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 2012  agosto 10 Venerdì calendario

DAI MUTUI SUBPRIME USA ALLA CRISI DEL DEBITO EUROPEO

Tutto iniziò a Wilmington, la città più popolosa dello Stato americano del Delaware. È qui, in una sconosciuta cittadina situata tra il fiume Christina e il torrente Brandywine Creek, che cinque anni fa germoglia il seme della grande crisi che oggi mette in ginocchio l’Europa. È il 6 agosto 2007. Quel giorno American Home Mortgage porta i libri in tribunale per chiedere l’amministrazione controllata. Il cosiddetto Chapter 11. American Home Mortgage, la decima banca attiva nell’erogazione di mutui-casa negli Usa, è quindi la prima istituzione a fallire per la bolla dei mutui americani. Dieci giorni dopo sarà un altro colosso del settore, Countrywide, a portare allo scoperto la crisi di liquidità e a chiedere aiuti.
Inizia così, dai mutui americani concessi a manica larga, la crisi che in cinque anni ha cambiato il mondo. In quei giorni la maggior parte degli economisti credeva che il problema fosse limitato ad alcune banche Usa di contea. Ma non era così. Perché quei mutui chiamati subprime (quelli scadenti) erano stati negli anni impacchettati dalle stesse banche che li avevano concessi, ed erano stati venduti ad altre banche sotto forma di obbligazioni. Queste avevano re-impacchettato le obbligazioni legate ai mutui, le avevano messe insieme ad altri bond e a contratti derivati, creando obbligazioni salsiccia: titoli, chiamati Cdo, che nel loro interno mescolavano di tutto un po’. Mutui Usa, bond aziendali, derivati e quant’altro la finanza fosse in grado di partorire: si usava di tutto per imbottire queste obbligazioni. Ebbene: questi Cdo, salsicce avvelenate, negli anni erano state vendute dalle grandi banche Usa in tutto il mondo. A banche europee, a enti locali, a enti previdenziali. Aveva investito in Cdo tossici perfino un convento di frati in Italia.
È così che il virus dal Delaware arriva in tutto il mondo. Ci vogliono poche settimane per capire che il problema è immenso: quello delle cartolarizzazioni è un mercato da migliaia di miliardi di dollari, e improvvisamente nessuno vuole più avere quei titoli in portafoglio. Tutti li vendono, nessuno li compra: spariscono i prezzi. E con essi cadono in disgrazia tutti i veicoli fuori-bilancio (Siv e Conduit) che le banche di mezzo mondo avevano costruito per comprare proprio quei bond. Per salvare quei veicoli, nei guai finiscono dunque le banche. Una delle prime è la tedesca – ironia della sorte – Ikb, che deve essere subito salvata.
Ma questo è solo l’inizio. In pochi mesi cresce la cultura del sospetto: le banche iniziano a non fidarsi più l’una dell’altra, perché ogni istituto teme che le concorrenti siano piene di titoli "tossici" nascosti tra le pieghe dei bilanci. Sparisce così il mercato interbancario: le banche non si finanziano più le une con le altre. Questo miete, nel settembre del 2008, la prima vittima eccellente: Lehman Brothers. Che fallisce per mancanza di liquidità. E con essa, in pochi mesi, rischiano di fallire più o meno tutte le principali banche del mondo: perché i soldi non circolano più. È per questo che gli Stati devono intervenire e salvare le banche: in Usa ed Europa vengono impiegati per aiutare gli istituti di credito dal collasso l’equivalente di 4.700 miliardi di euro (secondo R&S Mediobanca). Uno sforzo troppo grosso.
Morale: la crisi, partita dal Delaware, contagia anche gli Stati. I debiti pubblici iniziano a lievitare, i deficit ad esplodere. Soprattutto negli Usa. Ma il baco colpisce solo l’Europa. Per un semplice motivo: l’area euro, con una valuta unica ma mille contraddizioni, è troppo vulnerabile. L’impalcatura dell’euro, così com’è costruita, non regge. Così quando la Grecia nel 2010 annuncia candidamente di avere truccato i conti pubblici, e inizia un balletto lungo due anni di mezzi salvataggi, gli investitori capiscono cosa sia veramente l’Europa: un miscuglio di Stati in contrasto l’uno con l’altro, ma uniti da una moneta che ormai diventa sempre più difficile da gestire. Gli investitori fuggono, la speculazione (fatta dalle stesse banche da cui partì il virus) ci gioca sopra: l’Europa collassa.
Sono passati cinque anni da quel fallimento nel Delaware. Nel frattempo Piazza Affari ha perso il 64%. Le Borse di tutto il mondo hanno bruciato oltre 13mila miliardi di dollari: cifra quasi pari al Pil statunitense. Gli Stati di tutto il mondo hanno aumentato il debito pubblico del 50%, superando i 52mila miliardi di dollari. L’84% di questa montagna si trova nei soli Paesi che ancora chiamiamo avanzati. Ora l’economia cade in recessione, la disoccupazione aumenta, le tensioni sociali salgono. E la finanza? Dopo tanto parlare di regole, ben poco è cambiato. Così, dopo cinque anni di crisi, siamo ancora qui a sperare che le banche centrali facciano nuove politiche monetarie iper-espansive per toglierci dai pasticci. Eppure, a pensarci bene, la bolla dei mutui e del credito proprio così iniziò: con politiche monetarie, negli Usa, iper-espansive.