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 2012  agosto 11 Sabato calendario

La chiacchiera da viaggio, quell’innocuo, libero interloquire con il vicino di posto su vacanze mirabolanti, ristoranti salati, goleador in crisi e governo ladro, non esiste più: una specie di cartolina ingiallita al tempo degli smartphone

La chiacchiera da viaggio, quell’innocuo, libero interloquire con il vicino di posto su vacanze mirabolanti, ristoranti salati, goleador in crisi e governo ladro, non esiste più: una specie di cartolina ingiallita al tempo degli smartphone. In autobus, aereo e soprattutto treno, dove un tempo nello scompartimento la conversazione si poteva allargare a dibattito, oggi si punta a mettersi in trincea contro chiunque abbia intenzione di attaccare bottone. Senza eccezioni, perché anche dietro un neutrale «Scende la prossima?» o la generica lamentela per un ritardo si può nascondere un viaggiatore ciarliero e determinato. Ecco la conferma del paradosso: nell’era della comunicazione si digita e ci si connette con voluttà, ma pure in viaggio si parla il meno possibile. Anche se le moleste telefonate in treno (ormai piaga sociale) rappresentano una naturale compensazione o almeno una giustificazione allo sciopero della parola. Un fenomeno sotto gli occhi di tutti e senza confini come dimostra la curiosa indagine (dal sito The Atlantic Cities) di Esther Kim, ricercatrice americana dell’Università di Yale, che negli ultimi due anni ha studiato comportamenti e strategie dei viaggiatori sui Greyhound, catena di maxibus con il logo del levriero. Ma il discorso potrebbe essere allargato pure agli altri mezzi pubblici. Lo studio, sintetizzato dal sito con l’ironico titolo «Come non farsi amici sui bus Greyhound», mette in luce la nuova vocazione al «disimpegno sociale», seriosa definizione che in questo caso vuole semplicemente definire una spasmodica vocazione alla propria privacy: potersi insomma fare i fatti propri. Data la vasta casistica registrata, Esther Kim abbozza pure una specie d’accurato catalogo di rimedi usati dagli estimatori del viaggio in trincea per evitare d’essere importunati da qualcuno pronto a raccontare la propria vita e a raccogliere confidenze su qualsiasi tema. Il primo punto è elementare, quasi scontato: se il mezzo su cui si sale non ha posti fissati, si sceglie senz’altro una fila vuota o la si raggiunge dopo la partenza. Molti lo fanno regolarmente anche sugli aerei con pochi passeggeri: lì però bisogna chiedere il permesso all’assistente di volo perché non si squilibri la distribuzione del peso. Sempre nell’eventualità di poter scegliere il proprio posto, si opta generalmente per un vicino non molto voluminoso né sudato, non vestito in modo eccentrico e nemmeno troppo pallido o troppo rosso: Esther ha rilevato che questa è una tipologia in grado di complicare i piani di viaggio dei cultori di privacy. Un indizio che viene attentamente valutato in un potenziale vicino di posto è la messa in carica del telefono. Probabile che quello sia un bel fondista della chiacchiera: nel caso parlerà a stufo con chiunque fino a che il cellulare tornerà vivo e se sarà trattato con troppo sussiego, comincerà a chiamare parenti e amici per consolarsi e vendicarsi. Altro elemento ritenuto importante dalla ricercatrice è la valutazione dello sguardo di chi si ha vicino, nel senso che nessuno ovviamente cerca di sedersi con gente dall’espressione alterata. Potrebbe sembrare ampiamente scontato anche questo, ma dopo che 4 anni fa, proprio negli States, su un bus Greyhound uno psicopatico ha accoltellato e decapitato lo sconosciuto che gli stava accanto, val la pena senz’altro tenerne conto. Se invece stando già seduti si vuole lanciare qualche messaggio inequivocabile sulla resistenza a socializzare, la dottoressa di Yale informa che viene molto utilizzata la tecnica dello sguardo poco rassicurante: fa un bell’effetto esibire occhi vuoti e ottusi, anche se lanciare a chi si avvicina un lampo di odio e disprezzo resta il migliore dei deterrenti. In subordine molti piazzano la borsa, un libro (pratica diffusa ovunque) per simulare che il posto accanto sia già occupato, o ancora fingono di dormire in posizione scomposta, strabordante se il fisico li aiuta. Moltitudini di scorbutici dunque sui mezzi pubblici di trasporto? In realtà abbiamo tutti qualche alibi. Un viaggio è spesso occasione per leggere, aggiornare documenti, cominciare il libro su cui la sera caschiamo addormentati. Per questo quando è in treno un famoso manager lombardo divora pacchi di ritagli stampa con alle orecchie auricolari scollegati. Non trasmettono musica ma sono il miglior alibi per fingere di non sentire.