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 2012  maggio 13 Domenica calendario

APPUNTI PER VANITY

SITUAZIONE IN GRECIA SECONDO IL CDS
DAL NOSTRO INVIATO
ATENE — A mezzogiorno ha incontrato il presidente e gli altri due capi dei principali partiti greci, un colloquio per evitare di tornare a votare fra un mese. Al tramonto Alexis Tsipras è già in campagna elettorale. Visita il quartiere di Nikaia, zona del porto, qui la sinistra è sempre stata forte. Il giovane leader di Syriza ha risposto no a qualunque tentativo di coinvolgerlo in una coalizione. «Quelli che hanno governato negli ultimi anni non riescono ad accettare il messaggio arrivato dalle urne e continuano con i ricatti. Non saremo complici dei loro crimini».
I bersagli dell’attacco lo accusano di essere «arrogante» e di mettere in pericolo il Paese. Il conservatore Antonis Samaras e il socialista Evangelos Venizelos sono favorevoli alla proposta del presidente Karolos Papoulias, un governo di unità nazionale che resti in carica per due anni e cerchi di rinegoziare l’accordo stipulato con la troika. Entro la fine di giugno Atene deve realizzare altri tagli per 11,5 miliardi di euro in cambio degli aiuti promessi da Unione Europea, Banca centrale europea, Fondo monetario internazionale.
«Abbiamo proposto a Tsipras di garantire almeno la fiducia al governo — commenta Samaras — e ha rifiutato. Non capisco a che cosa stia puntando».
Punta a vincere le prossime elezioni — i sondaggi danno il suo partito al 23 per cento — e a scassinare la concorrenza semi interna: nel pomeriggio di ieri l’ingegnere di 37 anni ha lasciato intendere che il fondatore di Sinistra radicale, nato da una scissione da Syriza, sarebbe stato pronto a sostenere la coalizione. È stato smentito: «Abbiamo già chiarito la nostra posizione — spiega un dirigente della formazione —. Un governo senza Syriza mancherebbe di legittimità popolare e potrebbe causare disordini nelle strade».
La maggioranza dei greci ha votato domenica scorsa contro le misure di austerità e l’intesa definita dal Pasok e Nuova democrazia con la comunità internazionale. Il 78 per cento dichiara però di voler rimanere nella zona euro. Syriza ha tolto elettori a tutti e due i partiti che hanno dominato per trentotto anni la politica nazionale.
Il presidente greco ha visto anche i leader degli altri gruppi entrati in Parlamento e continua oggi la mediazione. Aleka Papariga, alla guida dei comunisti, ha annunciato che proporrà di cancellare il piano di salvataggio concordato con la troika e ha proclamato nuove manifestazioni ad Atene. Il dramma dei negoziati ne contiene uno personale: Papoulias, 82 anni, è un eroe della resistenza contro i nazisti. Nella notte ha dovuto ricevere Nikos Michaloliakos, il leader di Alba d’oro, che ha conquistato ventuno seggi e due anni fa si è presentato al Consiglio comunale di Atene con un saluto a braccio teso. L’incontro c’è stato, i sorrisi no.
D.F.

SITUAZIONE IN GRECIA SECONDO LIVINI DI REPUBBLICA
DAL NOSTRO INVIATO
ATENE - La spia della riserva è già accesa. La Grecia - dopo aver raschiato il fondo del barile causa crisi - ha in cassa 2,5 miliardi. E senza gli aiuti internazionali (tra un mese Ue-Bce e Fmi dovrebbero staccare un altro assegno da 30 miliardi) «Atene non avrà più soldi per pagare stipendi e pensioni da fine giugno». A rilanciare l´allarme liquidità è stato l´ex vicepremier Theodoros Pangalos. La partita a scacchi per la formazione del nuovo governo e la possibilità di nuove elezioni stanno complicando la corsa a ostacoli per evitare l´addio ellenico all´euro. «Qui da noi c´è la falsa sensazione che Bruxelles e Berlino stiano bluffando e che alla fine arriverà un salvagente cui aggrapparci - ha detto Pangalos - E´ una pia illusione. Senza esecutivo o con un no alla Ue, gli aiuti non arriveranno. E tra sei settimane la Grecia rimarrà senza un euro in tasca».
