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 2012  agosto 10 Venerdì calendario

ATTACCO AL DEBITO PER UNA NUOVA POLITICA

La moneta unica in Europa è una costruzione incompleta. Lo scudo dell’euro e la credibilità della Bce nel perseguimento della stabilità monetaria sono i plus. I minus sono rappresentati dalle carenze dei meccanismi di aggiustamento delle posizioni competitive dei singoli paesi e, soprattutto, dalla perdita di sovranità monetaria senza integrazione fiscale, economica e, in ultima analisi, politica.
La fragilità dell’Eurozona e il perverso intreccio destabilizzante tra debito sovrano e rischio bancario dipendono sia da errori di costruzione, sia da errori di revisione dei meccanismi finanziari in Europa dopo la crisi del 2007-2009. L’Eurozona è una costruzione insoddisfacente, che richiede profonde modifiche motivate dal fatto che ad alcuni Paesi dell’Unione è consentita una politica monetaria e di cambio indipendente, a partire dal Regno Unito.
Contrariamente alla saggezza convenzionale, che si sofferma sui costi degli interventi per la Germania, i Paesi periferici dell’Eurozona contribuiscono significativamente al benessere della Germania stessa in base a due canali principali: impediscono all’euro di apprezzarsi troppo, assicurando la forte competitività tedesca, e sospingono i tassi di interesse tedeschi su livelli molto bassi, negativi in termini reali, con evidenti vantaggi per il finanziamento del debito pubblico e degli investimenti privati.
Il problema del debito nell’Eurozona
Da quando è stato introdotto l’euro, i governi nazionali emettono debito in una moneta di cui non hanno il controllo. Inoltre, quando non c’è una banca centrale che dichiara che intende fungere da prestatore di ultima istanza, come è sin qui accaduto nel caso dell’Eurozona, salvo in situazioni particolari, a causa dei veti dei rappresentanti tedeschi, i mercati finanziari acquisiscono un potere tale da poter spingere gli Stati al fallimento. Si intrecciano, pertanto, i problemi di illiquidità con quelli di insolvenza (self-fulfilling prophecies).
Quanto sopra concorre a spiegare, ad esempio, perché oggi il costo del debito pubblico nel Regno Unito, che non fa parte dell’unione monetaria, è su livelli vicini a quelli tedeschi, pur in condizioni di fondo di finanza pubblica - e di indebitamento privato - molto fragili. Le politiche che la Germania impone all’Europa, senza risolvere la fragilità della costruzione monetaria, sono inevitabilmente recessive e allontanano la stessa prospettiva di durevole risanamento fiscale.
La situazione italiana
In Italia le variabili fondamentali indicano una posizione di forza relativa: il saldo primario e il deficit complessivo di finanza pubblica, il risparmio e l’indebitamento privato, la bilancia dei pagamenti, il valore attuale della ricchezza del Paese sono tutti elementi che pongono l’Italia in condizioni di forza.
A tal proposito, è molto importante l’azione svolta dall’Italia per inserire prima nel Six Pack poi nel fiscal compact il riferimento al debito complessivo di ogni Paese (pubblico+privato), ai fini della sostenibilità finanziaria nel lungo periodo. Tuttavia, le incertezze, le incoerenze e gli errori del processo decisionale del Consiglio Europeo mantengono il sistema in tensione e possono contribuire a nuove manifestazioni di rischio sistemico.
In questa situazione, conviene cambiare strategia, affrontando il punto di debolezza della situazione in Italia: l’elevato e ancora crescente rapporto fra debito e Pil. E, di conseguenza, cambiare politica economica.
Essendo stato riconosciuto da più parti che la responsabilità delle attuali difficoltà sintetizzate dallo spread italiano è per quasi 3/5 da attribuire a carenze di disegno e di impianto europeo e solo per 2/5 a variabili fondamentali interne. Nel perdurare di una mancanza di scelte coerenti, determinate ed efficaci a livello europeo, l’Italia deve avviare un processo di abbattimento del debito contando sulle proprie forze.
Perché occorre ridurre il debito
Il sistema Paese Italia è assimilabile a un’azienda in crisi gravata da un debito insostenibile che per essere risanata necessita di 3 interventi urgenti:
e riposizionamento strategico per riguadagnare competitività sui mercati (riforme strutturali);
r riduzione dei costi di gestione ed efficientamento della spesa (spending review);
t 3. abbattimento del debito (cessioni e privatizzazioni).
L’agenda del governo Monti fino ad oggi si è concentrata quasi esclusivamente sui primi 2 punti, per altro con misure inadeguate, senza intervenire in modo incisivo sul fronte del debito, ciò che comporta anche consistenti liberalizzazioni e privatizzazioni. Ciò è diventata una necessità.
In sintesi, è fondamentale abbattere il debito per rimuovere il principale freno alla crescita del Paese. Parlare di crescita senza parlare di riduzione del debito è utopistico, mentre è vero esattamente il contrario: il più efficace intervento che il governo può oggi varare a favore della crescita è proprio la riduzione del debito pubblico attraverso operazioni di cessioni e privatizzazioni, avviando così un’inversione a 180 gradi della politica economica.
