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 2012  agosto 12 Domenica calendario

PARIGI —

La Storia non ha certezze su chi fu il primo commensale a servirsi di una forchetta. Ma avvalora la testimonianza di chi ne notò una nello scrigno da tavola di re Carlo V di Francia, intorno al 1380. La letteratura dell’epoca certifica che ancora mangiava con le dita perfino Madame Eglantine, l’esemplare madre priora dei Racconti di Canterbury, lodata da Geoffrey Chaucer per la grazia con cui sapeva portarsi il cibo alle labbra, senza lasciarne cadere neppure un pezzetto sul seno e, soprattutto, «senza intingere troppo profondamente le dita nella salsa».
Il cinema ha cercato di sopperire alle lacune storiche sulla nascita dello strumento immaginando un rude, ma impeccabile ambasciatore spagnolo sfoderare una forchetta nella Kermesse héroïque, film franco-tedesco degli anni 30, ambientato nel 1616, quando l’astuta moglie del borgomastro di un paesino delle Fiandre orientali, sotto la dominazione spagnola, decide di spiazzare l’invasore e accoglierlo come un ospite di riguardo, pur non conoscendo ancora, a differenza del sagace diplomatico, l’esistenza delle posate. Il cui utilizzo risultava comunque ancora piuttosto approssimativo: nella scena conviviale l’ambasciatore infilza il boccone, tra lo stupore dei presenti, ma subito dopo lo stacca con le dita, per portarlo alla bocca.
Ora anche l’arte prova a svelare le misteriose origini della buona creanza a tavola, quando, forse per merito di Erasmo da Rotterdam e dei suoi consigli su «l’educazione dei bambini», all’inizio del ’500, si cominciò a trovare «disdicevole leccarsi le dita unte o pulirle con l’aiuto della giacca. Meglio servirsi della tovaglia o del tovagliolo», come suggeriva amabilmente il filosofo.
La mostra è stata allestita, o meglio apparecchiata, al Museo del Castello reale di Blois (fino al 21 ottobre), nella valle della Loira, con lo scopo di illustrare gli usi e i (mal)costumi che resistettero perfino alle tavole dei sovrani almeno fino al XV secolo.
«I festini del Rinascimento» non mostrano soltanto l’evoluzione dell’arte della tavola francese, la storia degli oggetti che hanno accompagnato i successi secolari di una gastronomia recentemente classificata dall’Unesco nel patrimonio dell’umanità, e l’influenza (modesta) italiana sulle abitudini culinarie d’Oltralpe; ma anche i progressi dell’educazione di corte all’ora del banchetto.
Il rinascimento del tovagliolo, per esempio: pur già noto ai romani, aveva conosciuto lunghi periodi di oblio prima di ritrovare un ruolo e una posizione attorno al collo dei dignitari, per proteggere gli ampi e preziosi colletti cinquecenteschi.
Sono le buone (o perlomeno migliori) maniere a distinguere le tavole dei principi medioevali da quelle dei loro discendenti rinascimentali. E sono le nuove attenzioni dedicate alle stoviglie ad aprire il passo verso una forma di artigianato che ora entra nell’Olimpo dell’arte e dei musei: oreficeria, scrigni a forma di vascelli, contenenti le posate reali, sempre più raffinate ed eleganti. Sempre più abilmente maneggiate dai «maestri» di casa reale.
A differenza del cucchiaio, la forchetta ha dovuto superare però l’ostracismo ecclesiastico: uno strumento del diavolo, reo di alimentare i peccati di gola e, perciò, bandito dai refettori dei conventi fino al XVIII secolo. Quando si convenne che neppure affondare le mani nei piatti di portata preservava dall’ingordigia. Come già aveva sostenuto due secoli prima Erasmo da Rotterdam.