Il conto alla rovescia dei mercati è già iniziato. Il tempo, sotto il Partenone, è denaro. E da qui a fine giugno il Paese - finanziariamente parlando - ha di fronte un´agenda da brividi per una nazione in pieno stallo politico. Il primo appuntamento è tra 24 ore: domani scade un bond da 450 milioni in portafoglio a investitori esteri. Questo prestito è stato emesso sotto legislazione internazionale e quindi è per legge escluso dal mini-default che ha costretto i creditori privati di Atene a rinunciare, obtorto collo, al 75% della loro esposizione. Cosa farà la Grecia? Metterà mano ai pochi soldi rimasti nel portafoglio per rimborsare al 100% gli hedge fund o li lascerà a becco asciutto facendo scattare un altro default? Gli analisti sono convinti che il ministero dell´Economia non abbia scelta: restituirà il dovuto turandosi il naso e scatenando, c´è da scommetterci, una valanga di polemiche.
Il secondo fondamentale appuntamento è per giugno quando - in teoria – Atene dovrebbe approvare 11 miliardi di nuovi tagli mentre la Trojka dovrebbe confermare lo stanziamento di un´altra tranche di 30 miliardi di euro nell´ambito del piano di salvataggio di 130 miliardi garantito ad Atene dal memorandum. L´assegno di Ue, Fmi e Bce dovrebbe servire in parte per finanziare il debito esistente, ma soprattutto (più o meno 24 miliardi) per ricapitalizzare le banche, rimaste a corto di liquidità dopo che lo swap ha falcidiato le loro riserve. Senza questo assegno, gli istituti rischierebbero il crac in poche settimane. Il problema è che a metà giugno la Grecia potrebbe essere chiamata di nuovo alle urne. E che, secondo i sondaggi, a vincere sarebbe la sinistra radicale di Alexis Tsipras, favorevole alla permanenza nell´euro, ma decisa a rispedire al mittente l´austerità che ha messo in ginocchio l´economia nazionale. Angela Merkel e il presidente della Commissione Ue Josè Manuel Barroso sono stati chiari: «Se gli accordi con Bruxelles non saranno rispettati, Atene non vedrà un euro». E senza gli euro della Trojka, il tesoretto di 2,5 miliardi di risparmi rimasto in cassa si esaurirebbe in poche ore, lasciando dipendenti pubblici e pensionati ellenici senza stipendio e spedendo il Paese dritto dritto verso il crac e l´addio alla moneta unica.
Per disinnescare questa bomba ad orologeria ci sono solo due soluzioni e mezzo: la prima, quella di gran lunga preferita da Ue-Bce e Fmi, è che i partiti ellenici seppelliscano l´ascia di guerra e diano vita nelle prossime ore a un governo di emergenza. Le possibilità però allo stato non paiono altissime. La seconda è che al voto di giugno esca vincitrice una coalizione pro-memorandum. In quel caso è probabile che Bruxelles possa garantire un po´ di soldi al Paese anche prima della formazione del nuovo esecutivo per la normale amministrazione. Il mezzo, dicono in camera caritatis molti osservatori politici, è una possibile apertura a Tsipras dopo l´eventuale successo della sinistra. Ok, Syriza - il partito del 38enne astro nascente della politica ellenica - e i suoi alleati respingerebbero il memorandum. Ma a quel punto la Trojka potrebbe (o forse dovrebbe) sedersi attorno a un tavolo per cercare nuove soluzioni e non lasciare andare alla deriva la Grecia. Il rischio contagio è troppo alto. I costi di un crac rischiano di essere di gran lunga superiori a quelli di nuove concessioni ad Atene. E, in fondo, nel portafoglio dei Paesi della Ue, di Fmi e Bce ci sono 194 miliardi di crediti con il Partenone. Se Tsipras non paga, i primi a pagare un conto salatissimo sarebbero loro.


