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 2012  maggio 12 Sabato calendario

La mostra a Trieste – El triangolo de le Bevude è compreso tra via Sorgenti, via Tarabocchia e piazza Ospedale

La mostra a Trieste – El triangolo de le Bevude è compreso tra via Sorgenti, via Tarabocchia e piazza Ospedale. Ci si va in lieto pellegrinaggio, i rocchiani sono ancora molti anche se qualcuno è stato falciato. Cent´anni dalla nascita del Paròn e una mostra per ricordarlo. Celebrarlo no, è termine troppo aulico, anche se umanamente e calcisticamente Nereo Rocco lo meriterebbe. Dal 15 maggio al 31 luglio, Magazzino 26, Porto Vecchio. Non lontano dal Molo Audace, dove nel ´74 si concludeva un lungo filmato Rai, che i nostalgici ogni tanto vanno a rivedersi anche se lo sanno a memoria, ma fa bene, nel senso che si può dire che sì, insomma, quegli anni li abbiamo attraversati. Può anche far male se poi si fa un paragone con questi anni più spinosi, più ad alto volume, più sfacciati. Nel filmato c´è un Minà capellone, un Brera senza barba e un Rocco che, stimolato da Brera, racconta le sue idee sul calcio in quello slang triestinitaliano che non abbandonò mai. Mangiano e bevono sotto il pergolato, nel giardino di casa Rocco, tra un viavai di bottiglie. E il filmato prosegue: la sera nella trattoria di Suban, la mattina dopo sul molo. Poche città al mondo hanno, per me, il fascino di Trieste. L´hanno avuto anche per altri, ben più importanti. Sarà la luce tagliente, la presenza forte del mare e del vento, la cadenza del dialetto, sarà la storia, o l´allure delle donne, o il fatto di poter mangiare alle 8 di mattina delizie suine calde (col cren, grazie), o quella scia di pagine scritte per durare, o le stecche di quotidiani nei bar, o la vegetazione del Carso, non lo so. So che a metà aprile ero a Trieste per parlare dei valori dello sport nell´aula magna di un liceo e un minuto prima dell´inizio ho visto arrivare Bruno e Tito, i figli del paròn, e sedersi nell´ultima fila, come due ripetenti. Non li avevo avvisati, come faccio sempre quando ho in programma un´andata a Trieste, perché si trattava di un mordi e fuggi. Ma erano lì lo stesso e mi è venuto il magone. Così come esistono i termoconduttori, penso che Nereo Rocco sia stato un conduttore di umanità. Fatto a modo suo, a volte burbero, a volte ironico, ma sempre a carte scoperte. Credo, ancora, che questa mostra segni una sorta di riconciliazione tra Rocco e la sua città. Vero, lo stadio è dedicato a lui, si riempie quando ci gioca il Cagliari (chissà che ne avrebbe detto, il Paròn) mentre la Triestina è messa male da un bel po´. Ma questa sottile diffidenza, da vivo, Rocco la avvertiva. «A Milano son el comendatòr Rocco, a Trieste quel mona de un bechèr» (quel fesso di macellaio). Mai fatto il macellaio, Rocco, o forse solo sotto le feste, per dare una mano in casa. La madre lo vedeva ufficiale di Marina, il padre si accontentava di uno studente di ragioneria che calciava decentemente il pallone e sarebbe stato il primo triestino a indossare la maglia azzurra. Nel 1934 a San Siro, il primo tempo di un´amichevole con la Grecia. La macelleria, al numero 1 di via Slataper, Bruno l´ha chiusa nel ‘96. E´ in pensione e fa il nonno, fino a due anni era osservatore per conto del Milan, poi stop. E anche Tito è in pensione. A una delle tante riunioni di rocchiani (Capello, Bianchi, Galeone, Giacomini, Enzo Ferrari, Bigon, Rivera, Cesare Maldini, Trapattoni, i pochi superstiti «manzi» del Padova) qualcuno disse che sembrava una riunione di alpini. In effetti, la colonna sonora andava da «El tram de Opcina» a «La mula de Parenzo». Non ricordo chi sia stato, era tardi anche per le abitudini di Suban (la fedeltà ai luoghi, innanzitutto). Né si ricorda chi disse, ancora più tardi: «Ma invece di trovarci così, non sarebbe bello organizzare qualcosa per il Paròn», Secondo me era il 2009, ma non ci giurerei. Un altro ancora disse: «Nel 2012 sono cent´anni tondi dalla nascita del Paròn, si può provare». Forse era Gigi Garanzini, ma anche qui non ci giurerei. Però è cosa bella e giusta che il curatore della mostra sia lui, biografo, autista e a volte complice (negli scherzi) del Paròn. Il suo libro, ristampato per la circostanza da Mondadori, è nelle classifiche, e forse non basta il passaggio televisivo da Fazio a spiegarlo, e certamente non ci fu passaggio da Fazio per un referendum del Milan tra i suoi tifosi, qualche anno fa: giocatore del secolo fu eletto Baresi davanti a Rivera e Schiaffino, allenatore