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 2012  maggio 13 Domenica calendario

L’ANNO CHE L’ASINO VOLÒ PER DAVVERO

Si può solo immaginare che una mattina Leo Messi, il più grande calciatore dei nostri tempi, si svegli con la luna dritta a Barcellona e, stanco del Camp Nou, del Montjuich, delle Ramblas e della Sagrada Famiglia, voglia il San Paolo, il Vesuvio, i Quartieri e il Munasterio ’e Santa Chiara: voglia Napoli. E che il presidente di turno decida di tentare l’impossibile, il tentativo riesca. E poi lo scudetto.
Una storia così, però, c’è chi ha potuto viverla, un giubileo fa: perché questo è l’anno dei giubilei reali e venticinque anni fa Maradona vinse lo scudetto con il Napoli. E ora quella storia si può riviverla, o per chi non ci fu frequentarla per la prima volta. Non la raccontano, che un racconto non è, ma è cronaca, grande cronaca, Marco Bellinazzo e Gigi Garanzini – giornalisti di questa testata – nella «cronistoria di un sogno: il primo scudetto» come recita il sopratitolo de Il Napoli di Maradona, appena pubblicato tra gli Oscar, che il film-realtà fu davvero da Oscar. Fu il primo scudetto, quello del 10 maggio 1987; quello del famoso «che vi siete persi» scritto sul muro del cimitero, e la sublime risposta del giorno dopo «chi ve l’ha detto?»; quello di Diego un po’ Che Guevara e un po’ San Gennaro sui muri di tutta Napoli (bello assai il dettaglio, raccontato nel libro, del Teatro San Carlo sul cui frontone sta stampato «siete la decima di Beethoven»). Fu il primo scudetto, quello: e come ogni prima volta che valga la pena, l’emozione attanaglia, la paura di non essere all’altezza pure, e il piacere che poi esplode ovunque.
Sono i dettagli che contano in questa storia, che è sì la storia di un campione che forse fu il più grande di sempre in campo, ma la discussione è aperta con Pelè prima e Messi poi, ma che fuori dal campo è di sicuro il più umano: capace di gesti che ti portano sulla mongolfiera e di altri che ti fanno tribolare nello squallore. Gli autori amano Maradona, ma non gli fanno sconti, nell’andare della quotidianità rivissuta; né gliene fanno tutti quei personaggi di allora che tornano all’improvviso, giacché alcuni dopo quell’ubriacatura partenopea sono andati a vivere una vita normale, perché un’altra così nessuno gliel’avrebbe data. Tutti amano Diego, certo, anche se sanno bene i suoi difetti, non li nascondono, li accettano. Se Diego dormiva più di tutti e non andava agli allenamenti, beh, pazienza: poi nella partita assai spesso ci pensava lui.
Napoli, poi: magnifica quella dei tanti maschi partenopei che telefonano per autodenunciarsi come il padre naturale del neonato Diego Armando, quando cominciò la vicenda Maradona-Sinagra. E nella frase di Maradona che apre il racconto c’è tutto: «Tutti dicono: questo è stato il migliore del Real Madrid, questo è stato il migliore del Chelsea, questo è stato il migliore... Io sono orgoglioso di essere stato il migliore a Napoli». È vero: ma è anche vero che il meglio, qui, sono Napoli e il Napoli. E il ritrovare Claudio Garella, il portiere delle «garellate» (e degli scudetti impossibili), o Beppe Bruscolotti, o Rambo, cioè Nando De Napoli, o Renica, Giordano, Andrea Carnevale, o tutti quelli che in un modo o nell’altro vissero vicino a Diego in quel periodo (non dimenticato l’allenatore Ottavio Bianchi, il contrario di Maradona), anche la Sinagra o Claudia Villafane, Ferlaino o Pierpaolo Marino.
Ma, soprattutto, vivere a Napoli, dove il cavallino rampante, simbolo degli inizi, può diventare ciuccio. Però ci sono momenti nella vita che gli asini volano. E quel volo si fa leggere con emozione e con nostalgia, perché i particolari sono avvincenti, veri e «veraci». E «Maradona è meglio ’e Pelè».