LA SCONFITTA DELLA MERKEL IN NORDRENO-WESTFALIA SECONDO IL CDS
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
BERLINO — È stata una doppia sconfitta per Angela Merkel. Gli elettori del Nord Reno-Westfalia hanno fatto precipitare il suo partito, la Cdu, ai minimi storici nel Dopoguerra (dal 34,6 per cento del 2010 al 26,3) e hanno riconfermato la fiducia a una donna, il governatore uscente Hannelore Kraft, che ha perseguito una politica completamente diversa da quella della cancelliera: più investimenti nelle infrastrutture, nell’educazione e nell’assistenza familiare e un approccio graduale alla riduzione di un indebitamento che nel Land più popoloso della Germania tocca la cifra record di 180 miliardi di euro. A vincere è stata la Spd, che balza dal 34,5 per cento al 39,1. Grazie all’11,4 dei Verdi, Hannelore Kraft dispone di quella maggioranza che le era mancata in questi due anni, in cui ha guidato un governo di minoranza.
Sorridente e un po’ emozionata, Hannelore Kraft si è presentata davanti ai sostenitori a fianco del marito Udo e del figlio Jan. «È una bellissima giornata», ha esordito, ma ha subito aggiunto che dalla sua regione «è venuto un segnale importante» per le elezioni federali, in programma nell’autunno dell’anno prossimo. Ha ringraziato tutti quelli che hanno lavorato per lei in una campagna elettorale definita dai giornali tedeschi «all’americana» in cui molto ha contato la sua popolarità, la sua concretezza, la sua vicinanza ai problemi della gente. Se questo è vero, è vero anche che la responsabilità del crollo cristiano-democratico va addebitata in forte misura al candidato della Cdu, il ministro federale dell’Ambiente Norbert Röttgen, un quarantenne molto vicino ad Angela Merkel e indicato addirittura come una delle personalità in grado di raccogliere in futuro l’eredità della cancelliera. Röttgen ha sbagliato tutto, fin da quando ha escluso di rimanere nel Land a guidare l’opposizione in caso di sconfitta. Le sue immediate dimissioni dall’incarico di capogruppo regionale della Cdu non sono arrivate inattese.
Chi invece festeggia è il liberale Christian Lindner, che è riuscito non solo a salvare il suo partito dall’incubo di non superare la soglia di sbarramento del cinque per cento (come era accaduto in tutte le più recenti elezioni regionali a eccezione della più recente, una settimana fa nello Schleswig-Holstein) ma ha portato a casa un buon risultato. La Fdp passa dal 6,7 per cento all’8,6. Le altre indicazioni emerse dal voto di ieri riguardano i pirati, che confermano la loro presenza stabile nel panorama politico tedesco (7,8 per cento) e la crisi della Linke, che continua ad arrancare in tutti i Länder occidentali della Germania e rimane fuori dal parlamento.
Sarà quindi un governo rosso-verde più forte a guidare una regione chiave che ha la stessa popolazione dell’Olanda e un peso fondamentale nell’economia della Germania e dell’Europa. Sette anni fa fu una grave sconfitta della Spd proprio in Nord Reno-Westfalia a portare alle elezioni anticipate perse dal cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder e vinte da Angela Merkel. È un precedente, questo, che nessuno dimentica.
P. L.

STATO DEL GOVERNO MONTI SECONDO REPUBBLICA
FRANCESCO BEI

«QUALCOSA sta cambiando, la svolta è a portata di mano». La nota di ottimismo con cui Monti colora la sua giornata, dopo che aveva descritto un´Italia preda di «forti tensioni sociali», è la vera novità di giornata. Stando attenti a non lasciar filtrare un eccesso di gioia per la sconfitta della Merkel nel Nord Reno Westfalia, da Palazzo Chigi avvertono comunque che il vento sta effettivamente girando. E se la Cancelliera federale non si lascerà prendere dalla tentazione di irrigidirsi ancora di più, i prossimi saranno davvero «i dieci giorni che cambieranno il mondo». Per calibrare bene le prossime mosse Monti, appena rientrato a Roma, ieri sera ha convocato un vertice a Palazzo Chigi con i ministri e i collaboratori più stretti: Antonio Catricalà, Vittorio Grilli, Corrado Passera, Enzo Moavero. Un gabinetto ristretto, prolungatosi fino a notte, per preparare al meglio i prossimi, decisivi, appuntamenti. E lanciare sul tavolo europeo «l´Agenda per la crescita».
