stato all’origine, vent’anni prima, non solo dello straordinario successo editoriale dell’autore ma anche di una accanita persecuzione nazista.
Al confronto, sono una bazzecola le
controversie sollevate negli Stati Uniti dalla prima cinematografica, per la sequenza shock di cacciatori e cani feroci scatenati sulla madre di Bambi in fuga, che spinse la permalosa e potente American Rifleman’s Association a pronunciarsi pubblicamente contro il film avanzando la richiesta — da Disney respinta — di una premessa procaccia all’inizio della storia. I nazisti, più ostinati e definitivi della pregiata associazione Usa dei detentori d’armi, avevano addirittura proibito e poi condannato al rogo, nel 1936, il libro,
Bambi, Eine Lebensgeschichte aus dem Walde( Bambi, storia di una vita nella foresta),
avendovi riconosciuto una «allegoria politica» sul modo in cui venivano trattati gli ebrei in Europa: le copie rimaste delle prime edizioni originali sono da allora una rarità. L’autore, Felix Salten (vero nome Siegmund Salzmann), ungherese trasferitosi fin da piccolo in Austria, si era già da tempo rassegnato all’esilio, stabilendosi a Zurigo per sfuggire, in quanto ebreo, alla caccia razzista.
Prolifico drammaturgo, sceneggiatore, romanziere, di fama planetaria unicamente per
Bambi,
che aveva scritto e pubblicato a Vienna a cinquantaquattro anni nel 1923, Salten riuscirà a vedere il film alla prima europea al Cinema Rex di Zurigo nel 1942, tre anni prima della morte. Sarà il coronamento di una vita consacrata in buona parte alla letteratura per ragazzi con l’invenzione di storie d’animali, cui l’aveva obbligato, dopo il boom di
Bambi,
tradotto nel 1928 in inglese, l’editore di Zurigo, Albert Müller, spalleggiato dal quello francese, Delachaux et Niestlé, convinto della «mirabile capacità di Salten di capire gli animali e di esprimerne con singolare verità i sentimenti, prendendone a prestito il linguaggio ». Gli altri titoli non eguaglieranno il primo exploit, ma verranno spesso portati sullo schermo, due ancora da Disney, nel 1957 e 1959:
Die Jugend des Eichhörnchens Perri
(
Le avventure di Perri lo scoiattolo,
1938) e
Der Hund von Florenz
(
Che vita da cani,
1923), che ha poi avuto un seguito
nel 1976,
The Shaggy D. A.,
e un paio di remake, due televisivi, nel 1988 e 1989, e uno cinematografico,
Raymond,
nel 2006. Invece, il seguito dello stesso Salten al bestseller del 1923,
Bambis Kinder, Eine Familie im Walde
(
I figli di Bambi: una famiglia nella foresta),
non ha molte parentele con il
Bambi 2
della Disney del 2006.
Ammesso nell’eletta cerchia della Vienna intellettuale di Arthur Schnitzler, Karl Kraus, Sigmund Freud, con produttivi scambi d’idee e, anche, di mogli e amanti, unico di estrazione borghese in mezzo a tanta aristocrazia del pensiero, forse per questo messo un po’ in disparte dalla storia, Salten è stato una specie di Carlo Collodi austriaco: come l’autore di Pinocchio (scritto anch’esso in età avanzata, a cinquantacinque anni, nel 1881), il papà letterario di Bambi è, principalmente, un giornalista che si dedica alle favole a tempo perso, ricavandone inaspettatamente la gloria a lui negata dalle mille altre attività, tra cui l’ideazione di opere scollacciate, come
I desideri
inconfessabili di Joséphine Viziosa
o di una vera «allegoria politica» anti- nazista,
Freunde aus aller Welt
(
Bestie in cattività,
1931), dove racconta, con chiari riferimenti ai lager, la vita di animali reclusi in uno zoo, scimmie, giraffa, pantera, leone, cui fa da “corriere” un topolino. Riedito nel 1944, nell’ora della Shoah in Europa, l’ultimo capitolo del libro,
Un coro nella notte,
è rivelatore dell’acuta percezione che aveva Salten dei soprusi subiti dagli ebrei.
