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 2012  agosto 12 Domenica calendario

Ma lo spezzatino servirebbe all’Italia?– Alcuni banchieri italiani mi hanno rimproverato perché quando il 31 luglio ho scritto sulla necessità di spezzare le grandi banche "cattive" non ho detto chiaramente che mi riferivo al mondo angloamericano

Ma lo spezzatino servirebbe all’Italia?– Alcuni banchieri italiani mi hanno rimproverato perché quando il 31 luglio ho scritto sulla necessità di spezzare le grandi banche "cattive" non ho detto chiaramente che mi riferivo al mondo angloamericano. L’articolo in inglese, che a quel mondo si rivolgeva, non bastava. Occorreva un’esplicita assoluzione dei banchieri nostrani. Ma se la meritano? È vero che gli scandali da me menzionati, dai mutui subprime alla manipolazione del Libor, sono stati tutti causati da banche angloamericane. Ed è vero che su queste il mio articolo si incentrava. Ma non è vero che le banche di altri Paesi siano prive di colpe, né che uno spezzatino bancario non possa portare un beneficio anche a casa nostra. Nell’ultimo quinquennio le banche dell’Europa continentale hanno commesso molti degli stessi errori delle loro sorelle angloamericane. Le Landesbank tedesche sono state tra le più avide acquirenti di titoli subprime e hanno dovuto essere salvate dal governo tedesco. Ubs e Sociéte Générale si sono contraddistinte per la loro incapacità di tenere sotto controllo i propri trader, subendo forti perdite. Le Caixa spagnole hanno abbandonato qualsiasi standard di prudenza nei prestiti, alimentando una bolla immobiliare che ha prostrato la Spagna e l’ha costretta ad invocare il soccorso europeo. A confronto le banche italiane sembrano esempi virtuosi. Gli investimenti in mutui subprime sono stati minimi e così le perdite sui derivati. Non c’è stata bolla immobiliare e anche l’esposizione verso la Grecia è stata limitata. Se non fosse che le maggiori banche italiane in media hanno perso l’85% del loro valore di mercato da fine 2007, verrebbe quasi da prenderle a modello. I vizi delle banche italiane sono diversi da quelle delle banche angloamericane. Non hanno nomi esotici come "Libor", "subprime", e "real estate bubble", ma più prosaicamente "conflitto di interesse". Non per questo sono meno dannosi. Possono essere curati con lo stesso rimedio? Cominciamo con il più classico dei conflitti di interesse, quello che portò all’approvazione in America del Glass Steagall Act, che separò le banche di investimento da quelle commerciali. Quando una banca svolge entrambe le funzioni ha interesse a scaricare sui suoi clienti i sui prestiti a società sull’orlo del fallimento sotto forma di obbligazioni. Gli esempi di Cirio e Parmalat in Italia sono ancora freschi. Ma la pratica continua. Lo scorso anno Luigi Guiso riportò sul Sole 24 Ore un piccolo esperimento: chiese ad una banca consigli su come investire 100mila euro e gli furono offerti subito titoli strutturati che scaricavano sul cliente il rischio di un collocamento non riuscito cui la sua banca aveva partecipato. Se questo non è uno scandalo, non so cosa lo sia. Una separazione forzata tra le funzioni di advisor, quelle di investitore, e quelle di creditore aiuterebbe il nostro mercato a crescere, col beneficio di tutti. Ma in Italia il conflitto di interesse è un modello di business. Mediobanca ha prestato più di un miliardo al gruppo Ligresti, che deteneva un importante pacchetto di azioni di Mediobanca, di cui contribuiva a determinare i vertici. In qualità di creditore e anche di underwriter dell’aumento di capitale, Mediobanca ha giocato un ruolo primario nella ristrutturazione di FonSai, nonostante sia l’azionista di riferimento del principale concorrente di FonSai. Purtroppo Mediobanca non è l’unica. Fino all’anno scorso lo stesso Ligresti sedeva nel consiglio di amministrazione di UniCredit che ha prestato alle società del gruppo 370 milioni. Nel "fortunato" investimento in Alitalia, Intesa Sanpaolo era consulente del governo, che deteneva la maggioranza della compagnia di bandiera, ma era anche uno degli acquirenti della "parte buona" di Alitalia, nonché il principale creditore di Air One, che fu fusa (dietro consiglio del consulente) con Alitalia, garantendo il rientro dei crediti. L’unico ostacolo a questi legami sono i magistrati. Ma anche quando non violano il codice penale, questi legami trasformano il "mercato" finanziario italiano in qualcosa che assomiglia di più al conciliabolo vaticano che al mondo della libera concorrenza. Per questo un legge tipo Glass Steagall aiuterebbe a sviluppare il nostro mercato. Ma anche limiti dimensionali, almeno all’interno del territorio italiano, avrebbero aiutato le nostre banche a evitare alcuni dei più clamorosi e costosi errori, come l’acquisizione di Capitalia da parte di UniCredit e quella della Banca Antoniana da parte di Montepaschi. Come nel caso americano e inglese, però, il beneficio maggiore di uno spezzatino bancario sarebbe quello di ridurre il potere che le banche italiane hanno sulla politica. Anche in piena crisi finanziaria, con il susseguirsi di decreti che aumentano le imposte, le banche sono riuscite a farsi approvare benefici fiscali enormi. La sola Intesa Sanpaolo nel 2011 ha risparmiato imposte per 2,1 miliardi di euro grazie all’affrancamento fiscale dell’avviamento, una scappatoia fiscale ideata da Tremonti e poi ulteriormente ampliata da Monti. Le banche italiane non hanno commesso gli stessi errori di quelle angloamericane. Ma non sono certo senza peccati. Separazione tra funzioni e limiti alla concentrazione sarebbero utili anche per noi.