Oggi Monti volerà a Bruxelles per la riunione dell´Eurogruppo e dell´Ecofin, con la grande incognita della possibile uscita della Grecia dall´euro e della situazione sempre più nera della Spagna. E in giornata una prima, importante, novità potrebbe arrivare dalla commissione "Econ" del Parlamento europeo, dove sarà messa ai voti la proposta di istituire un «Fondo di redenzione del debito» - sostenuta da Guy Verhofstadt, Daniel Cohn-Bendit e dall´italiano Roberto Gualtieri - per una garanzia collegiale europea di quella parte dei debiti che eccedono la quota del 60%. Una rivoluzione culturale, anche se al momento senza ricadute operative, vista con favore dal governo italiano. Con la Merkel in difesa e François Hollande all´Eliseo il vento comunque sta cambiando e Monti può trovare nuove sponde in Europa. Proprio con Hollande, che debutterà in Europa nel consiglio europeo straordinario del 23 maggio, Palazzo Chigi ha lanciato una strategia del sorriso. Raccontano infatti che il leader socialista sia rimasto un po´ stupito dall´eccesso di prudenza del governo italiano, che ha evitato accuratamente qualsiasi segnale di simpatia in campagna elettorale, mostrandosi anzi più tedesco dei tedeschi. Ma questo ormai è il passato, Roma è decisa a sfruttare ogni possibile appiglio per far passare in Europa il piano sulla crescita. E Hollande è un alleato prezioso. Per questo il consigliere diplomatico di Monti, Pasquale Terracciano, ha preso contatto con il suo dirimpettaio dell´Eliseo e in quattro e quattr´otto è stato messo in agenda un primo bilaterale tra Monti e il neo presidente francese. I due si vedranno faccia a faccia venerdì a margine del G8 a Camp David, dove Hollande illustrerà agli altri grandi il suo "New Deal 2.0" imperniato su investimenti infrastrutturali mediante prestiti europei, aumento dei fondi della Bei, Tobin tax europea, rafforzamento del ruolo della Bce ed eurobond. Idee simili a quelle sostenute da tempo da Monti in tutte le sedi. L´Italia persegue con tenacia, dall´inizio dell´anno, almeno tre iniziative: l´apertura del mercato unico dei servizi a professioni e mestieri; la destinazione a crescita e occupazione del nuovo bilancio comunitario 2014-2020; e soprattutto la Golden rule. In particolare su quest´ultima questione - ovvero lo scorporo degli investimenti in ricerca e infrastrutture dai target di bilancio - Roma sta puntando tutte le sue carte e, in vista del summit Ue del 23 maggio, Monti ha chiesto una verifica sullo stato di avanzamento dell´intero dossier. «Nessun paese europeo in una fase come questa può pensare di fare da solo», ha detto recentemente il ministro per gli affari europei, Enzo Moavero, impegnato in una vera e propria spola con Berlino nelle ultime settimane.
Eppure anche sul piano interno Monti non molla. Al vertice di ieri notte si è discusso a lungo del problema della compensazione dei crediti delle imprese verso lo Stato. In settimana, come hanno ribadito sia Grilli che il sottosegretario De Vincenti, arriveranno tre decreti ministeriali per sbloccare i pagamenti da parte della pubblica amministrazione. E consentire alle imprese di farsi certificare i propri crediti per poi andarli a "scontare" in banca. Ma non è tutto. L´altra leva nazionale è quella della spending review, una corsa contro il tempo per trovare 4,2 miliardi di spese correnti da tagliare ed evitare così l´aumento dell´Iva dal 21 al 23 per cento. Sabato sera ne hanno discusso a cena Monti ed Enrico "mani di forbice" Bondi, il superconsulente nominato dal consiglio dei ministri. Nell´appartamento di Bondi a piazza San Michele, nel centro di Arezzo, i due, in compagnia delle rispettive consorti, hanno avuto un primo scambio di vedute fino a mezzanotte. E domani Bondi incontrerà il ministro Piero Giarda per buttare giù un primo schema di tagli. Sabato sera Monti e la signora Elsa hanno poi dato disposizioni per dormire nella foresteria della prefettura di Arezzo. Risparmiando sull´albergo.