del secolo Rocco davanti a Sacchi e Capello. Al Magazzino 26 si comincia da un sottopassaggio e dalla voce del Paròn: «Ndemo, ragazzi, dai». E da quella di Umberto Saba, che recita le sue poesie sul calcio, nate allo stadio di Valmaura per i rossoalabardati («la vostra gloria, undici ragazzi/ come un fiume d´amore orna Trieste»). Si ricorda la Triestina allenata da Rocco, seconda nel ‘48 dietro al Grande Torino, 15 giocatori impiegati in tutto il campionato. Al suo ritorno sulla panchina, Rocco fu molto osteggiato e poi esonerato e tra i principali oppositori c´era il padre di Cudicini, poi arrivato al Milan e cresciuto nella Ponziana, la squadra operaia di Trieste, che nel dopoguerra partecipò al campionato jugoslavo. Da lì partirono Memo Trevisan, Ferrini, Galeone, Eliani, Mujesan. Rocco rivitalizzò Cudicini, che al Milan diventò il Ragno nero, ma il Paròn lo chiamava Stralongo (per la statura) o Rosenthal, dall´omonima ditta tedesca di cristalli e porcellane. Quando Cudicini si tuffava, in tribuna si aveva l´impressione di sentir crocchiare le sue ossa. A dare una mano alla mostra dei cent´anni anche Regione e Comune, col nuovo sindaco Cosolini. Regione perché una grande carta geografica ricorda quanti allenatore siano targati Ud, Go e Ts. Comune perché c´era un triestino in panchina quando l´Italia vinse per la prima e unica volta gli Europei (Ferruccio Valcareggi) e un triestino (il Paròn) per la prima Coppa dei campioni. E un triestino, nato come Rocco nel 1912, Massimo Della Pergola, inventò la schedina del Totocalcio (allora si chiamava Sisal) in un campo di lavoro in Svizzera, dopo essere fuggito dall´Italia per via delle leggi razziali. La brevettò nel ‘46. Il Coni lo espropriò nel ‘48, tornò a fare il giornalista. Anche per lui c´è uno spazio. E per Enzo Bearzot. La signora Luisa ha messo a disposizione la giacca a righine del Mundial ‘82, la pipa regalata da Pertini e un po´ dei vecchi dischi di jazz di cui Bearzot faceva scorta all´estero. Anche la Rai ha aperto con generosità le sue teche, con perle d´annata. Un Ghirelli ‘57 che spiega alla lavagna il metodo e il sistema, un Viani ‘62 che racconta il calciomercato, un Adriano Celentano ‘68 che dopo un derby intervista HH e Rocco, che stanno al gioco. Fiora Gandolfi, vedova del Mago (che scriveva a Rocco per tenerlo su nei momenti grigi, come a Firenze) ha già spedito ai figli del Paròn i quaderni di appunti del marito e garantito una sua visita. Sarà Cesare Maldini a tagliare il nastro. Uno dei figli calcistici del Paròn, che ha sulla coscienza tre ct, di cui due spinti in panchina alla sua maniera: mona de un vecio, mona de un servolàn. Cioè Maldini, di Servola, perché a Trieste contavano e contano i rioni: San Giacomo, Ròzzol, Chiarbola, Roiano. Il terzo è Trapattoni. C´è una foto che fa capire molte cose e la vedete in queste pagine. Rocco in canottiera, di spalle, che gioca allo schiaffo del soldato. Intorno a lui Poletti, Ferretti, Vieri, Rosato e Moschino. Era un altro mondo, certo. Mi sono chiesto se oggi non dico Mourinho o Guardiola, ma Di Carlo o Ficcadenti si presterebbero a una foto così. Certamente no, mi sono risposto. Non è una critica ma una semplice annotazione, come più semplice era il calcio e forse anche la vita in quell´altro mondo che per scarsità di tecnologia (solo calcistica, non divaghiamo) obbligava a essere umani. Rocco diceva di aver avuto tutto dal calcio ma gli pesava essere accolto a insulti, lanci di monetine e sputi in molti stadi, perché catenacciaro. Sì, giocava col libero dietro, ma anche Bernardini, considerato il protettore dei piedi buoni, giocava col libero e all´occorrenza metteva un terzino (Capra) all´ala. «Dal lùnedi al vénerdi xe tuti olandesi, al sabato i ghe pensa e la domenica tuti indrio». E´ morto senza imparare ad accentare i giorni, Rocco. Al secondo piano, la mostra termina in osteria. Solo roba fredda e vino. Il Rocco rosso dei cent´anni, un taglio bordolese prodotto espressamente in 7mila bottiglie da Roberto Felluga, cuore rossonero di Gradisca. A Rocco piacevano lo scorfano al forno, la jota, lo stinco con patate «in tecia», «el radicio mas´cio»(con huevos, direbbero gli spagnoli) e tutto il quinto quarto (rognoni, trippe, fegato, animelle). E poi Terrano, Dolcetto e Barbera, vini proletari. Barbaresco se c´era Brera. Mi raccomando, nel ricordo di Rocco non fiori ma bicchieri di rosso, avevo scritto tre anni fa. Accontentato. Ci saranno anche i fiori, su a Sant´Anna. Servizio completo, Paròn. Un dovere e un piacere.