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 2012  agosto 12 Domenica calendario

LA MAPPA DEL CRIMINE

IN PRINCIPIO fu Sofocle, nell’Edipo re l’ispettore è anche l’assassino, pur non sapendolo. Alle origini del noir, per dirla con le parole, forse un po’ di parte, di Petros Markaris (il Camilleri greco o viceversa) c’è il drammaturgo da Colono. E poi, come spesso è avvenuto ai pensieri ellenici, con buona pace degli euroscettici, il vento si è gonfiato soffiando su tutto il mondo. Tanto che, dopo qualche millennio e alcune variazioni sul tema, il genere si è mangiato le classifiche con il 48 per cento dei libri venduti (nel 2011) e sta convincendo anche i critici, solitamente titubanti ad assegnare la patente di vera (?) letteratura ai creatori delle
crime story.
Dal passato (per Markaris anche l’Emile Zola di
Teresa Raquin
«scriveva noir e ora ne sarebbe un maestro») a oggi un fiume carsico che ha attraversato epoche, mode, gusti, superato crisi senza mai venire eliminato, sempre rinascendo uguale a se stesso, eppure diverso. Capace di adattarsi, di plasmarsi a seconda delle esigenze. Come solo i classici, appunto, sanno fare. Con la letteratura che, dalla seconda metà del Novecento, ha scommesso sul personale perdendo la voglia di occuparsi della realtà, il noir si è trovato - quasi per caso da solo a raccontarla. Caduti i muri delle ideologie, con l’arrivo della
globalizzazione, l’esplodere delle diseguaglianze e della criminalità su scala industriale, a mettere un po’ d’ordine tra l’apparenza legale e la sporca trama sotterranea ci hanno pensato i giallisti. L’Italia ne è lo specchio evidente: per capire a fondo gli incubi dopati del Nordest bisogna leggere Massimo Carlotto, per farsi catturare da quella misteriosa megalopoli popolata da mafie e serial killer che va da Modena al mare passando per Bologna bisogna affidarsi a Carlo Lucarelli. Per fare il giro del mondo non bastano ottanta noir: dentro un immaginario senza confini (grazie anche a cinema e televisione) dove gli autori quasi svaniscono per lasciare spazio ai loro personaggi. Che diventano compagni di avventure, come solo in rari casi (gli eroi di Emilio Salgari per capirci) è accaduto: dalla carta passano alla vita, quasi riconoscibili dal punto di vista fisico e psicologico. La mappa ha nel Mediterraneo il suo epicentro: Pepe Carvalho, il detective creato da Manuel Vázquez Montalbán ci ha fatto innamorare di Barcellona. I sogni scheggiati di Fabio Montale, il poliziotto del francese Jean-Claude Izzo, ci portano al centro di una Marsiglia in bilico tra un sole accecante e l’ombra della violenza. Poi appunto Camilleri con Montalbano e Petros Markaris con Kostas Charitos. Un filo li lega assieme: c’è molta analisi sociale, c’è un passato pesante, le dittature (in Italia, Spagna e Grecia) che incidono sui destini personali, la
politica gioca da protagonista. Ci sono ambienti in trasformazione, dove i cicli dell’economia, con improvvise ricchezze e repentine cadute, stravolgono gli assetti sino ad allora immobili e immutabili di civiltà contadine. L’immigrazione, come nella Francia di Montale, che sposta altri equilibri, che scompagina ancora di più le carte sul tavolo. E dentro questo caos tutto si colora di nero. Poca azione, ancor meno
pulp,
molta cucina innaffiata da ottimi vini (sono tutti gourmet) e una massiccia dose di ironia: forse il vero marchio di fabbrica.
Ma le cose cambiano, l’asse si sposta al Nord. Prima nella fredda Parigi immaginata da Fred Vargas per il suo sbilenco Adamsberg, poi ancora più su, sino al ghiaccio screpolato degli scandinavi. Il padre di tutti (non riconosciuto quasi da nessuno) Stieg Larsson ma ora e sempre di più con Jo Nesbø e il suo Harry Hole, l’ex poliziotto dalla disperata intelligenza, che ha ormai superato in preferenze il rivale virtuale, il detective svedese Kurt Wallander di Hanning Mankell. Il quadro qui cambia: tanto sangue,
tanta violenza. Delitti frutto di una società malata, in crisi di identità ma anche molta più voglia di scavare dentro l’anima. Riflessioni silenziose ritmate dalla pioggia che scende incessante, segreti inconfessabili sepolti sotto metri di neve. Poco spazio alla cucina, ancora meno all’ironia ma forse un po’ di sesso in più.
E il tour non si ferma e, anche se il noir fa i suoi giri portato dal vento (vola da Cuba alla Cina), deve per forza approdare negli Stati Uniti. Qui, non c’è Sofocle a tenerlo a battesimo, ma Chandler e Hammet possono bastare. Atmosfere dark, pistole e mitra a non finire, tanti morti ammazzati, ampie dosi di whisky, spruzzate di cocaina e quella immancabile patina glamour d’obbligo a casa Hollywood. È così che dopo i due maestri il giallo colora ampia parte della letteratura americana, dove proprio in questi mesi Joe Lansdale festeggia il suo ingresso nei classici senza altri aggettivi: parola dei severi critici del
New York Times
che hanno consacrato il suo ultimo
Acqua buia.
Poi la regina Patricia Cornwell, Don Winslow, Michael Connelly e via elencando. Impossibile tenere aggiornato lo schedario del crimine, ma con la certezza che ci sarà sempre un detective alcolista o un poliziotto stralunato pronti a vigilare sulle nostre vite di lettori spaventati ma felici.