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 2012  agosto 10 Venerdì calendario

UN TUFFO NELLA CRISI

Sarà un caso, ma in giro fra i turisti non senti pronunciare una parola in tedesco: non nella rocca di Rodi o sul vulcano di Santorini, non sulle spiagge di Naxos o le scogliere di Sifnos, neppure ad Atene in faccia al Partenone e nello strepitoso nuovo museo dell’Acropoli. Persino i banchi check-in Lufthansa sono semideserti, in aeroporto. Hanno paura, i tedeschi. Ingiustificata. Ma non vai in vacanza in un Paese dove pensi ti odino perché la tua cancelliera sta strozzando la loro economia, devastando le loro vite, annichilendo il loro futuro. Tre secoli di fascinazione morbosa, gli inni di Hölderlin, gli scavi di Schliemann, il dionisiaco di Nietzsche e quell’Heidegger che turista in Micene snobbava i ruderi perché aveva in testa la sua Grecia immaginaria patria dell’Essere: tutto spazzato via, come neanche dopo la guerra mondiale, dall’impietosa politica della signora Merkel. Un disastro nel disastro, considerato che appena l’altr’anno i tedeschi erano il 13,6 per cento dei 16 milioni e mezzo di turisti stranieri.
Questione d’immagine, per Olga Kefaloyannis, 36enne neoministra del Turismo nell’esecutivo Samaras: «Persino nei giorni delle proteste di piazza e degli scontri, le isole e l’intera area turistica di Atene erano assolutamente tranquille. Ma la percezione di instabilità ha fatto sì che tra le due votazioni (il 6 maggio, da cui non uscì alcuna maggioranza, e il 17 giugno, ndr) le prenotazioni si siano fermate, e molte siano state le disdette di viaggi e hotel. Poi ci siamo ripresi, ma il danno resta». Bella, poliglotta, un paio di lauree in Legge e Business, militante del centrodestra di Nea Democratia come il padre più volte ministro, di lei dicono diventerà la prima donna premier di Grecia. Fa due conti. Il turismo vale il 17 per cento del Pil e un quinto di tutta l’occupazione: con la crisi resta il primo e più dinamico settore economico, ma cala come il Pil, 7 per cento previsto quest’anno. Un taglio assai più drastico è toccato ai salari di chi ci lavora. Nel 2011 c’era stata la botta di fortuna della primavera araba che aveva svuotato le spiagge di Tunisia e Egitto, ma quest’anno vince la concorrenza della Spagna, grandi alberghi a prezzi stracciati dove s’affollano gli inglesi, anche loro in diserzione dalla Grecia. Fortuna che restano gli italiani: i nostri connazionali non c’è crisi che li schiodi, famiglie nelle isole quiete, giovani sovreccitati nel carnaio di Mikonos. E gli scandinavi, fedeli viaggiatori fin dal dopoguerra. E fortuna che è arrivata l’ondata dai nuovi Paesi emergenti, primi i russi, più 20 per cento, sì che i ristoranti hanno approntato in tutta fretta menu in cirillico. E i cinesi in viaggi organizzati. Crollato di oltre un terzo, com’era immaginabile, il turismo interno: tra le mete tradizionali dei greci, Monemvasia su una penisola 300 chilometri da Atene è mezza vuota, Costa Navarino nel Peloponneso si salva solo grazie agli stranieri ricchi.
Insomma, c’è appena di che tirare il fiato, e di che sedare per amor di patria, almeno finché ci sono i turisti, l’ira e la ribellione dilagate nei mesi scorsi. Una boccata d’ossigeno, con una disoccupazione giovanile al 52 per cento e 23 la media complessiva, lavorare tre o quattro mesi d’estate in un’isola come guida o commessa o cameriere: ma a settembre, al più tardi a ottobre, se il governo Samaras e la Troika Fmi-Ue-Bce non avranno trovato la quadra di un’intesa meno devastante, l’ira e la rivolta scoppieranno di nuovo, e la Grecia verrà forse buttata fuori dall’euro come esplicitamente auspica l’ala dura dei conservatori tedeschi: quando un alpinista mette a rischio la vita di un altro, taglia la fune e abbandonalo al suo destino.
Alla fine il turismo - settore trainante ma in affanno, tampone provvisorio ma non risolutivo, con ampia evasione fiscale ma ora sotto il tiro dei controlli, con prospettive di sviluppo ma senza i soldi per investire, e a rischio di essere acquistato in saldo da capitali stranieri come già avviene – si rivela essere lo specchio convesso della crisi, anche d’identità, di una nazione e di un popolo. Come un giro tra le destinazioni topiche della Grecia da cartolina racconta.