Anche
Bambi
era stato ispirato allo scrittore da uno sguardo più allargato al mondo circostante: lo spettacolo mozzafiato della natura che ebbe occasione di ammirare durante un’escursione sulle Alpi. È qui, in Italia, il primo germe del libro, la storia d’un capriolo chiamato Bambi, dall’italiano “bambino”, che contiene insieme l’idea di “bebè” e “figlio”.
Walt Disney rimane folgorato dalla lettura del romanzo, nel 1935. Vuole realizzarlo subito dopo
Biancaneve,
già in lavorazione. Acquisiti con un fa-
ticoso negoziato durato anni i diritti che Salten aveva ceduto per mille dollari al regista Sidney Franklin, Disney dà il via, con l’abituale meticolosità e opulenza di mezzi, alla realizzazione. Mentre un’équipe, in tre anni, adatta il romanzo creando i personaggi e prosciugando i dialoghi (ottocento parole in tutto), negli Studios fin dal 1937 viene creata una “unità Bambi”, che nel 1939 (data la ressa di nuove produzioni:
Pinocchio
e
Fantasia)
occuperà i nuovi studi appena inaugurati a Burbank.
Per l’intera durata della realizzazione (che richiede due anni di lavoro supplementari), si aggireranno in mezzo agli animatori, come animali domestici, due cerbiatti veri (daini rossi della Virginia) regalati alla Disney dalla Development Commission del Maine. Soprannominati Bambi e Féline, faranno da modelli viventi insieme a un granserraglio di uccelli, scoiattoli, conigli e una coppia di puzzole, mentre un gufo sonnecchiante tra gli scaffali si offrirà con degnazione, specie
dopo il tramonto, agli abbozzi a matita. «Ho dovuto rimandare tutti a scuola », si vantava scherzoso Disney: «Su anatomia e comportamento degli animali, ho voluto che i miei animatori perfezionassero al massimo quanto avevano già imparato nei relativi corsi di disegno». Per il piccolo Bambi, tutto si fa alla grande: i “neoscolari” sono tutti universitari del lapis, gli artisti migliori del momento — quattro degli eccelsi
Nine Old Men
— Ollie Johnston, Eric Larson, Milt Kahl e Frank Thomas
(di cui ricorre il 5 settembre il centenario della nascita), principale animatore dell’intera produzione Disney, da
Biancaneve
in poi, anche impareggiabile attore, non sulle tavole del palcoscenico ma al tavolo da disegno, soprannominato per questo dai colleghi il «Laurence Olivier dell’animazione», nomignolo che gli aveva affibbiato Chuck Jones.
Perché tanta dedizione a un testo di successo ma inviso al nazismo, cui — secondo le biografie più maligne — an-
davano le simpatie di Disney? Proprio una delle più impietose,
Il principe nero di Hollywooddi
Marc Eliot, ne fornisce involontariamente gli indizi, quando evoca i primi anni dolorosi di Walt, con un padre brutale — probabilmente adottivo — cui scampava rinchiudendosi per ore in uno sgabuzzino senza luce: «La violenta infanzia nel Missouri gli divorò l’anima per il resto della vita e gli ispirò i personaggi più memorabili, Biancaneve, Pinocchio, orfanelli privati degli affetti familiari». Potremmo aggiungere tutti gli altri, da Cenerentola a Lilly e il vagabondo e, soprattutto, Bambi. Quel rifugio di bimbo perseguitato, dove aveva nascosto una lampada a petrolio, condusse Walt ai cartoni animati. È lì che il futuro papà di Topolino, per passare il tempo, imparò a disegnare, schizzando gli animali e i protagonisti di fiabe che erano una sola fiaba, sempre la stessa: un lungo serial di
Bambi,
riscatto del bambino che non era stato, trasmesso agli altri bambini, figli e bebè.