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 2012  agosto 12 Domenica calendario

Il tris d’assi di Varese leader dell’antifurto – C’era una volta il distretto varesino dell’antifurto per auto

Il tris d’assi di Varese leader dell’antifurto – C’era una volta il distretto varesino dell’antifurto per auto. Potrebbe cominciare con il classico incipit delle favole la storia che stiamo per raccontarvi. Anche perché nella storia, ambientata nel dedalo di viali alberati e stradine che dal centro di Varese si dipanano verso la periferia e il groviglio di paesi intorno, i canoni della favola non mancano. Lieto fine compreso. Il distretto descritto alla fine del ’91 nella 36esima puntata di quella storica inchiesta non c’è più. Della ventina di aziende che, insieme a decine di laboratori artigianali per l’assemblaggio, occupavano 3mila persone e fatturavano 300 miliardi di lire di cui tre quarti all’estero, ne sono rimaste solo tre. Apparentemente un tracollo. In realtà è stata la naturale evoluzione di un settore produttivo nato per caso dalla genialità e dall’intraprendenza di tre amici poco più che ventenni che di giorno facevano lavori diversi e la sera s’incontravano al bar. Si erano inventati un prodotto e un mercato, partendo da un bisogno reale: proteggere un bene che stava diventando sempre più costoso, l’automobile. Erano Giuseppe Scazza, Dario Riganti e Piergiorgio Conti di cui tutti si ricordano nell’ordinato alternarsi di villette e capannoni nella "valle delle sirene" (come venne ribattezzato il distretto per richiamare la vitalità da Silicon Valley). La loro start-up, Sca-ri-co dalle iniziali dei cognomi, aveva depositato per prima il brevetto. Il confronto economico a vent’anni di distanza per forza di cose non può essere omogeneo. Era pur sempre il secolo scorso e le vendite di auto continuavano a crescere. Quei 300 miliardi di lire del ’91 oggi sono diventati ben più di 300 milioni di euro, ma realizzati con prodotti completamente diversi, molto più evoluti e sofisticati. Con protezione volumetrica e ultrasuoni, che includono servizi post-furto di "telematica assicurativa" allora solo immaginati dai protagonisti di questa storia. «Varese pensa all’antifurto spaziale» era il titolo dell’inchiesta di allora. Oggi è impensabile un modello produttivo basato sui terzisti che assemblavano antifurto e telecomandi nei loro laboratori: la maggior parte del fatturato deriva dal cosiddetto primo impianto, montato direttamente dalle case automobilistiche che impongono standard di qualità e di riservatezza rigidissimi. Si tollerano non più di 7 pezzi difettosi su un milione. Questo non solo ha spazzato via la rete produttiva diffusa e artigianale ad alta intensità di lavoro, ma ha anche accelerato l’iniezione di forti dosi di tecnologie avanzate nel ciclo industriale. Il risultato è stato un ridimensionamento drastico dell’occupazione: sommando i numeri delle tre aziende che operano ancora in provincia (Cobra, Metasystem e Getronic) siamo ben al di sotto del migliaio di persone occupate. Il lavoro, dunque, ci ha rimesso, come in molti altri comparti manifatturieri. Accanto alle linee ci sono sempre meno persone e a scandire i ritmi ci pensano il ronzio dei robot antropomorfi che manipolano decine di migliaia di pezzi all’ora, e le vibrazioni del montaggio ad ultrasuoni. È rimasta però la leadership mondiale in un segmento che paga come tutto l’automotive il calo delle immatricolazioni, in Italia come negli altri mercati maturi. Se a Varese chiedi dove sono i concorrenti più agguerriti, ti rispondono «in Italia». Insomma, i cinesi questa volta non c’entrano. Non ci sono cifre ufficiali, anche perché le aziende hanno diversificato e le linee di prodotto si sono allargate al confort di guida (i sensori di parcheggio, per fare un esempio). Ma come nel ’91, la gran parte del mercato mondiale è appannaggio delle aziende varesine. Il contesto però è radicalmente diverso. Per capire cosa è accaduto bisogna risalire alla seconda metà degli anni ’90 quando una norma europea introduce l’obbligo di installare l’immobilizer, l’antifurto che blocca il motore, basato sul riconoscimento della chiave. Diventa di serie su tutte le nuove vetture. Per l’industria è una rivoluzione e una batosta: è vero che se ne producono di più ma i margini si riducono drasticamente anche perché l’installazione diventa appannaggio delle case automobilistiche. I clienti, inoltre, tendono ad accontentarsi del livello minimo di protezione dell’auto e la domanda si affloscia. Gli anni d’oro, fatti di ricchezza diffusa e fortune improvvise, sono ormai alle spalle. La tutela della proprietà intellettuale comincia a diventare una cosa seria. Per stare sul mercato bisogna fare il salto di qualità, investendo in ricerca&sviluppo e in tecnologia. Le aziende devono essere in grado non solo di dialogare con i colossi dell’auto - da Toyota a Mercedes, da Audi a Porsche passando per Bmw e Volkswagen - che ormai dettano le regole, ma anche di rispondere alla concorrenza di gruppi come Bosch, Megamos e Siemens a cui fa gola un segmento di mercato complementare ai propri business. Servono capitali ma soprattutto capacità imprenditoriali più sofisticate di quelle che avevano i pionieri. E voglia di combattere. Molti, invece, si sentono più che appagati. Scoraggiati dai margini in calo non vogliono rimettersi in gioco. E c’è una complicazione in più: lavorare con poche case automobilistiche invece che con migliaia di installatori mette in crisi "schemi" di contabilità poco trasparenti. In grigio. Tendenti al nero. Quasi tutti gettano la spugna. Chi ci riesce vende. A gente di fuori, s’intende. Qui, come altrove, non c’è stata alcuna fusione. Qualcuno, come Scazza, cambia settore o torna alle origini. I più si godono quello che hanno guadagnato in pochi anni e reinvestito in immobili o nella grande distribuzione. Le tre aziende che restavano in pista nel ’96 sono le stesse di oggi. La più piccola è la Getronic di Gavirate che è diventata GT Alarm, fondata da Danilo Restelli, ex distributore della Elser di Scazza. La Gemel di Mornago, fondata da Luigi Orrigoni (quello dei supermercati Tigros) e poi ceduta alla Metasystem di Reggio Emilia, è l’unica sopravvissuta all’evoluzione societaria ed è leader nella telematica assicurativa grazie alla Ottotelematics (oggi del fondo Charme) e agli accordi con le compagnie. Il direttore vendite Italia, Claudio Mangano, è la memoria storica. La Cobra, infine, è l’unica approdata in Borsa, evoluzione della Delta che nel ’75 un elettrotecnico pugliese emigrato in Lombardia, Serafino Memmola, aveva fondato con Isidoro Dall’Osto (ex socio di Scazza) e un collega dell’Enel, che lo aveva coinvolto in questa storia. A quarant’anni dagli esordi il settore è maturo e inevitabilmente paga le difficoltà dell’industria dell’auto (e moto). Comunque guarda avanti. Il modello è la "piramide della sicurezza" di cui l’immobilizer è la base. Il vertice si sposta sempre di più dalla protezione dell’auto al recupero post-furto e alla sicurezza delle persone. L’evoluzione già in atto guarda al confort e alla gestione di guida, con telecamere e radar per individuare gli ostacoli mentre l’auto è in movimento, con tutti i servizi che la fantasia può immaginare. Quanta strada da quella pre-serie di 50 pezzi che collegavano la batteria al clacson e si attivavano con i cali di corrente provocati dall’apertura delle portiere...