La politica economica del governo Monti
Gli impegni assunti dal governo Monti nel Documento di economia e finanza 2012 (Def 2012), approvato dal Consiglio dei ministri del 18 aprile 2012, e la conseguente politica economica può essere sintetizzata nei seguenti 3 punti:
e riduzione del rapporto debito/Pil da 123,4% (2012) a 114,4% (2015);
r miglioramento del rapporto debito/Pil interamente da conseguire per il tramite del presunto aumento del Pil nominale, fatto per una parte di crescita reale (-1,2% nel 2012; +0,5% nel 2013; +1,0% nel 2014; +1,2% nel 2015) e per il resto da inflazione (1,7% nel 2012; 1.9% nel 2013; 1,8% nel 2014; 2,0% nel 2015);
t il tutto a fronte di avanzi primari difficilmente raggiungibili anche per i Paesi più virtuosi nei cicli di espansione (ad esempio, 5,5% nel 2014 e 5,7% nel 2015).
È evidente come il miglioramento del rapporto debito/Pil affidato esclusivamente a un’ipotesi di crescita del Pil sia poco convincente per i mercati, oltre a rappresentare una forma di abdicazione di responsabilità che dovrebbe essere esercitata agendo principalmente sul numeratore.
Paradossalmente, la politica fiscale fortemente restrittiva attuata dal governo, attraverso l’aumento della pressione fiscale e i tagli alla spesa, contribuisce a rendere meno probabile lo scenario di crescita (almeno per quanto concerne la domanda interna) su cui la manovra di riequilibrio del debito è interamente predicata.
Una nuova politica economica
Pur proseguendo sul cammino delle riforme strutturali e degli efficientamenti attraverso l’approccio sequenziale della spending review, il superamento della crisi richiede, da parte del governo, la riscrittura del Def 2012 con un impegno preciso alla riduzione del rapporto debito/Pil che non sia affidata esclusivamente, come allo stato attuale, a ipotesi di crescita del Pil, a oggi poco credibili, ma che riguardi, contestualmente:
a) una riduzione strutturale del debito pubblico per almeno 400 miliardi di euro (circa 20-25 punti di Pil) come valore obiettivo, così da portare sotto il 100% il rapporto rispetto al Pil in 5 anni. Di questi 400 miliardi:
- 100 derivano dalla vendita di beni pubblici per 15-20 miliardi l’anno (circa 1 punto di Pil ogni anno);
- 40-50 miliardi (circa 2,5 punti di Pil) dalla costituzione e cessione di società per le concessioni demaniali;
- 25-35 miliardi (circa 1,5 punti di Pil) dalla tassazione ordinaria delle attività finanziarie detenute in Svizzera (5-7 miliardi l’anno);
- i restanti 215-235 miliardi dall’operazione descritta nel paragrafo "Riduzione strutturale del debito pubblico sotto il 100% rispetto al Pil in 5 anni" che segue.
b) il tendenziale dimezzamento del servizio del debito, nello stesso arco temporale, dai 75-82 miliardi attuali a 35-40 miliardi (circa 2 punti di Pil), che deriva dall’intervento sullo stock del debito, dalla conseguente riduzione dei tassi di interesse/rendimento e da azioni mirate di riduzione selettiva del costo del debito stesso, attraverso l’acquisto sul mercato secondario di titoli del debito pubblico italiano emessi a tassi eccessivamente elevati.
c) operazioni one-off: convenzioni fiscali con la Svizzera, sul modello di quelle già stipulate con il paese elvetico da Germania e Inghilterra, per un totale di 30-40 miliardi subito (circa 2 punti di Pil) e ulteriori 5-7 miliardi negli anni successivi (già considerati sub a).
Il tutto al fine di ridurre, nello stesso arco temporale, la pressione fiscale di un punto percentuale all’anno (dal 45% attuale al 40% in 5 anni), rilanciare gli investimenti, soprattutto facendo ricorso al project financing, alla partnership pubblico privata e al finanziamento del credito agevolato con effetti leva di 5 volte l’apporto pubblico annuo, riportando così il Paese su un sentiero strutturale di crescita. Con conseguente aumento della credibilità dell’Italia sui mercati e ritorno degli spread ai livelli fisiologici (150-200 punti base).
La destinazione delle risorse derivanti dall’operazione di abbattimento del debito saranno destinate in maniera mirata:
- per la quota one-off (30-40 miliardi dalle convenzioni fiscali con la Svizzera) allo stimolo immediato degli investimenti su due o tre anni;
- per la quota strutturale (35-40 miliardi annui dal tendenziale dimezzamento del servizio del debito) alla progressiva riduzione della pressione fiscale dal 45% attuale al 40% in 5 anni, di un punto percentuale l’anno, nonché al cofinanziamento degli investimenti.
