Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  gennaio 30 Lunedì calendario

Il tempo immobile di Cogne prigioniera del piccolo Samuele – Voglio gli occhi sul mio Paradiso»

Il tempo immobile di Cogne prigioniera del piccolo Samuele – Voglio gli occhi sul mio Paradiso». Gli «occhi», le due finestre del soggiorno al primo piano, erano ancora soltanto sulla carta e Anna Maria Franzoni sognava quel panorama di Cogne sulla montagna che porta il nome della serenità infinita con l’aggiunta, se mai fosse necessario, dell’aggettivo «Gran». Erano gli ultimi anni del Novecento. Il 30 gennaio 2002 si chiusero per sempre gli occhi di Samuele, 3 anni, colpito alla testa dalla follia omicida mentre era in quella casa da sogno nel lettone di mamma e papà. La villetta si trasformò in un inferno di fronte al Gran Paradiso. Anna Maria accusata del delitto, poi condannata. Una realtà processuale che né lei, né il marito Stefano Lorenzi accettarono mai. Cogne dieci anni dopo ha veste invernale, quella che mancava nel tragico mattino. Ha neve, gelo. E indifferenza. Il sindaco Franco Allera, primo cittadino dal 2010, geometra, è il progettista della «Villetta di Cogne», come ancora la chiamano, anzi, la rivendicano i turisti. «Sembra che il tempo non passi più, siamo ancora lì», dicono al bar «Centre», piccolo locale nella piazza del paese. Si ferma un’auto di una coppia a due passi del municipio. Lui chiede: «Scusi sa indicarmi la “villetta di Cogne”?». E un altro turista fa tintinnare la porta del tabaccaio, a qualche passo dal bar, e brucia il tempo del saluto con la sua impellente richiesta: «Avete una cartolina della “villetta”? Sa, quella...». Risposta: «So, so... No, non ne esistono». Il turismo macabro non ha limiti. La «Villetta» in quel prato ripido in cui sbucano dalla neve rovi di rose selvatiche con bacche color del sangue è un po’ meno sola, ma è una casa lasciata alla sua tragica testimonianza. Lasciata lì, non venduta, né affittata. Ad aprirla ogni tanto ci pensava «nonno Mario», il papà di Stefano Lorenzi, morto a fine agosto 2010. Hanno costruito due case appaiate e gemelle appena sopra e una grande di legno brillante e imponenti muri in pietra a fianco. C’è un grande cartello giallo dell’Immobiliare che l’ha costruita: si vende e si affitta. Ma dove Samuele fu ucciso con un oggetto mai scoperto (forse un cristallo di quarzo) tutto pare fermo al 2002. Solo il vento è riuscito a strappare sul lato nord i sigilli del sequestro. Sono spariti anche dalle ante di legno che proteggono gli «occhi» voluti da Anna Maria. Sulle altre finestre e sulle porte i fogli dell’autorità giudiziaria sono ancora lì, incollati da un largo e resistente nastro isolante marroncino. La «Villetta di Cogne» è in frazione Montroz. Guarda dall’alto il capoluogo e la prateria di Sant’Orso. Nessuno sa se sia ancora nei sogni di Anna Maria, forse lo è negli incubi. La mamma di Sammy, in carcere a Bologna, non vuole parlare con nessuno. Si è perfino chiusa nel bagno della sua cella per non incontrare il deputato Melania Rizzoli del Pdl che sta raccogliendo testimonianze per un libro sulle donne in prigione. Il suo avvocato torinese, Paola Savio, che ha tentato in tutti i modi di spegnere i riflettori sul «caso Cogne», mantiene la riservatezza di sempre. E dice: «Non verrà mai un giorno in cui Anna Maria smetterà di professare la sua innocenza». Anna Maria, che nel 2014 potrà chiedere la semilibertà, riceve soltanto il marito Stefano, da sempre convinto della sua innocenza, e i suoi figli, Davide, che il mattino del delitto accompagnò allo scuolabus e Gioele, nato l’anno dopo. La Cogne tanto amata diventò un «paese di invidiosi» per Anna Maria proprio mentre aspettava il suo terzo figlio. Ne parlava nell’area verde dell’agriturismo della sua famiglia, a Monte Acuto, sull’Appennino bolognese. E lanciava le accuse, i suoi sospetti sui vicini. Si sentiva tradita dal paese che l’aveva accolta e l’aveva sorretta nei giorni della morte di Samuele. Un paese che si spaccò, che fu dilaniato da fronti contrapposti, che diventò a lungo un set tv. Sindaco nel 2002 era Osvaldo Ruffier: «La gente adesso è indifferente, allora era un tumulto. Anche per Anna Maria è finita, a breve uscirà pure dal carcere. Donna tosta, sa? Eravamo in buoni rapporti anche se Stefano era un consigliere di opposizione. Subito fu la solidarietà, la compassione ad abbracciare quella famiglia, poi cominciarono a fare nomi di vicini e altri come coinvolti nell’omicidio. E allora Cogne si offese. Fu la frattura». E quello di oggi, Allera: «L’imperativo è uno solo, dimenticare e passare oltre. È stato un dramma della follia, una terribile vicenda umana. La giustizia ha fatto il suo corso e Cogne ha ritrovato il suo equilibrio».