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 2012  agosto 12 Domenica calendario

SANTI – Sono templi cristiani e insieme pagani. Celebrano tradizione religiosa e ricerca di fortuna, omaggio ai defunti e invocazione alla sorte

SANTI – Sono templi cristiani e insieme pagani. Celebrano tradizione religiosa e ricerca di fortuna, omaggio ai defunti e invocazione alla sorte. Sono le edicole votive di Napoli, le più belle del mondo. Nate nei secoli senza chiedere permesso: una grazia ricevuta o un omaggio alla Madonna erano sufficienti. La più bella di tutte, per quanto mi riguarda, è quella di Porta San Gennaro dipinta da Mattia Preti. Ma una delle più fotografate dai turisti è quella di Piazza Nilo dedicata a Diego Armando Maradona con il suo capello rigorosamente considerato “originale”. Chi è cresciuto nei vicoli napoletani è abituato a vedere questa sorta di piccole grotte o di piccoli altari che accolgono delle statuine, i “gessetti” — così vengono chiamati — come se fossero pastori da presepe, per metà avvolti sino alla vita nelle fiamme. Sono le anime del purgatorio. Accanto si mettono le foto delle persone morte, più raramente le foto di qualcuno che aveva chiesto la grazia ed era stato accontentato. Napoli ha sempre avuto una particolare passione per il purgatorio, lo ha sempre preferito agli inferni e ai paradisi. Il purgatorio è un luogo di transizione dove il peccatore può essere aiutato e il peccato può essere “risolto”. Se un’anima è all’inferno o in paradiso non c’è più niente da fare. Se è in purgatorio, chi è rimasto sulla terra può dare una mano: le preghiere, il ricordo, i comportamenti umani possono contribuire a mandare un’anima in paradiso. E soprattutto, una volta che si è data una mano, l’anima che sale al cielo può ridare una mano giù sulla terra a chi l’ha aiutata. Le anime del purgatorio sono anime che vanno aiutate e che aiutano. E le edicole votive sono la loro celebrazione. Da un po’ di tempo, Napoli e la provincia iniziano a disseminarsi di edicole votive abusive che hanno perso l’eleganza del passato. Sono degli altari di marmo pesante, con pesanti immagini di Madonne o del Volto Santo di Cristo, e pesanti crocifissi d’argento. Sembrano lapidi, cappelle cimiteriali. Sono costruite in alluminio e vetro, come verande, come stanze ricavate nel muro, tra un negozio e l’altro, tra un portone e l’altro. Su quasi tutti gli altari, in cornici sempre pesantissime, fotografie di defunti. Ancora anime, ma stavolta anime di morti ammazzati e spesso ammazzati dalla camorra. E così queste edicole diventano una sorta di memoria dei caduti di guerra, della guerra tra clan. I quartieri in cui fioriscono queste edicole hanno la necessità di tenere in vita il defunto in una forma più forte che con una messa o un semplice ricordo dei familiari. Il cimitero è troppo lontano, è troppo privato, il ricordo è troppo circoscritto al dolore di chi conosceva il morto. L’edicola, invece, vuole far presente e vuole mettere nel presente la memoria del defunto e condividerla con altri defunti: infatti non c’è quasi mai un solo morto, si accumulano uno sull’altro un gruppo di persone che hanno lo stesso destino, lo stesso movente. Tutte uccise o tutte morte giovani. O semplicemente parenti e vicini di casa. Quindi, l’edicola diventa un modo per conservare memoria e monito, ricordo e insegnamento. La camorra è un’organizzazione con molti affiliati giovani. Le organizzazioni criminali, a differenza delle aziende, investono e affiliano soprattutto tra le nuove generazioni. A morire di più quindi sono giovanissimi. Ai Quartieri Spagnoli, a Forcella, alla Sanità, al Cavone, i visi, i ritratti in primo piano degli affiliati ammazzati vengono messi dinanzi alla Madonna dell’Arco, alla Madonna di Pompei, al Volto Santo e a Padre Pio. Più raramente a San Gennaro. Può sembrare strano, potrebbe persino sembrare un’istigazione a delinquere. Ma bisogna andare più a fondo. L’esempio di un camorrista, di un ragazzo morto in una faida, ha un doppio monito: da un lato, il suo essersi immolato per far guadagnare la sua famiglia e se stesso dimostrando di preferire una morte animosa a una vita ferma e disoccupata. Dall’altro, c’è però anche il “non lo fare” o “se lo fai, finirai così”. Non c’è giudizio né in un senso né nell’altro. È davvero un misto drammatico il rapporto che i cittadini hanno con le edicole votive dei camorristi. Sono lì a ricordare i caduti. Non ne negano l’aspetto negativo o l’elemento crudele, anzi lo rivendicano in molti casi. È come se dicessero: ha sbagliato una scelta, ma una scelta l’ha fatta; era una scelta importante che l’ha fatto diventare qualcuno. Però ha pagato morendo giovane. Un’ambiguità morale che appare però chiara: puoi decidere di entrare nei clan e nessuno qui ti giudicherà male, ma se lo fai sappi che avrai una vita feroce. E morirai. La camorra non si ritiene affatto in contraddizione con la vita cristiana. Il boss considera il proprio agire identico al calvario di Cristo, il suo assumersi sulla propria coscienza il dolore e la