LA LEGA SECONDO LA STAMPA
FRANCESCO MOSCATELLI
«Lontani da Roma. Più presenti in Padania». Il mantra è vecchio quanto la Lega. Ma da ieri è tornato d’attualità. Roberto Maroni, alle prese con l’arduo compito di rianimare il partito dopo uno dei peggiori tonfi elettorali che si ricordino (secondo i dati dell’istituto Carlo Cattaneo il Carroccio ha perso oltre il 50% dei voti), ha deciso di rispolverarlo. «L’ossessione dei partiti è andare in Parlamento, per la Lega conta il territorio - ha detto l’ex ministro dell’Interno, a Cesena per il congresso “nazionale” romagnolo in cui il suo fedelissimo Gianluca Pini è stato rieletto segretario con oltre il 90% dei voti -. Non escludo che al consiglio federale possa passare l’ipotesi di non candidarci al Parlamento di Roma. Per noi conta il governo della Padania, tutto il resto è un mezzo e non il fine».
Il segnale è chiaro: la campagna elettorale in vista delle politiche è iniziata e il leader dei «barbari sognanti» - in attesa di essere incoronato segretario di tutto il movimento - ha iniziato a dettare la linea del partito. Lui, però, in attesa che il Senatur abbandoni una volta per tutte l’idea di ricandidarsi, preferisce muoversi con i piedi di piombo. E a chi gli chiede notizie sull’ufficializzazione della sua corsa per la guida del partito risponde: «Domani (oggi, ndr) c’è il Consiglio federale, penso che, lì, si dirà qualcosa». Meglio evitare ulteriori strappi. In questi giorni, inoltre, anche l’europarlamentare Mario Borghezio ha annunciato la possibilità di una sua discesa in campo «se non verrà dato spazio alle istanze indipendentiste».
Alla forma, Bobo Maroni, antepone la sostanza della leadership. Ne ha per tutti. A cominciare dal governo Monti: «Su temi come l’immigrazione, gli sbarchi, la lotta alla mafia, sento questo governo balbettare e per questo chiediamo che sia sostituito da un governo che abbia potere popolare per produrre misure anche impopolari. La Grecia è un monito: il governo Monti deve andare a casa e ci devono essere elezioni in autunno». Poi tocca ai magistrati: «Noi abbiamo sempre mostrato e offerto una leale collaborazione alla magistratura, però chiediamo tempi rapidi e una altrettanto leale collaborazione, che non abbiamo verificato da parte di alcune procure». Ma lo schiaffo più forte è per gli ex amici del Pdl. Ai ballottaggi ognuno farà per sé. Bocciata anche l’eventualità di un ritorno dell’alleanza nel dopo-amministrative. «Se entro il mese di luglio il Pdl decidesse di togliere il sostegno al Governo Monti e andare al voto in autunno, allora ci possiamo pensare - ironizza Maroni -. Ma mi pare un periodo ipotetico di terzo tipo, ovvero dell’irrealtà».
Le alleanze possono aspettare. In questi giorni il Carroccio è impegnato pancia a terra - e faccia del rieletto sindaco di Verona Flavio Tosi sui cartelloni per tentare di salvare il salvabile nei comuni in cui è arrivato al secondo turno. E per prepararsi al congresso federale di fine giugno. «Dal 2 luglio la Lega è pronta per la battaglia, auspicando che il governo venga licenziato come fanno i nostri sindaci con Equitalia e si vada al voto in autunno - ribadisce Maroni -. Il congresso servirà anche per rilanciare l’azione politica. Questa pagina, con episodi come quelli della Tanzania e dintorni, è chiusa, riguarda la Lega del passato. Ora serve una Lega 2.0». Staremo a vedere. Sul nuovo simbolo, e sull’ipotesi di togliere il nome di Bossi, però, Maroni ha già le idee chiare: «Il simbolo appartiene al movimento, è parte del patrimonio della Lega ed è amministrato dal consiglio federale al quale spetta ogni decisione. In questi anni lo abbiamo cambiato, il simbolo evolve».