Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  maggio 12 Sabato calendario

Possono essere minuscole o grandi. Con capitale pubblico o misto, quotate e non. Hanno uno o più comuni come azionista di controllo

Possono essere minuscole o grandi. Con capitale pubblico o misto, quotate e non. Hanno uno o più comuni come azionista di controllo. Vendono servizi di pubblica utilità (luce, acqua, gas, rifiuti) ai cittadini del territorio d´origine, ma anche a quelli limitrofi, o in tutta Italia, o all´estero. Operano nella distribuzione di servizi al dettaglio, ma anche all´ingrosso, nella produzione, nel trasporto, nel trading. È il capitalismo comunale: centinaia di aziende, roccaforte di un potere politico locale che nessun Governo ha mai espugnato, anche perché non ha mai avuto il coraggio di assediarlo. Più che aziende, sono spesso serbatoi di poltrone, strumenti di potere, intrecci di affari col privato, o bancomat che erogano dividendi. Spesso sottodimensionate per essere efficienti, se decidono di aggregarsi lo fanno guidate da accordi politici, più che da piani industriali. Questo impone l´equilibrio delle poltrone, che rende impossibili le ristrutturazioni, le fusioni o le dismissioni dettate dall´efficienza, perché metterebbero a repentaglio questo equilibrio. Precluso poi l´accesso al mercato, per non diluire l´azionista di controllo. Così ne soffre la struttura finanziaria dell´azienda. Emblematico il caso A2A. Di fatto un grande conglomerato con attività in Italia e all´estero, che spaziano dalla generazione elettrica al trattamento rifiuti, alcune efficienti e redditizie, altre per niente; zavorrato da troppi debiti, per essersi prestata a fare da campione nazionale, per la massiccia campagna acquisti e per i troppi dividendi pretesi dall´azionista-Comune. Non può ristrutturare il portafoglio di attività, e neppure la struttura finanziaria, bloccata da una governance barocca e dalla necessità di assicurare il controllo agli enti locali. Così dai massimi ha perso l´80% del proprio valore; più o meno quanto le altre quotate. E dire che sono le meglio gestite. Sperare che tutti i Comuni nominino solo manager capaci e indipendenti è solo utopia; e non servirebbe con azionisti che non permettono le ristrutturazioni e pretendono il controllo senza avere i soldi. Privatizzarle tutte è un´altra utopia; oltre al rischio che al privato interessi solo incassare la rendita di posizione. La soluzione mista non funziona, neanche se sottoposta alla disciplina della Borsa, come dimostra A2A. Si addita il modello della tedesca Rwe, che però non c´entra nulla; e che in Italia avrebbe un parlamento al posto del consiglio. Passano gli anni, e per le ex municipalizzate c´è solo un futuro di inesorabile declino. Bisognerebbe separare la gestione dalla proprietà. Si potrebbe costituire un Fondo nazionale ad hoc, dove tutti gli enti locali conferiscono le loro partecipazioni, in cambio di quote del Fondo stesso. La proprietà, dunque, rimane agli enti locali. Il Fondo, analogamente al private equity, avrebbe una durata di 7/10 anni. Tutte le aziende vengono conferite valutandole con parametri uniformi e predefiniti. Così che la ripartizione delle quote del Fondo tra gli enti locali avviene sulla base del valore relativo del conferimento, non di quello assoluto. Per le quotate, solo il capitale pubblico finisce nel Fondo (in esenzione di Opa). Effetti fiscali e contabili del conferimento sono azzerati ope legis. La gestione del Fondo è affidata a team di manager di private equity, meglio se stranieri, selezionati con una gara, che agiscono in totale indipendenza, liberi di aggregare, ristrutturare, dismettere, quotare le aziende, al solo fine di massimizzare il valore del Fondo. Per garantirlo, i gestori sono pagati in percentuale delle plusvalenze realizzate. Man mano che le aziende erogano dividendi, e si dismettono partecipazioni e attività, il Fondo distribuisce la liquidità accumulata ai Comuni, in proporzione alle loro quote; che i Comuni sono poi liberi usare come credono. Così, tutti ne beneficiano in misura proporzionale. Alla scadenza del Fondo tutto sarà privatizzato e ristrutturato. Altrimenti sarà la Caporetto del capitalismo comunale.