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 2012  agosto 11 Sabato calendario

CREDITI DETERIORATI UNA MINA DI SISTEMA

LA BCE lancia l’allarme sul rischio insolvenze-sofferenze. La Banca d’Italia comunica che i prestiti alle aziende a giugno si sono contratti del 2% annuo; in caduta dal +5% di inizio 2011. Sono due facce della stessa medaglia: una recessione destinata ad acuirsi, ma sottovalutata nelle previsioni ufficiali. A luglio l’indicatore PMI per l’Italia, che misura il livello complessivo di attività economica, è sceso a 43: un valore inferiore a 50 è segnale di recessione. A inizio 2011 era a 55, dopo aver toccato il fondo a 35, a fine 2009. È’ il tanto temuto
douple dip,
la rapida successione di due recessioni: evento raro e devastante.
Quando peggiorano le prospettive, le imprese ridimensionano o cancellano i piani di espansione, e cala quindi la domanda di credito per finanziarli. Chi continua ad averne bisogno, sono le aziende che devono
indebitarsi per far fronte alla caduta dei ricavi, o alle difficoltà di incasso: quindi, quelle finanziariamente più deboli. Così, rischio dei crediti e sofferenze aumentano, riducendo la disponibilità delle banche a erogare prestiti. La contrazione della domanda e dell’offerta si rafforzano reciprocamente. La dinamica delle sofferenze gioca un ruolo cruciale perché è allo stesso tempo causa ed effetto del credit crunch. Dinamica destinata a peggiorare.
Banca d’Italia riferisce che le sofferenze complessive a giugno erano cresciute del 20% annuo, a fronte di uno stock di prestiti invariato. Le banche sono quindi costrette ad aumentare gli accantonamenti per far fronte a probabili perdite, con danni per il conto economico e la rischiosità degli attivi. I dati trimestrali di Unicredit e Intesa danno un’idea del-l’effetto di questa dinamica sui conti delle banche. Al 30 giugno Unicredit aveva quasi 44 miliardi di prestiti deteriorati (al netto delle rettifiche già fatte); Intesa, 26. Nel secondo trimestre Unicredit ha dovuto contabilizzare 1,9 miliardi di nuove rettifiche sui crediti, in aumento del 63% rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente; 1,1 miliardi quelli di Intesa, una crescita annua del 31%. Ma
più della dinamica conta la dimensione dell’effetto sul loro conto economico: nel secondo trimestre, le rettifiche di Unicredit hanno eroso il 52% degli interessi netti incassati dalla banca; e il 44% di Intesa. E nonostante l’intervento della Bce abbia abbattuto il costo della raccolta bancaria. Se dovessero finanziarsi autonomamente sul mercato, con queste prospettive economiche, le banche italiane non sopravviverebbero a lungo. La crisi bancaria è prevalentemente di redditività, e quindi di difficoltà a finanziarsi (liquidità). E gli aumenti di capitale non la risolvono, fino a quando le banche non torneranno ad essere redditizie, senza l’aiuto della Bce.
Lo scenario è tetro, ma il problema delle sofferenze è anche peggio di come appare. Primo: le rettifiche di valore riguardano quasi solo prestiti per i quali si sia già verificata qualche
forma di insolvenza; non tengono conto delle aziende che hanno una probabilità crescente di difficoltà finanziaria, ancorché in bonis. Secondo: non tengono conto della moratoria concordata con l’Abi, che serve anche alle banche per calmierare le sofferenze; né la rinegoziazione dei prestiti che rinvia e riduce gli impegni del debitore, permettendo di non considerarli problematici ai fini contabili. Terzo: il problema tocca anche le famiglie, che hanno sofferenze in aumento del 13% annuo. Il livello medio di indebitamento delle famiglie italiane è basso. Ma chi ha comprato casa negli anni dell’euro lo ha fatto con un mutuo: secondo Banca d’Italia, fino a un anno fa il 73% degli Italiani ricorreva a un mutuo per poco meno del 75% del valore della casa. Per questi, una recessione può significare trovarsi in difficoltà con la banca. Senza contare l’esposizione complessiva al settore delle costruzioni, società e fondi immobiliari, la cui dimensione è ignota: una fonte di rischio vista la probabile caduta dei prezzi degli immobili che il crollo delle transazioni e dei mutui erogati, oltre agli immobili che Stato, Enti locali e previdenziali vogliono vendere, lascia presagire.