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 2012  agosto 12 Domenica calendario

Il regista, la ballerina e 46 anni di differenza Un caso per i giudici – Una storia d’amore che nasce in un teatro italiano, finisce nelle aule giudiziarie americane e alla fine diventa pure un caso politico

Il regista, la ballerina e 46 anni di differenza Un caso per i giudici – Una storia d’amore che nasce in un teatro italiano, finisce nelle aule giudiziarie americane e alla fine diventa pure un caso politico. Tutto comincia un anno fa. Nello Stabile di Trieste sbarca lo spettacolo «Cercando Picasso», con Giorgio Albertazzi protagonista e le ballerine della Martha Graham Dance Company a dar vita ai quadri del genio spagnolo. Tra loro c’è una studentessa ventisettenne, Natasha Diamond-Walker. A dirigere la rappresentazione è il regista Antonio Calenda che da quasi diciotto anni è anche il direttore artistico del «Rossetti». Sul palcoscenico scocca la scintilla tra il maturo maestro (73 anni) e la giovane talentuosa (27). Dopo il rientro in patria della bruna ballerina, cominciano i problemi. Anche perché nel frattempo lei ha chiesto e ottenuto un grosso favore dal suo fidanzato: cinquecentomila euro in prestito. «Mi ha chiesto un aiuto, voleva comprare la sua prima casa, ero innamorato, mi sono fidato», spiega lui al Corriere. La relazione scorre felice finché Natasha non decide di troncare il rapporto. Torna a New York, dove si dedica all’arredo dell’appartamentino (di circa ottanta metri quadri) che con i soldi dell’ormai ex fidanzato si è comprata lungo la West End Avenue (Upper West Side). E, soprattutto, fa capire di non voler restituire nemmeno un euro, nonostante, pare, ci fosse un accordo. A quel punto la corda si spezza. Perché Antonio Calenda se la prende non poco e mobilita i suoi avvocati. «Quando ho capito che non aveva alcuna intenzione di restituire il denaro ho compreso di essere stato vittima di una vera e propria frode e i legali me l’hanno confermato», dice il direttore. Aggiungendo: «Ho chiesto solo la restituzione dei miei soldi, anche a fronte di un documento firmato», (va detto che secondo Il Piccolo di Trieste, che per primo ha dato la notizia, la cifra richiesta è superiore: sarebbe stata di 800 mila euro per il prestito, più un milione per i danni). Di sicuro Calenda ha sottovalutato l’eco mediatica: negli Stati Uniti la storia trova ampio spazio su giornali come il Daily News e su siti come quello dell’Huffington Post. Lei fa parlare il suo avvocato: «La mia cliente non è una gold digger. È stata manipolata». Non sarà una «cercatrice d’oro», ma sparire subito dopo essersi fatta prestare mezzo milione di euro sembra quanto meno sospetto e sicuramente discutibile: è il commento più diffuso anche sui giornali al di là dell’Atlantico. Ma il caso è solo all’inizio. In attesa delle decisioni dei giudici americani, ieri la vicenda ha preso una nuova piega. In un’interrogazione presentata dal consigliere del Pd Sergio Lupieri si parla di «seri interrogativi sulla sua capacità (di Calenda, ndr) di gestire denaro pubblico». Secca la replica: «La querela è inevitabile. Devo difendermi da questo attacco alla mia professionalità e alla mia immagine. Sono qui da quasi diciotto anni e basta guardare i dati dell’Agis per valutare il mio operato». Sulla questione è intervenuto pure Paris Lippi, il presidente del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia: «Un sillogismo inqualificabile e tendenzioso quello che associa fatti pertinenti alla sfera assolutamente privata, a quello che è invece il profilo e valore sul piano professionale. Sono insinuazioni che non stanno né in cielo né in terra». Insomma, un’altra «scena» sicuramente peggiore di quelle che chiudevano la rappresentazione galeotta dedicata a Picasso: Le désir attrapé par la queue («Il desiderio preso per la coda») e la silhouette della colomba della pace. Immagini che oggi appaiono persino profetiche. Antonio E. Piedimonte