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 2012  agosto 12 Domenica calendario

COMMISARIO TAGLIA DEBITO

Un’operazione calibrata nelle dimensioni, che siano ritenute credibili dai mercati, nei tempi di esecuzione, non troppo brevi per non pregiudicarne la fattibilità, e soprattutto con una forte regia centrale, per superare più facilmente gli ostacoli anche normativi che finora hanno impedito alle dismissioni di decollare. Dopo aver attribuito a Enrico Bondi i poteri speciali per gestire i tagli della spesa, a Francesco Giavazzi quelli per riordinare gli aiuti alle imprese e a Giuliano Amato quelli di riformare il finanziamento di partiti e sindacati, nel governo Monti si fa strada l’idea di creare un supercommissario anche per le gestione del futuro piano di valorizzazione e dismissione del patrimonio dello Stato.
L’intenzione di Palazzo Chigi è quella di integrare i tre fondi già varati per la cessione degli immobili dello Stato e dei Comuni, le municipalizzate e gli ex beni demaniali ricevuti dagli enti locali. I nuovi accordi europei ci imporranno dal 2014 una riduzione annuale del debito imponente, ed in attesa della crescita dell’economia che renderebbe tutto molto più facile, servirà l’appoggio di una serie di operazioni straordinarie. Un piano che il governo Monti, approfittando anche della gran quantità di proposte di abbattimento del debito pubblico presentate negli ultimi temi da partiti, centri studi e singoli economisti, vuole mettere nero su bianco entro i primi giorni di settembre.
L’obiettivo è quello di mettere insieme un piano articolato di misure che, in aggiunta alle entrate garantite dai tre fondi appena creati e alle dismissioni già programmate di Fintecna, Sace e Simest (15 miliardi complessivi), consenta di ridurre il debito di altri 20-30 miliardi di euro l’anno per almeno tutto il prossimo quinquennio, pescando dentro tutto il patrimonio disponibile: quello centrale, quello degli enti locali, i beni immobili, le concessioni, i crediti e le partecipazioni azionarie. Sfruttando tutti gli strumenti a disposizione compresa, eventualmente, la nuova golden share, che apre la strada alla dismissione diretta di alcune partecipazioni azionarie del Tesoro, in alternativa al loro collocamento dentro la Cassa Depositi. Mantenendo i poteri speciali il Tesoro potrebbe ridurre la sua partecipazione in Eni, Enel e Finmeccanica senza rischi eccessivi, incassando una trentina di miliardi di euro «una tantum».
Anche la cessione degli immobili, con un valore stimato di oltre 425 miliardi ed un rendimento annuo di un misero 0,4% (circa 2 miliardi quando, secondo gli esperi del Tesoro, se ne potrebbero incassare quasi 30), è destinata a dare un contributo importante al piano. Anche se non sarà così rilevante come qualcuno immagina. Il mercato resta difficile per l’assenza di compratori, e in futuro rischia di saturarsi ancor di più, visto che tra il 2014 e il 2015 è attesa la cessione degli asset dei fondi immobiliari creati intorno al 2000-2001.
In più è un mercato molto segmentato. La gran parte degli immobili pubblici (compresi quelli «liberi», il cui valore complessivo è di circa 40 miliardi di euro) è degli enti locali. È vero che oggi hanno bisogno di fare cassa, ma Comuni, Province, Regioni, Iacp, Asl sono molto gelosi delle loro prerogative costituzionali ed anche per questo Palazzo Chigi vuole una regia centrale molto forte per il nuovo piano, e mette in conto anche una modifica della normativa esistente. Altrimenti, ad esempio, sarebbe molto difficile dismettere organicamente il patrimonio dell’edilizia residenziale pubblica. Un milione di appartamenti realizzati con il contributo di tutti (i fondi Gescal), ma che fanno capo a 110 enti pubblici territoriali e che ormai, secondo la Corte dei Conti, per oltre una buona metà non possono essere più considerati come «case popolari».
Hanno un valore catastale di 23 miliardi di euro, e per giunta costano un miliardo di euro l’anno di manutenzione, ma ormai il loro valore di mercato, secondo gli esperti del Tesoro, sarebbe di almeno quattro volte superiore. Nel piano delle cessioni, poi, potrebbero finire gli immobili degli enti previdenziali, che ne hanno ancora moltissimi in portafoglio. Con un piano quinquennale di dismissioni da questi enti potrebbe derivare un contributo di 15-20 miliardi di euro. L’altro serbatoio dove si andrà a pescare per ridurre il debito è quello delle concessioni, un valore di 70 miliardi di euro che garantisce una rendita annuale misera. Anche qui, dicono gli esperti che lavorano al dossier, c’è margine per garantire una redditività di almeno quattro volte superiore.
Mario Sensini