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 2012  agosto 12 Domenica calendario

La sfida di Ryan e la dura vita dei vice più potenti del mondo - Con la scelta del giovane depu­tato Paul Ryan, beniamino dei Tea Party e artefice della con­troversa risposta repubblicana al­la finanziaria democratica, come suo candidato alla vice-presiden­za, Mitt Romney ha completato il campo per le elezioni di novem­bre

La sfida di Ryan e la dura vita dei vice più potenti del mondo - Con la scelta del giovane depu­tato Paul Ryan, beniamino dei Tea Party e artefice della con­troversa risposta repubblicana al­la finanziaria democratica, come suo candidato alla vice-presiden­za, Mitt Romney ha completato il campo per le elezioni di novem­bre. Sarà Obama-Biden contro Romney-Ryan, con una differen­za: mentre il vecchio Joe Biden, che non si è particolarmente di­stinto in questi quattro anni, por­ta poco o nulla in dote al presiden­te, Ryan potrebbe essere doppia­mente prezioso per il suo numero uno: il compito sarà di favorire la conquista del suo Stato, il Wiscon­sin, che nel 2008 votò per Obama, e soprattutto di acquisire i favori dell’ala più conservatrice del par­tito, che lo ha sempre guardato con un po’ di sospetto.La designa­zione del vice è prerogativa esclu­siva dei candidati presidenziali, ma i criteri seguiti variano molto: alcuni hanno usato la scelta per bi­lanciare ideologicamente il «tic­ket » tra destra e sinistra, altri per bilanciarlo geograficamente tra Est e Ovest o tra Nord e Sud. Ryan, dunque, si candida a oc­cupare la difficile casella di secon­do uomo più potente del mondo. Anche se, in teoria, la carica non conferisce grandi poteri: il vice presiede il Senato (e in certi casi il suo voto ha fatto la differenza), ha un suo gabinetto e spesso sostitui­sce il presidente in missioni al­l’estero, ma la sua influenza sulle scelte politiche della Casa Bianca dipende soprattutto dal rapporto che ha con il numero uno. Ciò non­dimeno- come abbiamo visto l’11 settembre - gode di eccezionali misure di protezione, perché la sua figura diventa cruciale se il presidente in carica muore o è co­stretto alle dimissioni, come è già accaduto tre volte negli ultimi set­tant’anni. La prima fu nel 1945, a pochi giorni dalla fine della seconda guerra mondiale, con la morte di F.D. Roosevelt. A prendere il suo posto fu Harry Truman, semisco­nosciuto senatore del Missouri, che per prima cosa si trovò a pren­dere una decisione storica: sgan­ciare o no la bomba atomica sul Giappone. Molti lo sottovalutaro­no, e pensarono che alla scadenza del mandato gli elettori lo avreb­bero mandato a casa: invece, nel 1948 venne confermato e divenne uno dei grandi protagonisti del­l’ascesa dell’America alla guida dell’Occidente nella lotta contro il comunismo sovietico. La seconda successione fu di gran lunga la più drammatica: Lyndon Johnson che, nel novem­bre del 1963, subentrò a John F.Kennedy dopo l’assassinio di Dallas. Molti ricordano ancora la fotografia che immortala il suo giuramento sull’aereo che riporta­va la salma del presidente a Washington. Johnson, conserva­tore texano, aveva idee molto di­verse da Jfk e qualcuno lo sospettò perfino di essere stato l’istigatore dell’attentato.Invece,ne seguì fe­delmente­la politica di apertura so­ciale e integrazione razziale crean­do la cosiddetta «Great society», e trasformò il limitato intervento di Kennedy in Vietnam in una guer­ra vera e propria, che costò al­l’America più di 50.000 morti e una fase di impopolarità globale. Fu rieletto a valanga nel 1964 e avrebbe potuto fare il bis nel 1968, ma preferì ritirarsi, aprendo così la strada al ritorno di Richard Nixon, che era già stato dal 1952 al 1960 il vice di Eisenhower. È proprio durante la presidenza Nixon che la figura del vice è venu­ta maggiormente alla ribalta. Nel suo primo mandato, «Trick Di­cky » si prese come numero due Spiro Agnew, un greco-america­no già governatore del Maryland, che dopo una serie di gaffes (la più famosa: «Una volta che hai visto un ghetto negro li hai visti tutti») fu costretto alle dimissioni. Nel se­condo la scelta cadde su Gerald Ford, leader repubblicano al Con­gresso, di cui Johnson disse una volta che «non è capace di cammi­nare e masticare gomma allo stes­so tempo». Eppure toccò proprio a Ford subentrare a Nixon quan­do nel 1974 questi fu travolto dallo scandalo del Watergate. Il suo pe­raltro, fu un regno breve, perché due anni dopo fu battuto dal de­mocratico Carter. Per molti vice, il quadriennio trascorso nella dépendance della Casa Bianca non ha avuto seguito: è il caso di Quayle, di Gore e ulti­mamente di Cheney. Per Bush sr, è stato invece il trampolino per conquistare a sua volta la presi­denza dopo avere servito per otto anni come numero due di Rea­gan. Vedremo che cosa la designa­zione porterà a Ryan, astro na­scente del partito con almeno trent’anni di politica davanti a sé. Se Romney perderà, potrà tentare la scalata in proprio nel 2016; se vincerà, potrà tra quattro o otto an­ni prendere il suo posto.