colpa del peccato per il benessere degli uomini su cui comanda. Il bene cristiano è ottenuto quando l’agire del boss è a vantaggio di tutti gli affiliati del territorio che comanda. Mentre il potere del boss è visto come espressione di un ordine provvidenziale, per cui anche ammazzare qualcuno diventa un atto giusto e necessario, che Dio perdonerà, se la persona ammazzata metteva a rischio la tranquillità, la pace, gli affari. Ma non ci sono solo camorristi in queste edicole. Ci sono anche giovani uccisi o morti in incidenti. Per esempio, c’è l’edicola di Emiliana, una ragazza venticinquenne ammazzata con sessantasei coltellate dal suo ex fidanzato. C’è la sua foto più bella: il suo viso abbronzato, un sorriso, le labbra con il rossetto porpora. Tutti quando passano dinanzi a questa edicola le sorridono o si tolgono il cappello. Sopra la foto di Emiliana c’è il Santo Moscati, il santo medico. A fianco, altre foto di morti. Ma l’edicola è dedicata a lei, si vuole prolungare la sua presenza nel quartiere, non la si vuole abbandonare. Ci sono edicole con statue di Padre Pio a grandezza naturale, fiori, piante, ma è la disposizione delle foto la logica segreta che tiene insieme il ricordo e la sua forza simbolica. Ce n’è una più grande per la famiglia che magari ha pagato la costruzione dell’altare. Poi, più piccole, le foto di altri defunti che sono spesso parenti, amici, o semplici vicini di casa della persona a cui l’edicola è dedicata. Osservare le edicole della città è come attraversare una memoria umana e collettiva. La Spoon River di Napoli è in queste edicole. Vicino ai bassi, lungo le strade, le salite. Quelle più pacchiane, quelle che cercano a stento un’eleganza impossibile, quelle terribili perché piene di visi giovani. In un’edicola condividono la memoria e lo spazio tre foto: quella di Gennaro, ammazzato esattamente in questo punto perché era l’amante della moglie di un boss. Al suo fianco c’è ’O Cerill, morto di cocaina. E poi c’è un cugino morto d’infarto anche lui a causa della cocaina. Un’edicola, che è un intero capitolo, un racconto di cuori esplosi per troppa coca. A Forcella c’è l’edicola dedicata ad Annalisa Durante, la bambina uccisa nel corso di un conflitto a fuoco, con l’unica colpa di essere per strada. Non molto distante, c’è quella del braccio armato di Luigino Giuliano, ucciso negli anni Novanta. Eppure la sua foto è sempre circondata da fiori freschi, una memoria continua. Le foto intorno a queste figure aumentano sempre di più. Edicole dedicate a un morto ospitano altri morti. Il defunto più giovane o ucciso in maniera più tragica ha la foto più grande come se si chiedesse al passante di concedere un ricordo maggiore e in grado di compensare la sfortuna in vita del morto. Per esempio, la storia di Vincenzo, detenuto a Torino che si ammazza mentre è in attesa del processo per traffico di droga. Oppure quella di Raffaele, ammazzato a Napoli a diciannove anni. Un ritratto gigantesco campeggia al centro dell’edicola. Una faccia di bambino, un bambino cicciottello che a guardarlo non penseresti mai a un morto in una faida di camorra. A celebrarlo, pergamene in argento, fiori, vasi, ceramiche, volti di Madonne di ogni epoca, rose. Il ricordo barocco. Difficile scovare un singolo motivo che spinge una città a conservare in questo modo la memoria e spesso la memoria della sua parte peggiore. In altre città esistono lapidi che ricordano i morti del terrorismo, lapidi che ricordano eventi storici, Napoli stessa ne è disseminata. Ma sono come ricordi imposti. Invece queste lapidi scelte dalle persone, nate nei luoghi di qualche incidente o dove sono morti ragazzi e ragazze, queste edicole popolari che deturpano spesso i vicoli e aggrediscono le pareti abusivamente, fanno parte di un’altra categoria, quella del ricordo non istituzionale, autogestito. Non riesco, pur capendone spesso lo scempio e persino la pericolosità, ad averne un’impressione soltanto negativa. È comunque una presenza. Una traccia. Una memoria. Queste foto sembrano voler dire qualcos’altro oltre il ricordo di un nome. Questa continua relazione con l’aldilà nella quotidianità di Napoli è qualcosa di profondo e complesso, è il non essere mai in pace. La morte, soprattutto se violenta, è una presenza quasi normale nella quotidianità di questa parte di mondo. Una città che si riempie di edicole a ricordo di giovani morti, una città piena di morti ammazzati, è una città dolente, è una città che non si vuole liberare e non riesce a liberarsi dal dolore inevitabile, dalla tragedia necessaria, dal fatalismo della morte. C’è una frase in dialetto del rapper Lucariello nel pezzo ’ O Spuorc cantato con i Co Sang che tradotta in italiano sintetizza bene queste edicole: «Per chi ha giocato sporco e neanche dopo morto riposa». A volte queste edicole sembrano — più che ricordare — costringere a non riposare. Non far riposare i parenti che soffrono. Non far riposare chi è morto. Non far riposare una città che continua ad avere un quotidiano che è sempre meno purgatorio. Sempre più inferno.