Aumenta in tal modo il reddito disponibile delle famiglie, la domanda interna e riparte la crescita, con relativa nuova occupazione. Tutto questo consentirà all’Italia di rispettare pienamente gli impegni in tema di pareggio di bilancio (al 2013), di anticipare virtuosamente i vincoli del Fiscal Compact e di tornare, quindi, credibile da subito sui mercati internazionali.
Riduzione del rapporto debito/Pil
Fermo restando che approcci basati su imposte patrimoniali sarebbero illusori e pericolosi perché le imposte patrimoniali deprimono il valore della ricchezza, con potenziali overshoot, e perché affossare il valore della ricchezza impoverirebbe l’Italia e la farebbe preda dei fondi "avvoltoio" internazionali, per la realizzazione del punto a) si prevede, per un importo totale di 215-235 miliardi di euro, quanto nel seguito illustrato.
Individuazione di una porzione di beni patrimoniali e diritti dello Stato, a livello centrale e periferico, disponibili e non strategici.
Vendita di tali beni a una società di diritto privato di nuova costituzione partecipata principalmente da banche, assicurazioni, fondazioni bancarie ed altri soggetti finanziari ed avente un capitale sociale rilevante.
Contestualmente all’acquisto, la società individua dei "lotti" di beni e diritti, di circa 25 miliardi l’uno, composti in modo da creare un’appetibilità pressappoco eguale per tutti i lotti.
A fronte di ciascun lotto la società emette obbligazioni garantite dai beni e diritti che compongono il lotto. Essendo emesse da un soggetto privato, tali obbligazioni non entrano nel computo del debito pubblico.
Le caratteristiche delle emissioni obbligazionarie sono: durata 5/10 anni, una opzione (warrant) negoziabile sui mercati regolamentati separatamente dal titolo obbligazionario; tasso di interesse inferiore a quello dei titoli di Stato di eguale durata in ragione della garanzia che tali obbligazioni hanno sui beni e diritti del relativo lotto e del valore del warrant che può essere negoziato sul mercato.
Lo Stato incassa il corrispettivo e lo porta direttamente a riduzione del debito pubblico con l’obiettivo del 100% del Pil, con conseguente risparmio di interessi ad ulteriore beneficio per lo Stato. Negli anni di vita del prestito obbligazionario la società procede alla valorizzazione ed incremento della redditività dei beni e diritti acquistati in modo da aumentarne il valore.
Alla scadenza dei singoli lotti del prestito obbligazionario, ovvero anche prima a scadenze predeterminate, il soggetto che avrà proceduto all’acquisto di opzioni (warrant) avrà diritto all’acquisto dei beni e diritti costituenti il lotto di riferimento ed il prezzo per tale acquisto sarà utilizzato per il rimborso delle obbligazioni. L’eventuale mancato acquisto dei beni e diritti avrà come effetto la nuova emissione delle obbligazioni per un ulteriore periodo ed i portatori delle opzioni saranno privilegiati nella relativa sottoscrizione.
Inoltre è prevista la facoltà, per i detentori istituzionali e privati di titoli del debito pubblico italiano, di concambiare questi ultimi con le nuove obbligazioni con warrant, a condizioni più favorevoli rispetto al corso di mercato.
La tempistica delle emissioni segue un criterio modulare, per cui si preparano di volta in volta le varie tranche (lotti) e si lasciano in stand-by, in attesa che sul mercati si creino spazi ottimali di recettività (scadenze e rinnovi di titoli pubblici, condizioni di mercato favorevoli).
Conclusioni
La nuova strategia di politica economica non deve essere solo di ingegneria finanziaria, ma deve avere in sé tutta la forza, tutta l’etica, di un cambio di passo, di uno shock economico finanziario finalizzato alla crescita e alla credibilità della nostra finanza pubblica. Perché attraverso meno debito si realizza più mercato, minore pressione fiscale, nuovi investimenti, più capitalismo, più competitività, più occupazione, emersione del sommerso, più responsabilità, più credibilità.
Questo è l’unico scudo anti-spread in grado di funzionare da subito, su nostra decisione e responsabilità. Diventare europei nel debito significa diventare europei a 360 gradi. Nei mercati, nelle banche, nella finanza, nelle relazioni industriali, nella giustizia, nella politica. Insomma, mettere fine al non più sopportabile compromesso consociativo che dal dopoguerra ha soffocato e soffoca il nostro Paese. Compromesso diventato incompatibile tanto rispetto alla finanza globale quanto rispetto a questa Europa dell’euro che mal ci sopporta.
Renato Brunetta è coordinatore dei Dipartimenti del Pdl
L’analisi in pagina è un ampio stralcio del Rapporto
di sintesi di un lavoro dei Dipartimenti del Pdl cui hanno collaborato Paolo Romani, Luigi Casero e Guido Crosetto.
Si ringraziano i professori Francesco Forte, Rainer Masera
e Paolo Savona per i loro fondamentali contributi