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 2012  maggio 13 Domenica calendario

Rileggendo alcuni testi sulla Rivoluzione francese ho avuto modo di conoscere François-Noël Babeuf, detto il Gracco

Rileggendo alcuni testi sulla Rivoluzione francese ho avuto modo di conoscere François-Noël Babeuf, detto il Gracco. Egli sosteneva idee radicali di democrazia politica ed era fautore dell’egualitarismo sociale. I problemi legati alla lotta di classe e alla proprietà privata sarebbero già presenti nelle sue riflessioni. In rapporto anche alle idee di Babeuf, mi piacerebbe se lei potesse esporre qualche riflessione sul legame fra la Rivoluzione francese e le origini del Comunismo. In che misura è lecito vedere nella rivoluzione giacobina l’embrione degli ideali socialcomunisti? Francesco Candolfi fcandolfi@gmail.com Caro Candolfi, Allo scoppio della rivoluzione, nel 1789, Babeuf non aveva ancora trent’anni e aveva condotto una vita poco rivoluzionaria. Era stato scrivano perché aveva una bella scrittura. Era stato perito agrario in Piccardia e conosceva bene la mappa delle signorie feudali della regione. Si era sposato all’età di ventidue anni e aveva allevato i suoi figli, come scrive François Furet, «da padre tenero e sentimentale, alla maniera di quella generazione di fine secolo che aveva letto l’Emilio di Rousseau e credeva nei moderni principi pedagogici dell’intellettuale ginevrino. Era quindi quello che potrebbe definirsi un moderato riformatore sociale». La rivoluzione lo trasformò in un riformatore radicale. Accolse entusiasticamente la fine del feudalesimo e quando le folle insorsero, in luglio, massacrando due pubblici funzionari, commentò l’avvenimento, in una lettera, con queste parole: «I padroni, invece di civilizzarci, ci hanno reso barbari, perché lo sono essi stessi. Raccolgono e raccoglieranno quello che hanno seminato». Nei mesi seguenti tornò in provincia e fu da allora un sanculotto, vale a dire un militante dell’ala più rivoluzionaria, nello spirito di Marat e di Robespierre. Dopo l’avvento del Direttorio e la fine del Terrore fondò un giornale, Le tribun du peuple, che gli procurò qualche mese di prigione per «istigazione alla ribellione, all’omicidio e alla dissoluzione della rappresentanza nazionale». Quando ne uscì, raddoppiò il suo impegno rivoluzionario e lo annunciò anzitutto ribattezzando se stesso Gracchus, dal nome di Tiberio Sempronio Gracco, tribuno della plebe e autore di una contestata riforma agraria che toglieva terre ai ricchi per distribuirle ai poveri. Nacque allora, contro il vero Direttorio, un «Direttorio segreto di salute pubblica» che si componeva di sette membri fra cui, per l’appunto, il «comunista» Babeuf. La cospirazione, destinata a scatenare una nuova rivoluzione, fu scoperta e i congiurati vennero arrestati nel maggio del 1796. Quando furono processati, un anno dopo, Babeuf venne condannato a morte e ghigliottinato. Probabilmente Babeuf-Gracchus sarebbe stato ricordato da una nota a piè di pagina, nel grande libro della rivoluzione, se un altro congiurato, compagno di prigionia e mente della cospirazione, non ne avesse raccontato la storia in un libro apparso nel 1828. L’autore è Filippo Buonarroti, rivoluzionario pisano di buona famiglia, e il suo libro (Conspiration de l’Egalité dite de Babeuf, suivie du procès auquel elle donna lieu) fu letto da Marx che ne scrisse così: «Il movimento rivoluzionario che iniziò nel 1789 al Circolo sociale, che ebbe come principali rappresentanti, a metà della sua evoluzione, Leclerc e Roux, e finì per soccombere momentaneamente con la cospirazione di Babeuf, aveva fatto nascere l’idea comunista che Buonarroti, l’amico di Babeuf, reintrodusse in Francia dopo la rivoluzione del 1830. Quest’idea, sviluppata in tutte le sue conseguenze, costituisce il principio del mondo moderno». Lo studioso italiano che si è maggiormente occupato di questa vicenda è Alessandro Galante Garrone, autore di Buonarroti e Babeuf, pubblicato a Torino nel 1948.