RODI L’ITALIANA. «Sì, abbiamo scioperato. Tre volte. A gennaio, quando col taglio degli straordinari il nostro stipendio è passato da 1.500 a 1.000 euro: parlo dello staff che lavora tutto l’anno, chi viene assunto per i mesi estivi prende meno. I sindacati hanno cercato invano una soluzione: ce lo impone la Troika, ci hanno detto dal ministero della Cultura, dovete tenere aperto il museo, non potete distruggere il nostro Paese, in futuro vedremo». Hanno accettato, i guardiani del museo archeologico nel quattrocentesco Ospedale dei Cavalieri di Rodi nel cuore della città vecchia cintata da mura: che altro potevano fare? Dalle 8 di mattina alle 8 di sera puoi così girare tra Hermes che trascina le Ninfe alla danza e la morbida Afrodite al bagno del terzo secolo a.C., uno smilzo Zeus d’epoca ellenistica, vasi e monili e leoni dalla testa di toro. Il lunedì, che era giorno di chiusura, ora aprono dalle 9 alle 16, i crocieristi one-day che sbarcano dalle grandi navi non stanno ad aspettare: i 125 mila abitanti dell’isola vivono sul turismo, non puoi perdere un giorno a settimana. Lo stesso vale per il Palazzo dei Gran Maestri, le sue statue e i suoi mosaici, restauro mussoliniano quando questo arcipelago era il Dodecanneso dell’Impero.
Con una crisi del genere non hai armi: «Noi albergatori di Rodi abbiamo ridotto i salari ai dipendenti del 13 per cento», dice chiaro George Georgas, 80 anni, veterano dell’hotellerie isolana, tre alberghi a 4 stelle (105 euro a notte): «Con l’accordo dei sindacati, nel resto della Grecia il taglio è stato del 17 per cento. Ci sono alberghi che non pagano i dipendenti da mesi, io ogni inverno perdo 300 mila euro nonostante qua si faccia il bagno anche a gennaio e per due coppie mezza pensione auto compresa chieda, fuori stagione, 30 euro a persona al giorno. Se non guadagnassi d’estate dovrei chiudere».
Passava per un’isola cara, Rodi. Ora Simona Villa e Ignazio Montalto di Massa Lombarda sventolano come un trofeo il "margot" da ricamare a mezzopunto pagato in un negozietto 28 euro quando il miglior prezzo su Internet era 189. Dimitra Kiousì che a Rodi vive e insegna dice di non farsi ingannare dagli sconti, i ricchi di qua vanno a comprare abiti e borse in Italia dove costano meno, ma a dare un’occhiata alle vetrine i prezzi sembrano più che buoni. La bottiglietta d’acqua la vendono a 50 centesimi, fuori le mura ti tallonano perché acquisti spugne di mare a un euro, nelle piazzette e nei vicoli dentro le mura costa un euro un chupito alcolico al Tonto o in uno dei pub all’inglese dove s’affollano i ventenni con la musica a palla. Ma se da qui infili una stradina giri per mezz’ora in un silenzio irreale tra antiche case, molte abitate e curate, altre semidiroccate: e ti illudi che la Grecia d’antan esista ancora, almeno qualche suo reperto dimenticato.
Il check delle spiagge, rapporto costi-benefici compreso, te lo fanno Marco, Nicola, Gianluca e Riccardo, 22enni universitari di Economia e Ingegneria, da San Donà di Piave: «La Anthony Quinn è una baietta da film, molto bella, 4 euro la sdraio, arrivano con la macchinetta portatile per lo scontrino, ma senza tratti a 3. Lindos è fantastica, ci puoi anche giocare a racchettoni, niente scontrini. Come a Tsambica, strafamosa ma deludente. Auto a 220 euro per 6 giorni, ma in nero: "Perché siete italiani, nella stessa situazione di noi greci", ci ha detto il ragazzo, "ai tedeschi faccio pagare di più"». Bollino blu per le ragazze greche, anche se non è Mikonos, qua un po’ devi faticare.
Suona invece un po’ stonata e strafottente, sul traghetto che da Rodi ti porta a Mikonos, la battuta del nostromo: «Noi greci, anche con le tasche vuote, stiamo meglio dei tedeschi. Loro vivono per lavorare, noi siamo ancora capaci di vivere». Sarà, ma di greci spensierati in giro non ne vedi tanti, né qui né altrove. Con qualche eccezione, s’intende.
