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 2012  gennaio 30 Lunedì calendario

Mps nella "tempesta perfetta" in gioco ci sono patrimonio e azionariato ANDREA GRECO Sulla Siena bancaria piove la tempesta perfetta

Mps nella "tempesta perfetta" in gioco ci sono patrimonio e azionariato ANDREA GRECO Sulla Siena bancaria piove la tempesta perfetta. Il forfait di Francesco Gaetano Caltagirone è l’ultimo degli scrosci, e non fa che acuire l’isolamento di uomini e istituti che campano sulla banca cittadina. Entro due mesi va deciso l’assetto del futuro Monte dei Paschi, a ogni livello: patrimonio, strategie, management, azionariato, ognuno dei quali inestricabilmente connesso. L’unica certezza ex ante è che la banca più antica del mondo, e una tra le più tranquille e paludate, ne entra scossa e ne uscirà cambiata. Vediamo i nodi. Patrimonio: lo scacco dell’Eba Da quattro anni – da quando si lanciò nell’acquisizione di Banca Antonveneta pagando 9 miliardi di euro in contanti, poco prima dell’inizio della crisi dei subprime che ha provocato – la banca vive una storia patrimoniale difficile. Fatta di aumenti di capitale (due), emissioni di prestiti convertendi, crollo dell’azione quotata e sconquasso dei forzieri del primo azionista, la fondazione locale. Sul quadro ha infierito l’Eba, che ha chiesto 3,2 miliardi di euro di rafforzamento patrimoniale entro giugno, per rientrare nei criteri temporanei di stabilità. Un assunto aspramente criticato, non solo con le parole dure del presidente Giuseppe Mussari (difensore di parte anche nella sua veste di presidente dell’Abi) ma anche dalla maggior parte degli analisti che coprono il titolo, data la natura spiccatamente "tradizionale" dei business senesi, e il fatto che quasi 1,5 miliardi di carenze patrimoniali imputate a Mps sono legati non tanto al mark to market dei titoli sovrani (criterio che già esorbita dalla contabilità internazionale vigente) ma a perdite teoriche su forme di copertura dei tassi di interesse. «Senza la trovata dell’Eba, non credo che Mps avrebbe avuto bisogno di altro capitale», spiega Matteo Ramenghi, analista di Ubs che giorni fa ha ospitato le 16 principali istituzioni finanziarie italiane e ne ha tratto «messaggi più positivi delle previsioni, e molta più fiducia rispetto a un anno fa». La risoluzione imbelle del nodo Eba, è noto, sta ora nelle mani del "sistema Europa": se il Consiglio Europeo odierno darà slancio al Fondo salvastati, e gli spread sui debiti periferici proseguiranno nella loro discesa, sarà possibile che l’Autorità bancaria europea (il supervisory board si riunisce l’8 febbraio) attenui la severità dei suoi giudizi. Per ora Siena ha dovuto prepararsi al peggio, e ha inviato il 20 gennaio un piano in Bankitalia in cui spiega come colmare il deficit stabilito dall’Eba. Il piano, strutturato dal nuovo dg Fabrizio Viola, è coperto dal segreto. Ma il mercato ha aspettative chiare sui provvedimenti: conversione dei bond Fresh con beneficio di 1,1 miliardi, passaggio integrale ai modelli interni sugli asset ponderati al rischio per 5700 milioni, deconsolidamento di società prodotto (a partire da Consum.it) per 5600 milioni, messa a riserva di utili fino a 200 milioni (con possibile, ulteriore "dieta" per il dividendo 2012), cessioni di immobili per 500 milioni, altre cessioni per 500 milioni. Tuttavia analisti e investitori ritengono che un quarto di quei 3,2 miliardi siano di incerto conseguimento, quindi la ricapitalizzazione potrebbe tornare nell’agenda. Fin qui Mps ha escluso più volte e risolutamente un nuovo aumento, soprattutto perché demolirebbe il pacchetto di controllo della fondazione, che non ha più soldi da investire. Strategie: comprare tempo o vendere asset? I banchieri senesi sperano che il contesto migliori, e levi le castagne dal fuoco. In ogni caso, Viola e il suo staff sono pronti a tutte le opzioni e