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 2012  agosto 10 Venerdì calendario

DAL CIBO AI GIOCATTOLI I NUOVI CREDENTI IN BIO

In crescita. E non solo cibo: vestiti, giocattoli, mobi-li, scarpe, pannolini, detersivi, quaderni di scuola, penne e matite. Si chiama “vitaBio” ed è un modo di essere e di pensare. Pochi imballaggi, chilometri zero, niente pesticidi, allevamento a terra, polli senza mangimi chimici e detersivi che non siano killer di alghe e pesci.
Eche vivere Bio, mangiare Bio, vestirsi Bio, “credere in Bio” non è più soltanto un fenomeno di nicchia, d’élite, per piccole e agguerrite confraternite “verdi”, ma un sentimento allargato e sempre più forte. Si inizia, spesso, per i figli, e poi ci si converte. Green life. Complice, prima di tutto, lo sbarco dei prodotti biologici nella grande distribuzione, che ha portato ad un drastico abbassamento dei prezzi.
«Nel 2011 — conferma Paolo Carnemolla, presidente di Federbio — le vendite Bio sono cresciute dell’8,9% mentre tutto il settore alimentare era sceso del
6%. Anche in questi primi mesi del 2012 sono rimaste stabili, un dato incoraggiante, vista la crisi. Il costo del Bio, nei supermercati, è oggi soltanto di poco superiore al cibo tradizionale, e questo spinge chi può permettersi di spendere qualche euro in più, a comprare una confezione di carote o un litro di latte leggermente più cari ma di certo più sani... ». E Dai numeri del censimento Istat emerge quanto siano diffuse in Italia, e soprattutto al Sud, le coltivazioni biologiche (al secondo posto in Europa dopo la Spagna), mentre l’Italia resta tra i paesi leader sia come fatturato che come numero di produttori. Ma che cosa è una “vita Bio”, e quanto è compatibile con una vita normale, magari in una famiglia “media” che oggi spesso si ritrova in affanno? Barbara
Damiani, bolognese, ha creato un famoso e seguitissimo blog, “Mammafelice”, in cui ha spiegato la sua “rivoluzione verde” in 10 punti, diventati una sorta di breviario per centinaia di coppie, soprattutto giovani. Non utilizzare piatti e bicchieri di plastica ad esempio, ma tovaglie di cotone e stoviglie tradizionali. Risparmiare l’acqua con i rompigetto e limitare i detersivi usando, ogni tanto, bicarbonato e aceto, eliminare le pellicole per conservare i cibi a favore di contenitori di vetro...
«Faccio la spesa al supermercato come milioni di italiani, e non sono abbastanza ricca per poter frequentare i negozi esclusivamente
Bio. Ma oggi nella grande distribuzione si possono trovare cibi sani e sicuri, e francamente di quelle etichette Bio mi fido, perché immagino che queste catene di vendita così grandi siano controllate. Ho iniziato a cercare cibi diversi quando è nato mio figlio, provando ad interrogarmi su come difenderlo, così piccolo, dall’aggressione di pesticidi e conservanti».
Ma c’è qualcosa di più. Per Barbara Damiani che abbandonato il suo lavoro all’università oggi fa la blogger di professione, è un fenomeno legato alla sua generazione, quella dei trentaquarantenni. «Siamo precari in tutto, senza certezze, impauriti e assediati dalla crisi. Cercare di riscoprire una vita più semplice, naturale, sana per quanto possibile, è una risposta, un modo per
salvaguardarsi».
Vivere Bio è fare un piccolo sforzo. Gruppi di acquisto di solidale, mangiare ciò che la stagione propone. O rinunciare al packaging, una delle voci più inquinanti del nostro tempo, nonostante gli sforzi per creare confezioni ecologiche e shopper biodegradabili. E basta entrare nel nuovo “Negozio Leggero” a Roma, ultimo nato della catena nata in Piemonte dei “negozi alla spina”, un pomeriggio d’agosto, per rendersi conto che le abitudini si cambiano con poco. Via vai intenso, la porta si apre e si chiude, c’è profumo di spezie e di cose buone. Qui non esistono contenitori se non quelli riciclabili o di carta. I cibi, pasta, legumi, farine, dolci, uova, erbe, detersivi, saponi, non sono confezionati ma venduti
sfusi e custoditi in grandi barattoli trasparenti, che hanno il pregio di mettere in evidenza colore e forme dei prodotti.
«L’interesse è alto — conferma Giorgina Levi, che gestisce in franchising “Negozio Leggero” — la gente è contenta di fare a meno degli imballaggi, sa di evitare un danno all’ambiente, e i cibi si conservano benissimo anche così. Cerchiamo di avere prezzi ragionevoli, proprio per evitare che si accomuni il concetto di Bio, o di ecologico, ad un’idea di costoso e dunque per pochi. A settembre avremo anche frutta e verdura, e per adesso le premesse sono buone».
Credo in Bio. Non è soltanto un gioco di parole, ma un sentimento profondo che ha cambiato la vita a Elena e Marco Mosca,
che da lavoratori agricoli si sono trasformati in imprenditori di abbigliamento biologico, con il marchio “Altramoda”. «Abbiamo iniziato nel 2009, con un piccolo negozio a Fossombrone, nelle Marche, in cui vendevamo principalmente pannolini lavabili. Abbiamo sempre creduto in una scelta di vita ecologica — racconta Marco Mosca — anche quando guadagnavamo pochissimo, e avevamo un bambino piccolo. L’attenzione è stata subito alta e il nostro fatturato è in costante crescita, soprattutto da quando la nostra linea “Altramoda” è in vendita anche on line. Ma i nostri capi non sono soltanto naturali: seguono una filiera
che deve garantire e certificare che chi li produce non viene sfruttato, ma trattato in modo etico e giusto».
I vestiti Bio sono fatti di cotone, canapa, fibra di bambù, la lana proviene da pecore di allevamenti “eco”, i colori sono terre naturali, la zip della felpa è Nichel- free, e accanto a molti capi, in vendita on line si legge, «prodotto in India, con amore». «Vuol dire che quella maglietta o quella felpa — aggiunge Marco Mosca — è stata cucita secondo un’etica del lavoro giusta e garantita ». E il business cresce perché, raccontano ancora i creatori di “Altramoda”, «una volta indossati quei tipi di fibre, quei cotoni purissimi non si riesce più a tornare indietro».
Ma il Bio è interessante perché è forse il settore che maggiormente sperimenta forme di commercio tra le più diverse, dalle aziende con vendita diretta ai mercatini, dai Gas, i gruppi di acquisto solidale, ai siti dell’e. commerce Bio. Ma tutto questo quanto è sicuro? Quanto sono attendibili le certificazioni di uova, latte, frutta, marmellate, tanto per citare alcuni tra i prodotti più venduti del Bio? «Le filiere della grande distribuzione hanno controlli rigorosi — conferma Paolo Carnemolla di “Federbio” — e non possono permettersi di fare errori. A volte però il termine Bio viene utilizzato impropriamente per indicare prodotti con residuo zero di pesticidi, confondendo così il consumatore. Quei cibi non sono frutto di agricoltura biologica, sono soltanto prodotti trattati con pesticidi non più rilevabili alle analisi. Il vero rischio di frodi è invece seriamente presente nei mangimi animali. E qui ci vorrebbero controlli più seri».