CARTOLINA DA SANTORINI. «Le due sedie? 7 mila euro. Pezzi unici. La crisi? Non per me, vendo come prima». Così il padrone dell’Oia Art Center, nella stradina più affollata di Santorini. Lo stesso la boutique accanto, 100 euro un vestitino che ad Atene compri a 20. La crisi non ha fatto sparire i ricchi, che dopo il voto senza esito del 6 maggio hanno portato all’estero i loro capitali rientrati solo in parte (10 miliardi, si calcola) dopo il voto bis del 17 giugno: ha però paurosamente allargato la forbice tra ricchi e poveri, categoria quest’ultima che come un blob si sta ingoiando il ceto medio. Oia nel nord dell’isola è, con le sue casette e chiesette bianche dal tetto azzurro, l’immagine standard di ogni réclame e quadretto. È la Grecia da cartolina, su misura per cinesi, giapponesi e coreani della Costa Fascinosa ancorata in baia a distanza Schettino. È suggestiva come ragione sociale, Oia, e cara come il fuoco: piccoli alberghi in case secolari dai 300 euro a notte in su quando nelle centinaia di bed & breakfast a gestione familiare sparsi nel resto dell’isola affitti una bella stanza vista mare e olivi a 60-70 euro, meno dell’altr’anno. «Semidistrutta dal terremoto del 1956, Santorini (o Thira) è tornata a vivere col turismo dal ’70 in poi, è stata molto edificata negli ultimi venti anni ma senza grandi hotel, e ora ci sono vincoli più stretti», racconta Manolis Lignos, collezionista di libri su Atlantide (quest’isola, secondo una delle leggende), proprietario dell’unico quotidiano locale e del Museo etnico dove per 3 euro vedi come vivevano i greci della preistoria, cioè case, arredi e attrezzi normali ancora negli anni Settanta del XX secolo; per quelli dell’età del bronzo ci sono gli scavi di Akrotiri nel sud dell’isola. «Ci servirebbe una seconda teleferica», dice il sindaco Anastasios Zorzos, la prima è stata donata da un filantropo, «ma il taglio dei fondi statali è del 55 per cento, e gli incentivi agli investitori privati sono stati quasi cancellati. Comunque stiamo meglio di altri: siamo l’isola degli innamorati, sa che ogni anno celebro ottocento matrimoni di coppie da tutto il mondo?» Turismo nuziale, si chiama, dove ti giri c’è una sposa col codazzo degli invitati.
Comunque è vero lo slogan della ministra Kefaloyannis, «la Grecia è per tutti i gusti e tutte le tasche». Con 15 euro crociera di tre ore al cratere nell’isoletta centrale, bagno nelle calde rossastre acque vulcaniche, risalita in asino dal porto di Fira al capoluogo, con 25 euro ti lasciano anche godere il tramonto a Oia. E scopri chi sono i nuovi turisti che hanno sostituito tedeschi e inglesi: il docente serbo di Medicina, la anchorwoman della tv romena, le tre giovani infermiere australiane Katie, Lisa, Lulu in cerca di avventure romantiche. E poi bulgari, israeliani e persino turchi in crescita vertiginosa a dispetto di secoli di odio e guerre e del latente conflitto a Cipro. Se parli con Karolina, 28 anni, guida sul battello della crocerina, scopri però anche l’altra faccia dell’estate greca: «Vivo ad Atene, ho un diploma di make-up artist, sono disoccupata. Il sussidio era di 460 euro al mese, ora è di 360, parlano di ridurlo a 200. Per sei mesi l’anno lavoro qui a Santorini: il salario, 7 giorni su 7, era di 1.200 euro al mese, ora è di 850, e 280 li pago di affitto. Sto studiando il tedesco: se in autunno la situazione non migliora me ne andrò in Germania. Magari farò la cameriera, ma almeno avrò una chance. La mia generazione vuole disperatamente lavorare, ma è impossibile. Non c’è futuro in Grecia».
ATENE DELLA TROIKA. Ha ragione Karolina? Rientri ad Atene, fai un giro al Parlamento. Epaminondas Marias, deputato della nuova formazione di centro Greci Indipendenti contrari all’euro, ti spiega che «rispettando le regole del gioco, dobbiamo fare catenaccio, non riconoscere e non pagare il debito estero perché è illegittimo, ci è stato imposto»: ma non sembra una prospettiva così rosea. In un corridoio incroci John Sakellaropoulos: sta trattando con due gruppi italiani per vendere a prezzo stracciato un paio di alberghi, se sta qui gli serve una sponda politica, evidentemente. Avevamo chiesto alla ministra Kefaloyannis se non c’era il rischio che i capitali stranieri si comprassero la Grecia per due soldi, isole comprese. «Ci sono proprietà statali», ci aveva risposto, «disponibili per investimenti, il ministero delle Finanze dispone di un fondo apposito per l’operazione. Per noi significa incassi e creazione di lavoro. Che a investire siano greci o stranieri non fa differenza». Stiamo ragionando su questo quando d’improvviso il palazzo si anima, i commessi corrono, scattano i flash dei fotografi: entrano a passo spedito Thomsen, Mors e Masuch, la Troika Fmi-Ue-Bce venuta a trattare un ulteriore taglio di 11,5 miliardi di euro di spesa se la Grecia vuole il rinnovo dei 3,2 miliardi di prestito Bce in scadenza il 20 agosto. Lo dissimulano con parole gentili, questi tre turisti d’affari d’altissimo grado, ma ormai i padroni dei destini della Grecia sono loro. Quasi una ritorsione della Storia: ma non scriveva già Heidegger nel suo soggiorno ellenico che questa è un’Europa «i cui rovinosi rivolgimenti affondano le radici nella terra degli dei della Grecia»?