già lavorano al nuovo piano industriale, che dovrebbero presentare in primavera. Non dipenderà da loro quanto discostarlo dal precedente di metà 2011, che stimava un miliardo di utile operativo in più previo allineamento della produttività di alcune filiali poco efficienti (400 milioni), sviluppo di prodotti bancassicurativi (177 milioni), nuovi business bancari e immobiliari (100 milioni), tagli di costi per il ridisegno organizzativo (466 milioni, questi già realizzati nell’esercizio 2011). Dipenderà dal contesto normativo, e di mercato, se i senesi dovranno calare uno o più assi, che comunque andrebbero individuati in cessioni di rami d’azienda, più che in richieste di denaro ai soci. Management: l’ora dei forestieri A fine anno l’uscita di Antonio Vigni, capoazienda dopo un excursus decennale in Mps, ha portato alla ribalta l’ex Bpm e Bper Viola. Fortemente voluto, si dice, da Giuseppe Mussari, l’uomo forte del moderno Monte, e che ancora in grado di orientare le scelte apicali. Tuttavia Mussari è in uscita a sua volta dal Monte: così s’era ripromesso all’inizio del secondo mandato, e del resto i suoi rapporti con la fondazione si sono nel tempo logorati. Proprio Mussari, in accordo con il sindaco Franco Ceccuzzi (l’altro uomo forte della galassia Mps) starebbe cercando il proprio successore. Potrebbe toccare anche in questo caso a un "forestiero": si cerca un banchiere esperto e di alto livello, e il profilo ben si attaglia alla figura di Alessandro Profumo, che secondo indiscrezioni attendibili è effettivamente un candidato. Anche se le turbolenze (specie di campanile), su di lui o su altri, non mancheranno. Azionariato verso il big bang Anche se destino e mosse della fondazione discenderanno da destino e mosse della banca, Palazzo Sansedoni ha problemi intrinseci, da affrontare. Entro metà marzo i suoi 11 creditori esigono di rientrare di parte dei 1.015 milioni di esposizione residui (la fondazione ne dichiara 900, per un diverso computo del valore delle garanzie sui bond fresh). Il gioco è condotto da Mediobanca e Credit Suisse, quali prestatori rispettivamente di 250 e 300 milioni all’ente. Le banche, anche a tutela dei loro interessi, lavorano per una ristrutturazione soft, che permetta alla fondazione di restituire circa metà dei fidi e allungare la parte restante. Per farlo, occorrerà cedere tutte le partecipazioni non strategiche – valore massimo stimato 200 milioni, si è già cominciato con il 2,5% di Cassa depositi, spalmato su altre cinque fondazioni dell’orbita Acri – e almeno un 15% del pacchetto Mps. Il violento rimbalzo del titolo a Piazza Affari, che in tre settimane è risalito da 20 a 30 centesimi, dà una grossa mano. Ora la banca vale 3,3 miliardi, il 48% dell’ente circa 1,6 miliardi. Un 15% vale mezzo miliardo, che potrebbe accrescersi se a comprarlo fosse un solo investitore privato, cui "vendere" anche la corrispettiva governance. Le speranze della fondazione erano che l’affare lo facesse proprio Caltagirone, socio storico e vicepresidente. Ma l’imprenditore romano si sta chiamando fuori e punta verso Unicredit. Una vera trattativa, si dice, non c’è mai stata, e nonostante i rumors sui giornali, Caltagirone non sarebbe mai stato contattato dal team del presidente e venditore Gabriello Mancini. La fondazione guarda anche verso Axa, altro grande socio storico, ma finora da Parigi non giungono grandi segnali. In alternativa, e con incasso minore, gli advisor di Palazzo Sansedoni (ancora Mediobanca, più Rothschild) potrebbero cercare il collocamento a fermo, sminuzzando il 15% presso più investitori istituzionali. E se neanche questo funzionerà non resterebbe che alzare la posta e cedere un pacchetto più rotondo, magari addirittura l’intero 48%, e diventare un azionista finanziario che vive sulle cedole. «Ma non succederà, perché l’asset Mps garba molto», taglia corto un banchiere senese.