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 2012  agosto 10 Venerdì calendario

«DOPO IL BOSONE CERCO IL NEUTRALINO»


«Il futuro della mia ricerca? Potrebbe chiamarsi supersimmetrie, altre dimensioni e tutto ciò che ci nasconde la particella appena scoperta, il bosone di Higgs. Adesso esiste» dice Fabiola Gianotti «lo abbiamo misurato e coincide con il soggetto cercato da quasi mezzo secolo e previsto dalle teorie. Ma forse è solo uno dei componenti di una famiglia numerosa ancora tutta da conoscere. Quello che abbiamo smascherato con il grande acceleratore Lhc è magari il fratello gemello o un parente lontano, non lo sappiamo. Ecco perché il mio compito sarà la costruzione di un identikit preciso della particella catturata. È l’inizio di una storia tutta da scrivere».
Fabiola alla guida dei 1.500 fisici dell’esperimento Atlas al Cern di Ginevra è indaffarata. Con i suoi colleghi sta preparando l’articolo che metterà nero su bianco il risultato annunciato il 4 luglio nei laboratori svizzeri e su tutte le prime pagine dei giornali. Altrettanto è stato raggiunto nell’esperimento Cms (acronimo di Compact Muon Solenoid) guidato dall’americano Joe Incandela e fino a pochi mesi fa da Guido Tonelli.
Usando tecniche diverse, sono giunti alla stessa conclusione: era la conferma indispensabile. La “particella di Dio”, come ormai è diventato famoso il bosone immaginato dallo scozzese Peter Higgs, spiega perché tutte le altre particelle hanno una massa. In altre parole, se non esistesse questo bosone non potrebbero esserci le stelle, i pianeti e neanche noi stessi.

Le particelle “ombra”. Adesso che cosa succederà? «Credo che raggiungeremo la sua identità precisa l’anno prossimo; intanto, cerchiamo dovunque perché potremmo scovare altro. Per esempio, una particella che abbiamo battezzato neutralino la quale confermerebbe l’idea della supersimmetria della natura». Sarebbe un volto sconosciuto della realtà che finora noi descriviamo solo con le normali particelle, come i fotoni della luce. Invece esisterebbero delle “particelle ombra” simili ma con alcune caratteristiche diverse e a ogni fotone corrisponderebbe, per esempio, un fotino. «Per la verità» dice Fabiola «è quello che pensiamo e cerchiamo, tuttavia non sappiamo ciò che la natura abbia scelto per manifestarsi. Forse potremmo dire qualcosa in merito nel 2014 quando il nostro acceleratore Lhc sarà spinto alla sua massima energia di 14 Tev. Sarebbe una grande scoperta, un passo avanti straordinario per spiegare quel 25 per cento dell’Universo che diciamo sia formato da materia oscura perché non ne conosciamo le caratteristiche. Forse la risposta sta proprio nelle particelle supersimmetriche».
Ma gli scontri fra miliardi e miliardi di protoni nel tunnel sotterraneo del Cern nascondono qualcosa di ancora più fantascientifico, altri mondi con numerose dimensioni nelle quali finora potevamo viaggiare solo grazie alle parole degli scrittori più visionari del futuro. Da decenni schiere di scienziati hanno tracciato i mille complicatissimi rivoli di una teoria nota con il nome di “stringhe” perché l’immagine ipotetica che se ne trae evoca i lacci delle scarpe. Però finora è mancata la prova di questo fantastico teorizzare con numeri e formule. «Cercheremo di scoprirle e, se esistono, le troveremo a livello microscopico» prosegue la ricercatrice. «Contemporaneamente un altro esperimento è proiettato verso lo scioglimento di uno dei grandi misteri dell’Universo: perché alle origini, dopo il Big Bang, è prevalsa la materia di cui siamo costituiti e non l’antimateria?».
Si cercano tracce della sua esistenza nello spazio e sappiamo che se materia e antimateria si incontrano si distruggono a vicenda, si annichiliscono. Forse il gigantesco anello sotterraneo del Cern ci racconterà che cosa è accaduto 13,7 miliardi di anni fa e perché.
Quando nel 1955 Albert Einstein morì all’ospedale di Princeton (Usa), sul comodino lasciò gli appunti di un sogno che inseguiva da decenni; una teoria unica capace di riunire in un solo principio la spiegazione del creato. Da allora il sogno non è mai tramontato. Dice Fabiola: «Inseguiamo degli indizi e potremmo compiere dei passi avanti. La prospettiva di unificare le forze fondamentali con la gravità costituirebbe un passo rivoluzionario. Ma per conquistare qualcosa di risolutivo avremmo bisogno di macchine ancora più potenti, ardue tecnologicamente oltre che economicamente, quindi non fattibili. Però, potremo cogliere indirettamente dei segnali e già questo sarebbe una scoperta». Il fervore con cui Fabiola Gianotti racconta la nuova fisica dove è protagonista a Ginevra è accompagnato da un lieve rammarico. La sera quando tornava a casa amava suonare il suo pianoforte. «Le note di Schubert, il mio autore preferito» dice «mi riempivano l’animo. Ora il mio tempo è tutto nella musica della nuova fisica». Le ore sono assorbite dal documento da scrivere che segnerà la storia della scienza. «Che emozione quel 4 luglio, l’annuncio della scoperta. Ho difficoltà a rendermene conto. Dobbiamo pensare al futuro», conclude.